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Migranti e integrazione: il modello Riace che fa scuola all’estero e l’arresto del sindaco

2 Ottobre 2018 17 min lettura

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Migranti e integrazione: il modello Riace che fa scuola all’estero e l’arresto del sindaco

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di Roberta Aiello e Angelo Romano. Ha collaborato Andrea Zitelli

A Riace “l’unica mission era aiutare gli ultimi”. Le motivazioni della sentenza della Corte d’Appello che sbriciola le accuse contro il sindaco di Riace Mimmo Lucano

Aggiornamento 19 aprile 2024: Alla base del modello Riace c’era l’idea di “perseguire un modello di accoglienza integrata, ovvero non limitato al solo soddisfacimento dei bisogni primari, ma finalizzato all’inserimento sociale dell’ospite di ciascun progetto”. C’era così tanto “generalizzato disordine amministrativo” che non si può neanche ipotizzare l’esistenza di accordi criminali stabili. In pratica, non esistevano neanche i presupposti per la demolizione del modello di accoglienza che ha fatto scuola nel mondo e del suo sindaco dell’epoca Mimmo Lucano, dopo la condanna in primo grado a oltre 13 anni di carcere. Non c’è “nessuna prova di arrembaggio di risorse pubbliche”, si legge nelle quasi trecento pagine la Corte d’appello ha sbriciolato l’inchiesta che ha smantellato il modello di integrazione di Riace divenuto noto in tutto il mondo. 

Nonostante la condanna per un falso (relativo a una delle 57 determine, firmata nel 2017, contestate dall’accusa in uno solo dei 19 capi di imputazione), le motivazioni dei giudici di secondo grado sono una sorta di “riabilitazione di Lucano” che su richiesta della Procura di Locri nell’ottobre del 2018 era stato arrestato nell’ambito dell’inchiesta “Xenia” condotta dalla Guardia di finanza.

Mimmo Lucano, crollano quasi tutte le accuse. L'ex sindaco di Riace condannato a 1 anno e 6 mesi

Aggiornamento 11 ottobre 2023: Le accuse contro l’ex sindaco di Riace Mimmo Lucano sono crollate come un castello di sabbia. La Corte d’appello di Reggio Calabria ha condannato Lucano a 1 anno e 6 mesi: un decimo di quanto chiesto dalla procura. È stato assolto da quasi tutti i capi di imputazione, e l’esito drasticamente ridotto rispetto alla condanna in primo grado a oltre 13 anni.

La procura generale aveva chiesto per questo secondo grado di giudizio la condanna a 10 anni e 5 mesi di carcere per Lucano, principale imputato del processo “Xenia”, nato da un'inchiesta della guardia di Finanza sulla gestione dei progetti di accoglienza dei migranti nel piccolo paese della Locride. Un processo che lo vede implicato insieme ad altre 17 persone. La Corte le ha assolte tutte.

Lucano era accusato di associazione a delinquere e peculato, frode, falso in atto pubblico, abuso d’ufficio e truffa. Di tutte queste accuse è rimasta solo una condanna per falso, mentre sono andate in prescrizione le accuse di falso per un mancato pagamento SIAE, e di abuso d’ufficio per l’affidamento del servizio di raccolta dei rifiuti.

Il 2 ottobre 2018 è stato arrestato dalla Guardia di Finanza il sindaco di Riace, Domenico Lucano, nell’ambito di un’operazione denominata “Xenia”. Lucano, diventato negli anni un simbolo dell’accoglienza fino a far parlare di Riace come un modello da studiare, è stato accusato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e fraudolento affidamento diretto del servizio di raccolta dei rifiuti.

In base a quanto si legge in una nota diffusa dalla Procura di Locri, a Lucano vengono mosse due accuse: l’organizzazione con la collaborazione della compagna, Tesfahun Lemlem (destinataria di un divieto di dimora), di uno o più "matrimoni di comodo" per permettere a una donna nigeriana, cui era stata respinta la richiesta di protezione internazionale, di rimanere in Italia; l’affidamento diretto del servizio di raccolta rifiuti alle due cooperative sociali nate a Riace per dare lavoro a riacesi e migranti. Per i magistrati, spiega Alessia Candito su Repubblica, “si tratterebbe di un fraudolento affidamento diretto dell’appalto, disposto in deroga alle norme che obbligano ad una gara e a coop non inserite nel registro regionale di settore”.

