Le polemiche sulle ONG, le critiche a Travaglio e cosa ci dicono i fatti finora emersi
22 min lettura[ha collaborato Angelo Romano]
Un editoriale di Marco Travaglio sulle ONG (che attualmente non sono presenti nel Mediterraneo per le operazioni di salvataggio), sulle conseguenze delle loro attività in mare, sul presunto "legame acclarato" fra alcune di loro e gli scafisti libici e sulla situazione in Libia, ha provocato la reazione di giornalisti specializzati in questi temi e studiosi che hanno criticato e denunciato le semplificazioni, inesattezze ed errori di quanto scritto dal direttore del Fatto Quotidiano.
Abbiamo ricostruito il dibattito, analizzando i punti principali della discussione.
Cosa ha scritto Travaglio
SOTTO LA MAGLIETTA
Fra i testimonial in maglietta rossa della campagna lanciata da don Luigi Ciotti, trovo decine di amici che hanno partecipato a tante battaglie del Fatto. E, se ...(Continua a leggere: https://t.co/FCgy2Y3EOE dal #FattoQuotidiano in #edicola #10luglio)— Marco Travaglio (@marcotravaglio) July 10, 2018
Lo scorso 10 luglio, il direttore de Il Fatto Quotidiano, Marco Travaglio, ha scritto un editoriale in cui, commentando ed esprimendo solidarietà all'iniziativa “Una maglietta rossa per fermare l'emorragia di umanità” (promossa da Libera e altre associazioni, come ANPI e Arci) che puntava a sensibilizzare le persone sul tema dei migranti e dei morti in mare, ha criticato chi, tra le "magliette rosse", ha collegato l'ultimo naufragio al largo delle coste libiche (di cui si è avuta notizia lo scorso 2 luglio) "alle politiche del governo italiano" con il rischio di trasformare "una bella iniziativa per non dimenticare una tragedia quotidiana che dura da anni" in "un'arma di distrazione di massa dai veri responsabili", cioè "i trafficanti di esseri umani".
Tra le argomentazioni presentate, Travaglio, rifacendosi alle posizioni del procuratore di Catania, Carmelo Zuccaro, afferma che le organizzazioni non governative (ONG), impegnate nel salvataggio in mare, hanno agevolato, senza dolo, gli affari dei trafficanti di persone, permettendogli di impiegare "natanti sempre più pericolanti, proprio perché sicuri di dover percorrere un tratto di mare molto limitato prima della "consegna" sincronizzata (il "salvataggio" è tutt'altra cosa) del carico umano alle imbarcazioni private" e ostacolato le indagini dei magistrati: "se nessuno li vede (ndr "gli scafisti"), li intercetta, li identifica, è impossibile incriminarli e arrestarli".
Sul punto, il direttore del Fatto Quotidiano aggiunge:
Il legame fra alcune Ong e gli scafisti, ormai acclarato e addirittura rivendicato dalle interessate, non è di tipo economico, ma fattuale: le Ong agiscono, anche con le migliori intenzioni, come "pull factor" che rende i viaggi meno costosi e rischiosi, dunque più appetibili e redditizi. E questa non è necessariamente materia penale, perché i reati presuppongono il dolo, cioè l'intenzione di sostenere i trafficanti, che non è il movente delle Ong. Ma, se un fatto non è reato, non vuol dire che non sia vero.
Il giornalista, spiegando poi ai propri lettori quale politica sta portando avanti il governo Conte, insieme all'Unione europea, per stabilizzare la situazione in Libia – aiutare cioè il governo di Tripoli "ad affermare e perimetrare la sua sovranità, unica premessa per operazioni efficaci di controllo del mare e dei flussi" –, avverte che "ora in Libia premono per partire chi dice 700 mila, chi dice 1 milione di persone" e che "l'Italia non può accogliere" quel numero di migranti.
Travaglio specifica infine che "quando le navi delle ONG scorrazzavano nel "Mar West" Mediterraneo e i porti italiani (e solo quelli) erano sempre aperti (....), si registrò il triste record di 35mila affogati in 15 anni" mentre "i morti cominciarono a calare, e di parecchio, quando Minniti smise di ululare all'egoismo dell'Europa e si rimboccò le maniche: impose quelle regole alle ONG e provò a stabilizzare la Libia, aiutando Tripoli a riaffermare uno straccio di sovranità sul suo territorio e le sue acque". E "il governo Conte prosegue su quella strada" contribuendo a evitare che ci siano più sbarchi sulle nostre coste: "l'equazione 'più ONG, meno morti' è falsa: è vera invece quella 'meno sbarchi, meno morti'".
Le risposte a Travaglio
Su quanto scritto da Travaglio sono arrivate sui social diverse risposte da altri giornalisti e studiosi che da tempo si occupano del fenomeno migratorio con articoli, inchieste, studi e reportage sul campo.
Oggi @marcotravaglio sul Fatto scrive: “il legame fra alcune Ong e gli scafisti, ormai acclarato e addirittura rivendicato dalle interessate”. Per interesse personale e professionale avrei bisogno di sapere nel dettaglio “acclarato” da chi e “rivendicato” da chi. Grazie.
