Disinformazione, propaganda e cattiva informazione: come difendersi dagli agenti del caos informativo
7 min letturaL’UNESCO ha pubblicato la guida “Journalism, 'Fake News' and Disinformation: A Handbook for Journalism Education and Training”, uno strumento indispensabile che si rivolge a giornalisti e formatori, ma che può essere estremamente utile anche ai lettori. Il libro è disponibile gratuitamente sul sito ufficiale in formato pdf in lingua inglese.
Negli ultimi anni l’informazione è stata al centro del dibattito pubblico e politico, tutti abbiamo ascoltato almeno una volta il termine “fake news”, spesso utilizzato a sproposito da giornalisti, commentatori e politici. Purtroppo, infatti, l’allarmismo sulle “fake news” ha portato con sé conseguenze disastrose, come diversi tentativi in Europa (ma non solo) di legiferare “sulla verità”, che sembrano ispirati più all’autoritarismo cinese o a un romanzo distopico che ai valori europei di libertà di parola.
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Come abbiamo scritto più volte su Valigia Blu, le notizie false, la disinformazione, la propaganda e la cattiva informazione si combattono facendo buon giornalismo e creando una cultura dell'informazione, offrendo cioè ai lettori gli strumenti necessari per saper riconoscere il giornalismo di qualità e distinguerlo dalle bufale. Ed è attorno a questa convinzione che si sviluppa la guida “Journalism, 'Fake News' and Disinformation”, che abborda il problema dell’informazione nella sua complessità, condividendo buone pratiche e strumenti che possono servire a tutti, giornalisti e non.
La guida, scritta da ricercatori, giornalisti ed esperti nella lotta contro la disinformazione, esplora la natura stessa del giornalismo: il pensiero critico, la ricerca dei fatti, la verifica costante e la pubblicazione responsabile di informazioni affidabili. Il libro è diviso in sette moduli: l’importanza della fiducia per il giornalismo; la definizione di “caos informativo”; la trasformazione digitale; l’alfabetizzazione alle notizie (“media and information literacy”); la verifica dei fatti; la verifica sui social media; come difendersi da attacchi e abusi online. Un curriculum formativo essenziale per chiunque abbia a cuore la buona informazione.
Tanto la disinformazione come il cattivo giornalismo da sempre hanno fatto parte della società in cui viviamo e di certo non scompariranno domani. Pensare di poter eliminare completamente le famigerate “fake news” è un idea ingenua che non tiene conto della natura umana e, oltre a essere spesso utilizzata in chiave strumentale e propagandistica, può portare a conseguenze negative per la libertà di pensiero e la democrazia stessa.
La fiducia in un giornalismo esemplare
Partendo dalla consapevolezza che la disinformazione esiste ed esisterà sempre, la priorità per chiunque voglia difendere il diritto a una corretta informazione dovrebbe essere quella di educare i cittadini a una cultura dell’informazione. La sfida per i giornalisti è differenziarsi ulteriormente dagli spacciatori di bufale, con una dedizione e un’attenzione che oggi più che mai sono urgenti e necessarie. Un giornalismo esemplare orientato alla trasparenza è sicuramente il primo passo per difendere l’ecosistema informativo e (ri)stabilire un rapporto di fiducia con i cittadini.
Nello scenario attuale, il giornalismo assume un ruolo democratico fondamentale. Questo, però, non significa ergere i giornalisti a paladini della libertà, ma piuttosto stimolare una riflessione nel settore informativo sui problemi esistenti, i pregiudizi e gli errori fatti finora, con l’obiettivo di migliorare. Porsi delle regole etiche condivise, dei criteri di qualità elevati e posizionare il lettore al centro del proprio lavoro è il primo passo che il giornalismo deve compiere per differenziarsi dai distributori di disinformazione. La fiducia è un qualcosa per cui bisogna lottare ogni giorno.
Come scrive il professor Charlie Beckett della London School of Economics:
“Le ‘fake news’ sono la miglior cosa che è accaduta negli ultimi anni. Danno al giornalismo mainstream di qualità l’opportunità per dimostrare il proprio valore, fondato sulla capacità, l’etica, la relazione con i lettori e l’esperienza. È una chiamata d’allarme per stimolare a essere più trasparenti, rilevanti e ad apportare valore alle vite delle persone. Adesso il giornalismo ha la possibilità di sviluppare un nuovo modello di business fondato sulla verifica dei fatti e agire come una alternativa migliore alle falsità.”
Un giornalismo etico che valorizza la trasparenza e la responsabilità davanti ai lettori è la chiave di volta per difendere i fatti e la verità dal caos informativo.
Conoscere il ciclo disinformativo e i suoi agenti
La disinformazione spesso arriva mascherata da satira o parodia, si nasconde dietro i titoli click-bait dei giornali, l’uso ingannevole di dichiarazioni, foto o statistiche, o anche la condivisione sui social di dati e fatti decontestualizzati, notizie false, etc. Può avere fini economici o propagandistici. Può essere fabbricata a tavolino o frutto di errori giornalistici.
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Allo stesso tempo, è importante differenziare tra i produttori di notizie false, coloro che le riprendono e diffondono (in buona o cattiva fede) e chi le condivide sui social media (di nuovo, in buona o cattiva fede). Le motivazioni di ognuno di questi “agenti del caos informativo” possono essere diverse.
Proviamo a vedere assieme un esempio di queste dinamiche.