Intervistato da SkyTg24, il Tenente Colonnello della Guardia di Finanza, Nicola Sportelli, ha specificato che l’arresto è arrivato dopo un’indagine in corso da circa 18 mesi, ha ribadito che il sindaco è accusato di «favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e illecita gara per quanto riguarda la raccolta di rifiuti nel Comune di Riace» e precisato che «l’indagine è molto più ampia e riguarda anche tutto l’aspetto dei finanziamenti dei fondi che riguardano l’immigrazione». Da «lunghe indagini telefoniche e ambientali svolte per oltre un anno» ha proseguito Sportelli, «è emerso che il sindaco organizzava dei veri e propri matrimoni di convenienza tra cittadini riacesi e donne straniere, che non avevano più il permesso di soggiorno e, dunque, non potevano più stare in Italia. E, quindi, con l’escamotage del falso matrimonio e il ricongiungimento familiare riusciva a trattenere queste persone straniere in maniera illecita nel nostro territorio».

Tuttavia, scrive ancora Candito su Repubblica, le contestazioni più gravi contro il sindaco da parte del Giudice delle indagini preliminari (GIP) che ha autorizzato gli arresti domiciliari – concussione, truffa ai danni dello Stato, l’utilizzo dei fondi per la gestione dell’accoglienza dei migranti – obiettivo iniziale dell’indagine, sono cadute o non hanno trovato riscontro. Nell’ultima pagina del comunicato si legge, infatti, che rispetto “ad altre e diverse procedure di affidamento diretto alle associazioni operanti nel settore dell’accoglienza; alla irregolare rendicontazione dei criteri riguardanti la lungo permanenza dei rifugiati; all’utilizzo di fatture false tramite le quali venivano attestati fraudolentemente costi gonfiati e/o fittizi; al prelevamento, dai conti accesi ed esclusivamente dedicati alla gestione dell’accoglienza dei migranti, di ingentissime somme di denaro cui è stata impressa una difforme destinazione, atteso che di tali somme non vi è riscontro in termini di corrispondenti finalità, (...) “il diffuso malcostume emerso nel corso delle indagini non si è tradotto in alcuna delle ipotesi delittuose ipotizzate”. In altre parole, secondo il Gip, la gestione dei fondi è stata disordinata o superficiale, ma non ci sono illeciti.

Nel motivare il provvedimento di arresto, il Giudice per le indagini preliminari, Domenico Di Croce ha spiegato che Lucano “vive oltre le regole”, ma non ha preso soldi per sé né ha arricchito le associazioni che ricevevano i soldi destinati alla gestione dei migranti che arrivano in Italia, scrive Il Fatto Quotidiano che ha potuto visionare l’ordinanza (qui il link al documento).

Pur essendo in presenza di un “grave quadro indiziario”, il “malcostume”, l’andare oltre le regole da parte del sindaco “non si è tradotto in alcune delle ipotesi delittuose delineate dagli inquirenti”: sono stati ritenuti insussistenti le accuse di associazione a delinquere, di “ingiusto vantaggio patrimoniale”, di “indebito arricchimento”. Questo, però, non ha impedito al Gip di segnalare “la gestione quantomeno opaca e discutibile dei fondi destinati all’accoglienza dei cittadini extracomunitari” da parte del sindaco Lucano, definito un “soggetto avvezzo a muoversi sul confine (invero sottile in tale materie) tra lecito e illecito, pacificamente superato nelle vicende relative all’affidamento diretto dei servizi di pulizia della spiaggia di Riace” e dei matrimoni combinati per permettere agli immigrati di ottenere il permesso di soggiorno.