— Diego Bianchi (@zdizoro) July 10, 2018
Innanzitutto a Marco Travaglio viene chiesto da più parti, tra cui da Diego Bianchi (conosciuto con il nome di "Zoro"), conduttore del programma televisivo "Propaganda Live" su La7, da chi sarebbe stato "acclarato" il legame fra alcune ONG e gli scafisti e da quale organizzazione non governativa sarebbe stato "rivendicato".
- Il "pull factor" (un fattore di attrazione)
Matteo Villa, ricercatore dell'ISPI (cioè l'Istituto per gli studi di politica internazionale), ha mostrato che la presenza delle imbarcazioni delle ONG nel Mediterraneo non "ha avuto alcun effetto significativo sulla variazione delle partenze dalla Libia".
🧐⛴️📉 LE ONG NON SONO I TAXI DEL MARE.
Utilizzando i nostri dati sulle partenze dei migranti dalla Libia anziché gli sbarchi in Italia, abbiamo stime ancora migliori sul "pull factor" delle ONG quando fanno ricerca e soccorso in mare.
I risultati? Giudicate voi! 👇 pic.twitter.com/DKRi9M90KR
— Matteo Villa (@emmevilla) 10 luglio 2018
Alla stessa conclusione il ricercatore era arrivato nel maggio scorso all'interno di un fact-checking su diverse questioni legate ai flussi migratori, in cui si legge che "a determinare il numero di partenze tra il 2015 e oggi sembrano essere stati dunque altri fattori, tra cui per esempio le attività dei trafficanti sulla costa e la 'domanda' di servizi di trasporto da parte dei migranti nelle diverse località libiche".
La tesi di un "pull factor" delle ricerche e soccorso era stata sollevata lo scorso anno nel rapporto Risk Analysis 2017 di Frontex (cioè l'Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera) in cui si leggeva che tra le “conseguenze involontarie” delle operazioni in prossimità delle coste della Libia c'è quella di “agire da pull factor, aggravando le difficoltà legate al controllo delle frontiere e al salvataggio in mare”.
Su questa possibilità, diverse autorità internazionali e nazionali avevano espresso un parere negativo, come avevamo ricostruito in questo approfondimento:
"Per Federico Soda, Direttore dell’Ufficio di Coordinamento per il Mediterraneo dell'OIM, non solo «la presenza di navi nel Mediterraneo non rappresenta un fattore di attrazione», ma «parlare di pull factor è fuorviante», perché i migranti sono spinti da tanti altri fattori «tra cui il principale è il deterioramento delle condizioni di vita in Libia, e sono sempre di più le persone che scappano in quanto vittime di violenze e abusi».
In audizione al Comitato Schengen della Camera dei deputati (...), il contrammiraglio Nicola Carlone, capo del reparto Operazioni della Guardia Costiera, ha espressamente precisato che la presenza delle ONG «non comporta quello che viene detto fattore di attrazione» e «non dà impulso alle partenze», poiché si tratta di un fenomeno «governato esclusivamente a terra, secondo modalità decise dalle organizzazioni criminali». Ugualmente, in Commissione Difesa al Senato il comandante generale del Corpo delle Capitanerie di porto, Vincenzo Melone, ha spiegato che l'area di ricerca e soccorso «non è la causa di questo evento epocale, né può essere la soluzione, che deve essere politica. La gestione dei soccorsi in mare è sintomo di una malattia che nasce e si sviluppa altrove, sulla terraferma, ed è li che bisogna intervenire».
Sempre a Palazzo Madama, (...) l'ammiraglio Enrico Credendino, comandante di EunavforMed – operazione Sophia, ha precisato che più che di pull factor bisognerebbe parlare di push factor, cioè di quei fattori che spingono i migranti a partire: «Ho incontrato cinque ambasciatori del Sahel a New York, ai quali ho detto che noi probabilmente come Unione europea non spieghiamo ai loro cittadini i rischi dei viaggi nel Mediterraneo. Tutti e cinque mi hanno risposto che mi sbagliavo, e che chi parte sa esattamente quello a cui va incontro: sa che molti moriranno nel deserto, che le donne verranno abusate durante il viaggio, che le famiglie saranno distrutte. Ciononostante scelgono di partire e accettano i rischi piuttosto che restare a casa loro». Credendino ha poi ricordato che anche Mare Nostrum era stata accusata di essere fattore d'attrazione, ma «quando è terminata e quattro mesi dopo è iniziata Mare Sicuro non c'è stato un decremento delle partenze, anzi. Il che vuol dire che questo collegamento tra fattore attrazione e navi in mare non è così immediato»".