Un sito che produce abitualmente disinformazione razzista pubblica una notizia falsa su un richiedente asilo che compie un gesto deplorevole. Il gestore del sito può essere spinto da diverse motivazioni: potrebbe trattarsi di una persona razzista che vuole diffondere odio contro i migranti, potrebbe essere parte di un progetto disinformativo organizzato e finanziato da un movimento xenofobo o da un partito, o potrebbe semplicemente esserci dietro un tornaconto economico (a più visualizzazioni corrispondono generalmente più click sui banner pubblicitari e quindi un maggiore guadagno).
Una volta vista la luce, la notizia falsa inizia a diffondersi all’interno di una nicchia definita, ma a un certo punto viene ripresa da un politico di estrema destra durante un programma televisivo. Il politico è consapevole che quell’informazione, vera o falsa che sia, è funzionale al suo discorso propagandistico e sa che non sarà verificata in tempo reale dai giornalisti presenti in studio. Le sue dichiarazioni verranno poi rilanciate dai media, verranno pubblicati articoli che inseriranno quell’informazione falsa nel titolo come virgolettato. La verifica arriverà in un secondo momento e avrà un’esposizione mediatica sicuramente inferiore alle dichiarazioni incendiarie fatte in prima serata. La motivazione del politico è chiaramente propagandistica, ma non è il solo ad aver partecipato alla diffusione della bufala: il programma televisivo che l’ha ospitato è stato utilizzato come palcoscenico e i giornali che hanno rilanciato e amplificato quelle dichiarazioni, dando una certa autorità a un messaggio che fino a prima era relegato in una nicchia ben definita. Consapevolmente o no, sono anch’essi “agenti del caos informativo” e le loro motivazioni possono essere molteplici.
Sia prima che dopo le dichiarazioni del politico e la conseguente amplificazione dei media mainstream, la notizia falsa è condivisa sui social in tutti i formati che ha assunto: il post originale del sito che l’ha inventata, il video con le dichiarazioni televisive del politico che se n’è servito, gli articoli che l’hanno amplificata, gli articoli che smentiscono la bufala, gli articoli che attaccano i fact-checker di essere pagati da Soros, e così via. Le persone che condividono questi contenuti sui propri profili Facebook o su Twitter hanno motivazioni differenti: possono pensare che si tratti di una notizia vera, oppure non importa loro che sia vera o falsa ma la condividono perché è stata diffusa dal proprio politico di riferimento, o “semplicemente” si tratta di persone razziste che retroalimentano continuamente le proprie convinzioni condividendo sui social solo notizie xenofobe.
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Una dinamica a cui abbiamo assistito più volte. Agenti diversi, con ruoli diversi e motivazioni diverse, che contribuiscono in maniera diversa al caos informativo. Cosa possono fare i giornalisti e i cittadini per disinnescare questo fenomeno?
I giornalisti hanno il dovere di studiare e conoscere il funzionamento del ciclo disinformativo e il ruolo di ogni "agente del caos" coinvolto, in modo da potersi sottrarre tempestivamente a questo meccanismo. Per non essere utilizzati da chi sull’odio e le falsità costruisce il proprio modello economico o propagandistico.
E i lettori possono trarre anch’essi grande beneficio dalla conoscenza di queste dinamiche, dato che nell’era del giornalismo digitale non siamo solamente destinatari passivi delle notizie, ognuno di noi nel suo piccolo è un 'distributore' di informazioni, ma soprattutto ognuno di noi può contribuire all’ecosistema informativo in maniera informata e virtuosa con i propri commenti, segnalazioni e ragionamenti.
L’alfabetizzazione alle notizie come riparo alla disinformazione
L'alfabetizzazione alle notizie è un concetto che abbiamo particolarmente a cuore e di cui abbiamo parlato in diverse occasioni su Valigia Blu. La guida UNESCO usa i termini inglesi “media literacy” e “information literacy” e si riferisce alle nozioni sul funzionamento dei mezzi di comunicazione e sul lavoro dei giornalisti che danno al lettore il potere di discernere con più facilità tra informazione affidabile e informazione ingannevole.
La trasparenza nel giornalismo non è solo un modo di guadagnare la fiducia dei lettori, come insiste la guida UNESCO sin dai primi capitoli, ma permette ai giornalisti di condividere con il pubblico le diverse fasi del processo investigativo, gli strumenti e le modalità con cui viene svolta un’indagine e i metodi di verifica dei fatti utilizzati quando si lavoro a una notizia. Il giornalismo non può limitarsi a riportare i fatti, ma per sopravvivere deve coinvolgere i lettori, condividere con loro la conoscenza, il metodo e le pratiche della buona informazione, offrire un valore aggiunto e differenziale alle loro vite. Un giornalismo migliore rende i lettori migliori.
No, non è facile. Si chiede alle redazioni di fare uno sforzo che forse dieci o vent’anni fa non era neanche immaginabile. Ma il giornalismo oggi non può permettersi il lusso di arroccarsi in una torre d’avorio, se non altro perché quella torre è pericolante e corre il rischio di crollare da un momento all’altro. Come abbiamo scritto prima, stiamo parlando di un “giornalismo esemplare”. E la scelta delle parole non è casuale: il giornalismo deve dare il buon esempio, deve formare i propri lettori, offrire loro gli strumenti per districarsi nel caos informativo. È questa la grande opportunità offerta dalle “fake news”, di cui parla Beckett, è questo il momento di sfruttarla.
Immagine in anteprima via Rappler