Proprio il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina è quello che il giudice ha ritenuto più grave. “Per quanto, dal suo punto di vista finalizzate a garantire soggetti svantaggiati la possibilità di permanere in Italia o di raggiungere il paese, per godere di un migliore regime di vita…”, le condotte del sindaco – prosegue l’ordinanza – sono state penalmente e moralmente riprovevoli, come nel caso proprio dei matrimoni combinati. Anche di fronte a persone svantaggiate, il fine non giustifica i mezzi, spiega il Gip: “L’indagato vive oltre le regole, che ritiene d’altronde di poter impunemente violare nell’ottica del ‘fine giustifica i mezzi’; dimentica, però, che quando i ‘mezzi’ sono persone il ‘fine’ raggiunto tradisce, tanto paradossalmente quanto inevitabilmente, questi stessi scopi umanitari, che hanno sorretto le proprie azioni…”. Si tratta di condotte illecite che, alla luce dell’incarico ricoperto (Lucano è ancora sindaco di Riace), della fitta rete di contatti personali costruita nel tempo, del retroterra culturale e politico e della presenza numerosa di migranti nel paese – si legge nell’ordinanza di custodia cautelare – Lucano avrebbe potuto continuare a mettere in atto, adottando “atti amministrativi volutamente viziati” o proponendo “a soggetti extracomunitari facili e illegali scappatoie per ottenere l’ingresso in Italia”.

Rispetto alle ipotesi di reato della Procura, il Gip ha contestato l’impianto accusatorio, sottolineando la “vaghezza e genericità del capo di imputazione”. Anche se le indagini sono durate 18 mesi secondo il giudice non sono state individuate le “collusioni” tra gli indagati, mancano le “visure camerali” delle cooperative coinvolte, sono stati sbagliati i conti del presunto ingiusto profitto. “Gran parte delle conclusioni cui giungono gli inquirenti appaiono o indimostrabili… o presuntive e congetturali… o, infine, sfornite di precisi riscontri estrinseci”, si legge nell’ordinanza. Rispetto all’accusa di concussione, che si fonda sull’ipotesi che Lucano abbia costretto un commerciante a emettere fatture false, il giudice ha ritenuto la presunta persona concussa non attendibile e la sua testimonianza inutilizzabile perché rilasciata senza le garanzie previste dalla legge.

Il procuratore di Locri, Luigi D’Alessio, ha dichiarato in una nota diffusa dall’Ansa di essere pronto a chiedere il riesame dell’ordinanza «perché la Procura non è d'accordo con le decisioni adottate dal Gip». «La nostra richiesta era composta da circa mille pagine, il Gip ne ha estratte, per la sua ordinanza, meno di 150. (...) Come Procura chiederemo inoltre la valutazione del Tribunale. L'indagine, comunque, non si basa solo sulle intercettazioni ma pure su acquisizioni testimoniali e anche su documenti e attestazioni di fatture e altro. Ribadisco, infine, che la nostra richiesta in merito all'indagine era molto articolata», ha aggiunto il procuratore.

Il 3 ottobre il prefetto di Reggio Calabria, Michele di Bari, ha sospeso Lucano dalle funzioni di sindaco.

Le indagini della Procura di Locri e le relazioni della Prefettura di Reggio Calabria

Quasi un anno fa, a ottobre 2017, il sindaco di Riace viene iscritto nel registro degli indagati dalla Procura di Locri, insieme ad Antonio Capone, presidente di “Città futura”, la prima associazione nata nel paese che, all’epoca, coordinava tutti i progetti in corso. Le accuse erano pesanti: truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche ai danni dello Stato e dell'Ue, concussione e abuso d'ufficio. L’inchiesta della Procura era partita dopo una relazione depositata da una commissione ispettiva della Prefettura di Reggio Calabria (presieduta dal prefetto Salvatore Gullì, già commissario del comune di San Luca) nel dicembre 2016. È qui che probabilmente, come scrive Luigi Mastrodonato in un lungo reportage su The Vision, ha inizio la crisi di Riace.