Sul fatto poi che, come scrive il direttore del Fatto Quotidiano, la presenza delle ONG a ridosso delle acque territoriali libiche avrebbe permesso ai trafficanti di impiegare natanti sempre più pericolanti "proprio perché sicuri di dover percorrere un tratto di mare molto limitato", Lorenzo Bagnoli, giornalista freelance, in un post su Facebook, scrive che ad esempio "i gommoni sono solo una delle tipologie possibile delle imbarcazioni utilizzate dai migranti e si usano da ben prima che le Ong entrassero in azione (ironia della sorte, ne avevo scritto per Il Fatto quotidiano)".
Sempre lo scorso anno sull'utilizzo di imbarcazioni sempre più instabili e pericolose da parte dei trafficanti e le cause delle morti in mare avevamo riportato quanto scriveva la Guardia Costiera italiana e sosteneva chi se ne era occupato: "Stando al rapporto 2016 sulle attività SAR della Guardia Costiera, i trafficanti hanno sensibilmente peggiorato le condizioni dei viaggi in mare: sono aumentate le partenze notturne o in condizioni non favorevoli, i gommoni vengono preferiti ai barconi e riempiti di persone fino all'inverosimile. Questo fa sì che le imbarcazioni abbiano un'autonomia molto minore. Intervistato da OpenMigration Lorenzo Pezzani, uno dei ricercatori autori dello studio Death by rescue che ha indagato sui naufragi di aprile 2015, ha affermato che il cambiamento di strategia dei trafficanti «c’era già stato nel 2015, quando le ONG erano ancora poche, ed è quindi assurdo imputare a loro questa situazione»".
Ad esempio, nel settembre di tre anni fa Repubblica scriveva che "il lavoro svolto fino ad oggi dalle Procure siciliane ha (...) permesso di sottrarre ai trafficanti di uomini molte imbarcazioni, in linea anche con la nuova missione EuNavFor Med voluta dall'Unione Europea. I trafficanti preferiscono così ultimamente acquistare i gommoni, spesso realizzati artigianalmente: 'Abbiamo accertato che non si tratta di gommoni provenienti da enti di marineria specializzati, ma mezzi di scarsa fattura, con poca sicurezza di galleggiabilità. Sono gommoni che hanno un'autonomia dalle dieci alle dodici ore'.".
- 700mila - 1 milione di persone pronte a partire dalla Libia
il direttore del fatto quotidiano @marcotravaglio dice che il Libia ci sarebbero dai 700 mila al milione pronti a partire? Dove ha trovato questo dato?
La stima dei migranti PRESENTI in territorio libico NON corrisponde al numero dei migranti pronti-a-partire. Naturalmente.— francesca mannocchi (@mannocchia) July 10, 2018
Sul numero delle persone che in Libia premerebbero per partire per l'Italia e che secondo quanto riportato da Travaglio sarebbero tra le 700mila e 1 milione, Francesca Mannocchi, giornalista che ha pubblicato diversi reportage dalla Libia, ha chiesto al direttore del Fatto Quotidiano la fonte di questi dati, perché, come precisa la giornalista, la stima dei migranti presenti in Libia non equivale al numero delle persone che sarebbero intenzionate a partire.
- Il rapporto tra sbarchi e morti in mare
Per @marcotravaglio "l’equazione più ong, meno morti è falsa: è vera invece quella meno sbarchi, meno morti". Peccato che anche in questo caso i fatti dicano una cosa più complessa. https://t.co/YkNC5CVowu
— annalisa camilli (@annalisacamilli) July 10, 2018
Sui morti in mare, gli sbarchi e la presenza delle ONG, la giornalista di Internazionale, Annalisa Camilli, spiega che non è corretta l’equazione ‘meno sbarchi, meno morti’ perché “la mortalità deve essere calcolata in relazione alle persone partite e non a quelle arrivate”. Secondo i dati dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR), i morti in mare nei primi sei mesi dell’anno, hanno già raggiunto quota mille, rendendo di fatto quella del Mediterraneo centrale la rotta più pericolosa del mondo.
"Nel Mediterraneo l'anno scorso moriva 1 persona su 39, quest'anno 1 su 6. Queste operazioni di salvataggio sono sacrosante"#Migranti, i dati dell'@UNHCRItalia raccontati da @CarlottaSami. #agorarai pic.twitter.com/dTN8h5XChY
— Agorà Estate (@agorarai) July 11, 2018
Se è vero che dall’estate del 2017 il numero degli sbarchi sulle nostre coste è sensibilmente diminuito (al 30 giugno di quest’anno gli arrivi sulle nostre coste risultano calati dell’80,22% rispetto al 2017 e del 76,41% rispetto al 2016), è anche vero che è aumentato in proporzione il numero delle persone che perdono la vita durante la traversata. Carlotta Sami, direttore comunicazioni con incarico di portavoce per il Sud Europa dell'UNHCR, nel corso della trasmissione Agorà su Rai Tre, ha affermato che se fino allo scorso anno nel Mediterraneo moriva 1 persona su 39, nei primi sei mesi del 2018 il dato è pressoché raddoppiato (1 morto ogni 19 persone partite) e, nel solo mese di giugno, è morta una persona su 6.
Un dato che, scrive il ricercatore di Ispi, Matteo Villa, sta riportando il numero assoluto di morti e dispersi in mare ai livelli precedenti al luglio 2017, quando si era cominciata a registrare una drastica riduzione delle partenze dalla Libia.
(🔴BREAKING) After the sudden drop in #migrant departures from #Libya since 16 July 2017, the absolute number of dead and missing had abated.
Astoundingly, we are now BACK to pre-drop levels.
679 persons have died or gone missing upon leaving Libya since June 1st. 👇 pic.twitter.com/HwJf5ZQxUq
— Matteo Villa (@emmevilla) 3 luglio 2018
Villa ha poi corretto (per un errore nel conteggio) il suo primo tweet
📈❗DEAD AND MISSING AT SEA - UPDATE. In June, #migrant attempted crossings from #Libya through the Central Mediterranean route have become the deadliest since the drop in sea arrivals.
FULL DATASET HERE, constantly updated: https://t.co/JoBWtw79Xj pic.twitter.com/KrDpD88s6X
— Matteo Villa (@emmevilla) 6 luglio 2018
L’aumento dei morti e dispersi in mare, prosegue il ricercatore, si è verificato nel momento in cui la cosiddetta "Guardia Costiera libica" ha incrementato il numero di interventi: nei primi sei mesi sono diminuiti i migranti che sono riusciti a raggiungere l’Italia (circa la metà rispetto all’86% del 2017), è aumentato il numero delle persone intercettate dalle motovedette libiche (il 44% rispetto al 12% dell’anno scorso) e riportate in Libia e quello dei morti durante la traversata (il 4,5%, praticamente il doppio dell’anno prima).
https://twitter.com/emmevilla/status/1014068496584597504
Tutto questo, scrive in un altro tweet Villa, è dovuto essenzialmente a tre fattori: “Le ong sono coinvolte sempre di meno nei salvataggi, i mercantili non intervengono perché temono di essere bloccati per giorni in attesa di avere indicazioni sul porto di sbarco e la guardia costiera libica non ha né i mezzi né la competenza per occuparsi dei salvataggi”.
La replica di Travaglio
Marco Travaglio ha replicato a quanto scritto da Bianchi ("Zoro") e Mannocchi con un secondo articolo.
PROPAGANDA LIVE
Siccome non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire né peggior cieco di chi non vuol vedere, Diego Bianchi in arte @zdizoro... #FattoQuotidiano #edicola #11luglio https://t.co/TfI1byZ7p7— Marco Travaglio (@marcotravaglio) July 11, 2018
Il giornalista inizia ribattendo alla richiesta di Diego Bianchi. Riguardo il chiarimento da chi sarebbe stato "acclarato" il legame fra alcune ONG e gli scafisti, Travaglio cita il caso di una ONG, la Jugend Rettet:
"Gentile Zoro, sul web può trovare i filmati, le fotografie e l'audio delle intercettazioni dei responsabili di un'Ong, la tedesca Jugend Rettet, e della sua nave Iuventa sequestrata un anno fa a Trapani perché - spiegò il procuratore Ambrogio Cartosio - «è accertato che i migranti vengono scortati dai trafficanti libici e consegnati non lontano dalle coste all'equipaggio che li prende a bordo della Iuventa. Non si tratta dunque di migranti 'salvati', ma recuperati, consegnati. E poiché la nave della Ong ha ridotte dimensioni, questa poi provvede a trasbordarli presso altre unità di Ong e militari».
Travaglio scrive così di "consegne sincronizzate grazie a comunicazioni dirette o indirette (tramite mediatori e favoreggiatori) con gli scafisti, ai quali veniva poi consentito di smontare e riprendersi i motori dai gommoni (che per legge andrebbero distrutti) e infine venivano graziosamente restituiti tre barconi, subito riutilizzati nei giorni seguenti per altri traffici di esseri umani".
Per il giornalista si tratta dello "stesso scenario descritto mesi prima dal procuratore di Catania Carmelo Zuccaro nelle audizioni in Parlamento, a proposito di altre Ong, e poi immortalato da altre indagini di varie Procure siciliane". Se poi, continua Travaglio, "alcune indagini (diversamente da quella di Trapani, che s'è vista confermare il sequestro della Iuventa fino in Cassazione) non hanno finora accertato reati, non significa che non abbiano acclarato fatti oggettivi".
Riguardo poi la seconda parte della richiesta, cioè da quale ONG sarebbe stato "rivendicato" il legame con i trafficanti, il direttore del Fatto Quotidiano prima descrive quello che accadrebbe in mare, rivelato "spesso dai satelliti militari puntati sul Mediterraneo":
"Navi di Ong salpavano all'improvviso dai porti europei (soprattutto italiani) e facevano rotta verso un punto X del mare, in simultanea o addirittura in anticipo sulla partenza di un barcone carico di migranti dalla costa libica che, guardacaso, puntava dritto verso X. Il che, salvo immaginare sistematici casi di telepatia o continue apparizioni dell' arcangelo Gabriele, dimostra un coordinamento fra scafisti (o loro complici) e Ong, sempre nel posto giusto al momento giusto per rilevare il carico umano, spesso al confine delle acque territoriali libiche, o financo oltre".