Nella relazione, ricostruiva Gaetano Mazzuca su La Stampa, gli ispettori, pur sottolineando “gli aspetti positivi del modello Riace che assicura la necessaria accoglienza nel pieno rispetto dei diritti fondamentali e della dignità degli stranieri presenti”, segnalavano alcune «irregolarità amministrative». In particolare, in discussione c’era il rapporto tra il Comune e le sei cooperative che gestiscono attraverso convenzioni i fondi che ogni anno finiscono a Riace per l’accoglienza, l’affitto e la proprietà delle case per i migranti, la legittimità dei “bonus” e delle “borse lavoro”, gli strumenti ideati dal sindaco Lucano per utilizzare in modo diverso i 35 euro giornalieri concessi dallo Stato per la gestione dei richiedenti asilo. La relazione in merito parlava di “scarsa chiarezza nelle fatturazioni”.

Per quanto riguarda il rapporto con i gestori dei progetti, gli ispettori si sono concentrati sulle 6 cooperative che gestivano ogni anno un flusso di quasi 2 milioni di euro: il Comune non avrebbe controllato le spese e la relativa documentazione e avrebbe stipulato con loro convenzioni senza una gara pubblica. I criteri di selezione sarebbero – si legge nella Relazione – “ampiamente e assolutamente personali e discrezionali lesivi della concorrenza, non sembrando conformi ai principi di imparzialità e trasparenza”, mentre “la chiamata diretta e fiduciaria” può essere giustificata una tantum per casi straordinari. Inoltre, gli ispettori sottolineavano che “le convenzioni alla scadenza venivano prorogate tramite una mera comunicazione a firma del sindaco, senza alcun riferimento a una delega o mandato conferito dall’amministrazione comunale”.

Gli affitti delle case destinate ai migranti sembravano troppo alti rispetto al mercato immobiliare locale e la proprietà di alcuni immobili pareva riconducibili a parenti del personale degli enti gestori di alcuni progetti. “Ogni anno a Riace si spendono più di 200mila euro per fittare dai privati le case che vanno ai migranti – si legge nella Relazione – e queste abitazioni vengono reperite direttamente e autonomamente dagli enti gestori, senza adeguate ricerche di mercato”.

“I regolamenti del Centro di accoglienza non sono stati neppure sottoscritti” ed è concreto “il rischio che ogni ente gestore si regoli a modo proprio”, e le figure utilizzate “sono stati assunte tramite chiamata diretta fiduciaria e i relativi curricula vitae trasmessi al ministero solo di recente”, per cui “non sono presenti, se non in misura sicuramente inadeguata, alcune figure professionali indispensabili”.

Infine, secondo gli ispettori, non tornavano i conti sul numero di migranti presenti nei centri: erano di più e probabilmente rimanevano oltre i tempi consentiti. Per la Prefettura i conti non tornano perché “non risulta che sia una sistematica e razionale organizzazione diretta a impedire il protrarsi [ndr dei migranti presenti nelle strutture] oltre i termini consentiti e ciò rende incerta la contabilizzazione reale dei soggetti aventi diritto, unico elemento indispensabile per conferire legittimità della spesa”. Per gli ispettori ci sarebbe una spesa non giustificata di quasi 640mila euro.

Subito dopo l’avvio dell’inchiesta, il sindaco Lucano si era detto sconcertato e senza parole. «Non possiedo niente e non ho conti segreti. Allora ben vengano i controlli su di me e che siano il più approfonditi possibili». Nei giorni immediatamente successivi, a metà ottobre, in un’intervista a Il Dubbio, aveva spiegato come il suo modo di operare seguisse un’ideale di giustizia sociale che a volte non trova spazio in quello che prevedono le leggi e i regolamenti. «Quello che facciamo non segue effettivamente le linee guida dello SPRAR, perché quelle linee guida ci dicono che dopo sei mesi i migranti devono andare via. Ma questo non è compatibile con una dimensione umana dell’accoglienza, le persone non hanno una scadenza», spiegava Lucano. «Abbiamo coltivato anche il valore del dopo», proseguiva il sindaco. «Abbiamo lavorato per i primi quattro anni senza soldi, riuscendo a risvegliare l’identità dei luoghi e facendola diventare un’opportunità. Abbiamo capito subito che far stare gli immigrati in una camera, come in un albergo, non portava a niente: si sarebbe fermato tutto là, senza portare rigenerazione sociale al territorio. (...) Noi abbiamo voluto dire al mondo che la Calabria è anche questo, la costruzione di una struttura umana e non solo case e lavori pubblici».