Poi afferma che questo modus operandi "è stato più volte rivendicato dalle ONG coinvolte (sorvolando ovviamente sui contatti telefonici: ammetterli sarebbe confessare il favoreggiamento). L'argomento è: 'Così si salvano più vite'" che, afferma Travaglio, non risulta essere vero perché "le consegne sincronizzate avvengono senza pericoli di vita, dunque non sono salvataggi, ma incentivi al traffico di migranti".
Travaglio passa poi alla domanda di Mannocchi sul numero di migranti pronti a partire in Libia: tra i 700mila e un milione. Il giornalista specifica innanzitutto che quel dato "è frutto delle stime di numerosi osservatori della realtà libica, fra cui Lorenzo Cremonesi del Corriere, uno degli inviati più seri e informati sul Medio Oriente e il Nordafrica". Poi, aggiunge, che quei migranti vogliano partire per l'Europa lo desume "dal fatto che difficilmente i disperati del Mali, o del Niger, o della Nigeria lasciano le loro case e attraversano il deserto accompagnati da trafficanti senza scrupoli che li pestano e li depredano, per trascorrere le vacanze estive in un campo-lager della Libia".
Le risposte a Travaglio e cosa dicono finora le indagini
Diego Bianchi ringrazia Travaglio per la risposta scrivendo che "la conferma da parte sua del fatto che di 'acclarato' e 'addirittura rivendicato' circa il legame tra 'alcune Ong e gli scafisti' non ci sia nulla è molto importante". Zoro fa riferimento al fatto che Travaglio ha risposto citando un'indagine ancora in corso su diversi membri dell'equipaggio di una ONG e quindi senza ancora una richiesta di rinvio a giudizio e di conseguenza anche di un processo e di relative sentenze.
- Cosa è emerso finora dall'inchiesta a Trapani
Lo scorso 2 agosto la nave "Iuventa" della ONG Jugend Rettet è stata sequestrata (qui il decreto del sequestro preventivo del Tribunale di Trapani) dai magistrati. La Procura di Trapani sta indagando per il reato di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina. Gli episodi contestati dagli inquirenti, come riportato in un precedente articolo, sono tre: il 10 settembre 2016, il 18 giugno 2017 e il 26 giugno 2017, anche se ve ne sono altri che ai pm fanno ritenere "abituale" una certa condotta dell'equipaggio. Durante la conferenza stampa, avvenuta dopo il sequestro della nave, l'allora procuratore di Trapani, Ambrogio Cartosio (poi passato alla Procura di Termini Imerese), aveva detto: «Si è accertato che questa imbarcazione abbia effettuato interventi non per salvare dei soggetti in pericolo di vita, ma per trasbordare sull'imbarcazione delle persone scortate dai trafficanti libici».
Il procuratore aveva detto di aver documentato (con foto e video) degli incontri in mare tra membri dell’equipaggio e scafisti, ma escludeva collegamenti (anche per scopi economici) tra l’ONG e trafficanti libici: «Un collegamento stabile tra la ONG e i trafficanti libici è pura fantascienza». Proprio per questo motivo, la Procura non sta indagando anche per il reato di associazione a delinquere. Per Cartosio infatti «le finalità dei trafficanti erano ben diverse rispetto a quelle dell’equipaggio Iuventa» che avrebbe commesso quanto imputato «per motivi umanitari».
Nelle carte dell’inchiesta emerge anche che, in uno degli episodi contestati, uomini dell’equipaggio della Iuventa avrebbero consentito a persone che operavano al confine delle acque territoriali libiche di recuperare tre imbarcazioni utilizzate dai migranti per la partenza dalle coste nordafricane, una delle quali riutilizzata il 26 giugno per un'altra partenza, spiegava RaiNews. Nelle riunioni operative sui salvataggi, scrivevano gli inquirenti, viene invece sempre raccomandato a chi interviene di rendere inutilizzabili i natanti utilizzati per trasportare i migranti (questa attività – prescritta anche nel cosiddetto "codice di condotta" stipulato dall'allora ministro Minniti – non è quindi prevista "per legge", come scrive Travaglio, ma raccomandata).
L'avvocato della ONG ha presentato ricorso contro il sequestro della nave, ma la Cassazione, lo scorso 24 aprile, lo ha confermato: “Il ricorso ovviamente non entrava nel merito dei fatti contestati dalla procura di Trapani, contestavamo la legittimità della giurisdizione italiana”, aveva commentato l'avvocato.
Mercoledì 11 luglio poi, la procura di Trapani ha notificato 20 avvisi di garanzia (tra soggetti identificati a bordo della Iuventa, personale di Medici senza frontiere e Save The Children e Padre Mussie Zerai) di natura strettamente procedurale, scrive Tgr Sicilia, "poiché è necessario effettuare verifiche e accertamenti su personal computer e cellulari. Proprio la natura di questo tipo di accertamento – definito irripetibile – prevede la presenza dei difensori, a garanzia degli indagati". Riguardo la notifica ricevuta, Save The Children ha comunicato che "si tratta di un atto dovuto per consentire di partecipare all’ispezione dei dispositivi elettronici sequestrati alcuni mesi orsono, permettendo di esercitare il diritto alla difesa".
Fonti della Procura citate da Repubblica Palermo avrebbero inoltre precisato "che dagli atti di indagine non emerge in alcun modo che l'operato delle navi umanitarie, che in più occasioni avrebbero soccorso i migranti in acque libiche e con modalità ancora da accertare, possa nascondere fini illeciti di qualsiasi natura. Se le Ong hanno violato le norme lo hanno fatto solo per fini umanitari dando precedenza assoluta alla salvezza delle vite umane".
- Lo scenario evocato da Zuccaro e quello della procura di Trapani
Nel suo secondo editoriale, Travaglio ha scritto che lo scenario emerso dall'indagine della Procura di Trapani sarebbe uguale a quello descritto lo scorso anno dal procuratore di Catania Carmelo Zuccaro.
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Il procuratore siciliano, in base a un’indagine conoscitiva sul “fenomeno” delle organizzazioni non governative e su indicazioni ricevute da Frontex e dalla Marina Militare, aveva parlato di contatti e chiamate con soggetti sulla terraferma libica, di possibili finanziamenti ricevuti dalle organizzazioni criminali che organizzano i viaggi in mare e sugli scopi delle ONG aveva detto: «Potrebbe anche essere che da parte di alcuni di queste organizzazioni non governative si perseguono finalità di destabilizzazione, ad esempio, dell’economia italiana». Parole che avevano provocato forti polemiche. Motivo per cui Zuccaro aveva poi precisato che sul ruolo di «alcune ONG sulle operazioni di salvataggio di migranti e sui loro finanziamenti» aveva delle «ipotesi di lavoro, che non sono al momento prove» e di aver voluto denunciare «un fenomeno e non singole persone».
Uno scenario quindi diverso rispetto a quanto emerso finora dall’indagine di Trapani, in cui si parla di incontri/contatti in mare tra uomini dell’equipaggio di Jugend Rettet e trafficanti, di fantascienza se si ipotizza un collegamento (anche economico) stabile tra la ONG e i trafficanti libici e di finalità della Iuventa comunque “umanitaria”.
- Le inchieste di Palermo e Catania
Dell'operato di alcune ONG si sono occupate anche la Procura di Palermo e quella di Catania.
Lo scorso 20 giugno, dopo la richiesta della Procura di Palermo, sono state archiviate dal Gip (cioè il giudice delle indagini preliminari) le accuse contro le ONG Pro Activa Open Arms e Sea Watch. Alla luce delle indagini svolte, come scrive la Procura nel chiedere l'archiviazione, non sono stati ravvisati "elementi concreti che portano a ritenere alcuna connessione tra i soggetti intervenuti nel corso delle operazioni di salvataggio a bordo delle navi delle Ong e i trafficanti operanti sul territorio libico".
Nel marzo 2018 la Procura di Catania, guidata dal procuratore Carmelo Zuccaro, pone sotto sequestro la nave della ONG Proactiva Open Arms, ormeggiata al porto di Pozzallo, in provincia di Ragusa. I magistrati ipotizzano il reato di associazione a delinquere finalizzata all'immigrazione clandestina: per i pm ci sarebbe una volontà da parte degli indagati di portare i migranti in Italia anche violando legge e accordi internazionali, non consegnandoli alle navi della Guardia Costiera libica, scrive Agi.
Pochi giorni dopo il Gip di Catania, nel confermare il sequestro, fa cadere però l'accusa di associazione a delinquere, mentre resta in piedi quella di aver favorito l'immigrazione clandestina. Il Gip si era dichiarato non competente a livello territoriale per i reati contestati e aveva passato il fascicolo al Gip di Ragusa. Venendo meno l’accusa di associazione a delinquere, infatti, la competenza territoriale del tribunale di Catania – che ha una specifica autorità per i reati associativi – era decaduta, spiega Annalisa Camilli su Internazionale.
A metà aprile, poi, il Gip di Ragusa dispone il dissequestro della nave perché sostiene che l'ONG abbia agito in uno "stato di necessità", regolato dall’articolo 54 del codice penale che stabilisce l’impunità per chi ha commesso un reato “costretto dalla necessità di salvare sé o altri dal pericolo attuale di un danno grave”. Un mese dopo, il tribunale del Riesame di Ragusa conferma il dissequestro della nave, rigettando il ricorso della Procura contro la decisone del Gip.