Riguardo le accuse, il sindaco negava quelle di concussione, mentre rispetto agli affidamenti diretti sottolineava come la responsabilità fosse da condividere anche con la Prefettura «perché quando convenivano gli affidamenti diretti durante le emergenze degli sbarchi ne usufruiva, chiedendomi posti per accogliere i migranti immediatamente. La verità è che si tratta di un sistema caotico, nel quale noi ci siamo distinti».

Concetti espressi in modo chiaro anche in un’intervista a Il Fatto Quotidiano, dove Lucano precisava che il modello Riace non era «un’occultazione di fondi», ma una progettualità che pensasse all’integrazione come qualcosa che viene dopo l’accoglienza nelle strutture. «Se tu fai un progetto anonimo che rimane là e che si occupa soltanto dei servizi, allora le città che accolgono i migranti assomiglierebbero ad alberghi e questo non fa altro che impoverire il territorio».

A febbraio 2018, dopo molte insistenze da parte proprio del sindaco, la Prefettura pubblica una seconda relazione. In un’intervista a Il Sole 24 Ore, Lucano aveva sottolineato come la nuova relazione restituisse «dignità al lavoro svolto», mentre per i suoi legali «le ultime relazioni della Prefettura confermano l'eccellenza del modello Riace».

Il nuovo documento si basa su un’ispezione avvenuta il 26 gennaio 2017, dopo alcune proteste sia da parte dei migranti ospitati a Riace sia da parte di alcuni rappresentanti della cooperative attive nell’accoglienza nel Comune calabrese.

Nella relazione si specifica che il documento non è stato redatto volutamente con “criteri e formule” burocratici e amministrativi perché l’intento è quello di fornire “uno strumento di comprensione del fenomeno ‘Riace’ differente da quello acquisito e spiegare non sono quello che viene fatto (o non fatto) a Riace ma soprattutto come viene fatto direttamente dalle persone (di ogni colore e nazionalità) che ne sono le principali e dirette protagoniste”.

Il testo parte descrivendo il paese in cui sono presenti alcuni paradigmi del territorio: “chiusura, diffidenza, larvata impudicizia del bene comune, senso di abbandono, povertà". E poi c'è "l’accoglienza. Perché i paesi della Calabria sono accoglienti. La gente è accogliente. Memore e affaticata da un (recente) passato di stenti e privazioni (...)”.

Gli ispettori della Prefettura passano a descrivere quanto visto nella scuola: “un edificio che ospita un numero cospicuo di ospiti stranieri, grandi e piccoli (...), in un miscuglio di razze, dialetti, diademi e treccine”. La stanza, spiegava il sindaco agli uomini della Prefettura, “serve oggi da asilo nido. (...) La giovane, anch’essa africana, che accompagna amorevolmente i piccoli, (...) al tempo del suo arrivo in Italia (...) si prostituiva per sopravvivere”. Nelle classi, continua la relazione, ci sono persone impegnate nello studio che provengono da vari paesi come il Gambia, il Mali, la Siria, il Pakistan: “la pluriclasse (...) è un tripudio di razze dietro i banchi della scuola. Due ragazzini di Riace scherzano e scambiano commenti ironici con i loro coetanei dell’Africa o del vicino Oriente. Sono lì tutti insieme, in arrivo da tante parti del mondo, lontane fra loro”.  Sempre il sindaco specificava che la scuola era stata chiusa per carenza di alunni, ma che poi era tornata funzionante, dando lavoro agli insegnanti.