I magistrati infine rinunciano a ricorrere in Cassazione contro questa decisione. La procura di Catania ha continuato comunque l'indagine sul soccorso nel marzo scorso di 218 migranti operato dalla Open Arms. Lo scorso 5 aprile gli indagati sono stati convocati dai magistrati catanesi, ma non si sono presentati perché, spiegavano i loro avvocati, l'invito a comparire era stato "recapitato nonostante il provvedimento del Gip di Catania che, ritenendo non seria l'imputazione associativa, ha ordinato la trasmissione degli atti alla Procura di Ragusa per competenza". A metà giugno, poi, "il perito nominato dalla procura di Catania per analizzare i cellulari sequestrati ai due indagati ha preso in mano per la prima volta i due apparecchi. I controlli, però, sono stati posticipati perché i telefoni avevano inseriti i rispettivi codici Pin. «I nostri assistiti hanno già fatto sapere che li forniranno. Non hanno nulla da temere», hanno comunicato gli avvocati", scrive MeridoNews. Il 10 luglio, poi, è stata pubblicata la notizia della disposizione della consulenza tecnico legale da parte dei magistrati per recuperare i file dei telefonini sequestrati agli indagati.
- I movimenti delle ONG e l'uso di satelliti militari
Travaglio ha inoltre raccontato di quanto rivelato da satelliti militari riguardo a movimenti di navi di ONG salpate "all'improvviso" dai porti europei (soprattutto italiani) per far rotta verso un punto X del mare, "in simultanea o addirittura in anticipo sulla partenza di un barcone carico di migranti dalla costa libica che, guardacaso, puntava dritto verso X".
La fonte di questa ricostruzione è un articolo uscito il 22 marzo scorso sul Fatto Quotidiano a firma di Antonio Massari in cui si parlava di ipotesi investigative sull'operato delle ONG e non di fatti assodati. Il giornalista, in base a proprie fonti, scriveva che "grazie a un satellite nella disponibilità del ministero della Difesa – e delle nostre agenzie – i poliziotti del Servizio centrale operativo e gli investigatori della Guardia di Finanza, stanno raccogliendo informazioni essenziali" sull'operato delle Organizzazioni non governative. Gli elementi raccolti "hanno convinto gli inquirenti che tra ONG e scafisti si siano realizzati nel tempo contatti" (che avrebbero "in qualche modo agevolato il business dei trafficanti") e in base a filmati satellitari gli investigatori "avrebbero riscontrato che, agli assembramenti dei migranti sulla costa, pronti a imbarcarsi, corrispondevano precisi movimenti delle navi di alcune ONG". Massari scrive anche che "in soccorso" è giunta anche "una sofisticata tecnologia israeliana" che ha permesso di far emergere "altre coincidenze sospette che rafforzano l’ipotesi dei contatti tra scafisti e volontari". Nessuno però, concludeva il giornalista de Il Fatto, "ha messo in discussione che l’intento delle ONG sia esclusivamente umanitario".
- La situazione in Libia
Di sessismo, migrazioni e dati oggettivi.
La mia risposta a @marcotravaglio https://t.co/fKBH1colW5— francesca mannocchi (@mannocchia) July 11, 2018
Anche Francesca Mannocchi ha replicato a Marco Travaglio, a cui, tra le altre cose, aveva chiesto da dove provenisse il dato delle 700mile – 1 milione di persone pronte a partire dalla Libia verso l'Italia. Mannocchi scrive che in Libia lo IOM (cioè l'Organizzazione Internazionale per le Migrazioni) "stima la presenza di 700mila migranti, presenza non significa pronti-a-partire, dato che semplicemente non esiste":
E il direttore Travaglio, mentre ironizza sulle vacanze nei lager (ah, ma non erano centri di accoglienza per voi?) dovrebbe sapere che per lunghi anni la Libia è stato paese di destinazione e non di transito. Paese cioè in cui decine di persone si recavano per lavorare e garantire un'entrata alle loro famiglie. Secondo IOM prima della caduta del regime di Gheddafi i migranti in Libia erano tra due milioni e due milioni e mezzo, molti dei quali andati via - non in Europa, per capirci, scappati e anche evacuati dalle organizzazioni internazionali verso i propri paesi di origine.
La giornalista continua spiegando che "la linea ufficiale dell'IOM (...) è che 'non si può assolutamente fare una stima delle persone che vogliono partire, la maggior parte delle persone che si trovano in Libia è acclarato che non vogliono partire, molte non hanno un piano migratorio' e quindi, conclude Mannocchi, "quello che dice Travaglio dimostra una conoscenza superficiale del tema Libia e del tema migratorio".
La parole di Mannocchi trovano corrispondenza nelle dichiarazioni sulla situazione in Libia del portavoce dell'IOM, Flavio di Giacomo, intervistato sul Fatto Quotidiano nel giugno scorso. Di Giacomo è intervenuto anche sui social, dopo quanto scritto da Travaglio, per ribadire il concetto.