Il documento passa poi a descrivere la situazione nelle case visitate, dove si incontrano “solo gente del CAS (non dello SPRAR), senza alcuna commistione se non in un solo caso e per puro caso, per una giovane coppia”. Gli ospiti delle abitazioni “comprano gli alimenti con i loro ‘bonus’, utilizzabili in Riace, e che, come tutti sanno” non sono validi fuori dalla cittadina: “Ma Riace è così, è un microcosmo strano e composito, che ha inventato un modo per accogliere e investire sul proprio futuro”. Nel continuo della visita, gli uomini della Prefettura raccontano che “pur nella povertà dei mezzi, si scorge sempre una dignità nel modo di vivere e nel modo di affrontare la vita. Sono persone che cercano un riscatto, che hanno voglia di dimenticare il passato e che mantengono l’entusiasmo per poter ricominciare”.

Si passa poi a descrivere le botteghe dove si lavora il legno, il vetro, la lana e altri materiali: “In ognuna di queste troviamo un ragazzo (o una ragazza) di Riace ed almeno una o un migrante, tutti nelle rispettive uniformi di lavoro, intenti nelle loro attività quotidiane, frutto di un apprendimento di mestieri antichi (...)”.

Nelle considerazioni finali gli ispettori della Prefettura scrivevano che il sindaco di Riace “ha dedicato all’accoglienza buona parte della propria vita, combattendo battaglie personali e raccogliendo riconoscimenti internazionali di assoluto prestigio”. L’evolversi dell’esperienza che svolge nel paese “ha comportato difficoltà ulteriori, probabilmente non previste ed ha reso impossibile, presumibilmente, un controllo ferreo di tutte le attività svolte”. Questo fatto, continua la relazione, “ha evidenziato le pecche del sistema, individuate in precedenti relazioni, che denotano la necessità imprenscindibile di attuare degli opportuni e immediati mezzi correttivi. Auspicabilmente con un’azione sinergica di supporto che possa permettere di mantenere e migliorare gli standard di efficienza, sicurezza e legalità che la normativa (...) richiede”.

La relazione specifica comunque che “l’esperienza di Riace è importante per la Calabria e segno distintivo di quelle buone pratiche che possono far parlare bene di questa Regione”, definendola anche un “modello di accoglienza studiato (come fenomeno) in molte parti del mondo". Gli ispettori precisano inoltre che il sindaco Lucano “ha sempre fornito una importante collaborazione a questa Prefettura in occasione degli sbarchi degli ultimi tempi, assicurando l’ospitalità che molti altri centri della Provincia avevano prima denegato”.   

Il "modello Riace"

Via Il Manifesto

Un modello di accoglienza studiato in molte parti del mondo, dunque. Così studiato che nel 2016 Domenico Lucano, sindaco di Riace dal 13 giugno 2004, viene inserito da Fortune nell'elenco dei 50 personaggi più influenti al mondo al 40esimo posto, grazie al "modello Riace" che per 20 anni dimostra che un altro tipo di accoglienza e integrazione è possibile.

«Ho sempre creduto nell’idea di una cittadinanza attiva che deve avere consapevolezza di ciò che accade nella società e nel mondo. Da sindaco, oltre ad occuparmi delle buche e delle questioni ordinarie ed amministrative, ho compiuto dei percorsi più ampi costruendo una nuova comunità. Ho pensato globale, per agire localmente. Ora viviamo l’epoca dei muri, dei campi di internamento, dei lager libici, degli odi superficiali, di una regressione delle coscienze. Allora, il messaggio che viene da una piccola comunità dove c’è una storia di emigrazione, perché noi in passato stiamo stati emigranti (e troppo spesso ce lo dimentichiamo), è di non rimanere indifferenti a ciò che ci circonda» dirà Lucano a MicroMega. 

È l'1:30 dell'1 luglio 1998, quando sbarcano sulla costa della Locride 184 persone tra cui 72 bambini, tutti curdi di nazionalità irachena e turca che vengono trasferiti nella Casa del pellegrino, a Riace superiore, un rifugio del paese offerto dalla Curia. L'anno successivo Lucano fonda l'associazione "Città Futura – Giuseppe Puglisi" con l’intento di trasformare Riace in una città dell’accoglienza dove i migranti sono ritenuti una risorsa e un'opportunità storica per rivitalizzare un paesino che quasi non esiste più a causa dello spopolamento (lo stesso Lucano tornerà al sud dopo aver vissuto a Torino e a Roma). A loro viene offerta la possibilità di essere coinvolti nella vita locale attraverso l'istruzione e il lavoro.

In 20 anni gli abitanti di Riace raddoppiano grazie agli stranieri e a quei cittadini italiani che scelgono di tornare in un villaggio rinato grazie alla politica sull'immigrazione, come raccontato dal documentario "Un paese di Calabria" prodotto nel 2016 dalla BoFilm.

Nascono così attività e piccole realtà che vedono la collaborazione fianco a fianco tra migranti e italiani. Botteghe dove vengono eseguiti lavori artigianali, riprendendo mestieri dimenticati attraverso la lavorazione di legno, lana, ceramica, vetro, rame. C'è chi invece si occupa della manutenzione delle strade e delle aiuole. Chi è impegnato in attività che utilizzano la conoscenza delle lingue, come i mediatori culturali e i traduttori. Il paese si rimette in moto e si rianima. Riapre una scuola.

Per realizzare tutto questo si sono percorse due strade, con due strumenti specifici che  utilizzano i 35 euro giornalieri concessi dallo Stato. Avendo la possibilità di poter ospitare i migranti nelle case disabitate del paese, che vengono concesse in comodato d'uso gratuito, i soldi stanziati dal ministero sono ripartiti tra "borse lavoro" con cui le cooperative retribuiscono le persone impegnate nelle botteghe da loro gestite che ricevono così un piccolo stipendio e i "bonus" grazie ai quali i migranti possono effettuare acquisti sul territorio comunale rimettendo in circolo denaro che contribuisce a sostenere l'economia locale (una volta arrivati i soldi dal Ministero agli esercenti viene versato il corrispettivo economico di quanto concesso grazie ai bonus).

L'intera operazione è resa possibile grazie ai fondi ricevuti per i progetti di integrazione e a quelli stanziati dal governo per l'accoglienza dei rifugiati. Riace fa parte dello SPRAR (Sistema nazionale per richiedenti asilo e rifugiati) insieme ad altri enti locali (a luglio 2018 più di 1200) che hanno aderito al programma attraverso la presentazione di vari progetti.

Nel 2016 i fondi vengono definitivamente bloccati e "Riace viene esclusa dal saldo luglio-dicembre 2017 (circa 650mila euro) e nel 2018 non è compresa tra gli enti beneficiari del finanziamento del primo semestre”, si legge in un cartello esposto in piazza firmato da Lucano.

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"Dal maggio 2016 non riceviamo un euro dalla prefettura, per lo SPRAR invece non arrivano fondi da un anno. Noi continuiamo a garantire assistenza, scuole, laboratori, quest'anno abbiamo persino inaugurato la fattoria didattica", dice Lucano a Repubblica. Una situazione, quella del blocco dei fondi, che ha paralizzato l'economia dell'intero paese calabrese, denuncia ancora il sindaco. 

Per questo il sindaco a inizio agosto comincia uno sciopero della fame, ricevendo il sostegno di varie personalità del mondo della politica, dello spettacolo e della società civile. Dal 2 al 5 agosto viene organizzato Riace in Festival, una serie di incontri e dibattiti che culmina con l'avvio di una campagna di crowdfunding per offrire un po' di respiro ad un paese ormai nesso in ginocchio.   

Negli ultimi anni varie testate internazionali hanno scritto di quanto Riace possa essere considerato un modello virtuoso e replicabile. Lo ha fatto il New York Times con un pezzo sui borghi italiani che stanno morendo, la BBC raccontando la trasformazione del paese fantasma, Al Jazeera con una serie di immagini che mostrano i volti di un'integrazione resa possibile da un progetto divenuto nel mondo il simbolo dell'accoglienza.

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