Non è in alcun modo riscontrato che i 700mila migranti(stimati)in Libia siano pronti a partire:è una decisione legata a dinamiche mutevoli e quindi non quantificabili.Inoltre,la metà di loro proviene da Egitto,Niger,Ciad:nazionalità presenti agli sbarchi in numeri molto ridotti https://t.co/AhLezvhXxF
— Flavio Di Giacomo (@fladig) July 11, 2018
Il direttore del Fatto, nel suo secondo editoriale cita come una delle fonti del dato sui migranti in Libia pronti a partire verso le coste italiane, Lorenzo Cremonesi, giornalista del Corriere della Sera. Cremonesi nell'agosto del 2017 ha scritto un articolo in cui raccontava che per i migranti in arrivo dall’Africa la Libia stava diventando un gigantesco imbuto. Il giornalista spiegava che i migranti in attesa di partire a ridosso delle spiagge libiche verso l'Europa sarebbero stati "decine di migliaia", mentre quelli presenti nel paese africano sarebbero stati «circa un milione»: "Adesso pare che la cifra sia scesa a 6-700 mila. Alcuni cercano di tornare ai luoghi di origine. Ma sono pochissimi. La grande maggioranza è bloccata". Cremonesi, quindi, non parla di 700mila-1milione di persone pronte a partire dalla Libia verso l'Italia, come scritto da Travaglio nel primo editoriale. Si tratta dunque, come specificato nel secondo editoriale, di una sua deduzione non basata su dati ufficiali.
La replica del Fatto Quotidiano
ONG E MIGRANTI
Ciò che non si può smentire
[Leggi: https://t.co/J6JyPtfDFL di @marcotravaglio e @StefanoFeltri dal #FattoQuotidiano in #edicola oggi sabato #14luglio] pic.twitter.com/aacSf5bqRV— Marco Travaglio (@marcotravaglio) July 14, 2018
Il direttore del Fatto Quotidiano e il vice direttore Stefano Feltri hanno pubblicato un terzo commento, sabato 14 luglio, in risposta all'articolo di Annalisa Camilli su Internazionale.
I due giornalisti ribadiscono che c'è un "legame" "acclarato" e "rivendicato" tra alcune ONG e i trafficanti di esseri umani e riguardo le indagini in corso scrivono che "un conto sono i fatti, acclarati fin da subito, un altro le valutazioni giudiziarie sulla loro rilevanza penale e sull'attribuzione degli eventuali reati a tizio o caio. Gli equipaggi delle navi delle ONG indagate potranno essere anche tutti assolti, ma se – come nel caso della Iuventa (...), e non solo – le indagini evidenziano contatti (per usare un eufemismo) con scafisti, quei contatti restano. Saranno magari rapporti in buona fede, a fin di bene, ma sempre rapporti con scafisti (...)".
Travaglio e Feltri ritornano poi sulla questione del "pull factor" e citano il lavoro di Villa dell'ISPI: "Matteo Villa, ricercatore dell'Ispi, citato dalla Camilli e da altri fact checking che contestano il Fatto, nega che sulla base dei dati si possa sostenere che le ONG incentivino i migranti a partire". Secondo i due giornalisti però "il limite di queste analisi è che tendono a considerare la presenza o l' assenza di ONG come l'unico fattore rilevante, a parità di contesto. Mentre il contesto cambia parecchio e i morti in mare dipendono molto, per esempio, anche dalle condizioni atmosferiche alla partenza o da che tipo di barcone usano i trafficanti".
"Lo stesso Villa – proseguono il direttore e il vice direttore del Fatto – ha chiarito che il modo più efficace per salvare vite in mare è ridurre le partenze. Cosa che è avvenuta nell'estate 2017 per effetto della strategia italiana gestita dall'allora ministro dell'Interno Marco Minniti. In quei mesi difficili Minniti ha stretto accordi con le tribù della Libia a Sud che controllano i territori da cui transita il redditizio flusso di migranti, poi ha sostenuto la Guardia costiera libica e ha cercato di convertire i trafficanti delle coste in guardiani che fermassero le partenze. Dietro congruo compenso".
La risposta di Villa dell'ISPI
https://twitter.com/emmevilla/status/1018124797153247232
Villa risponde al Fatto quotidiano con un thread su Twitter.
Per capire quali fattori spieghino meglio le partenze di migranti dalla #Libia, il mio modello tiene conto di:
- attività SAR delle Ong (con due lag temporali);
- "policy change" a terra, da luglio 2017 a oggi;
- stagionalità (proxy delle condizioni atmosferiche medie).— Matteo Villa (@emmevilla) 14 luglio 2018
Il ricercatore spiega così che è falso quanto sostenuto da Travaglio e Feltri riguardo il presunto limite della sua analisi. Villa poi continua scrivendo che "si dice che io sostenga che 'il modo più efficace per salvare vite in mare è ridurre le partenze'. Questo è VERO, ma a patto che si sostituisca 'salvare vite in mare' con 'prevenire morti in mare'. Non è la stessa cosa", argomentando, in una serie di tweet, il motivo:
Mi spiego: nei 10 mesi (16 luglio 2017 - 15 maggio 2018) di "strategia Minniti", i morti e dispersi in mare tra chi è partito dalla Libia sono stati circa 1.000. Nei 10 mesi precedenti erano stati oltre 4.100. In generale, se le morti diminuiscono il rischio conta poco.
— Matteo Villa (@emmevilla) 14 luglio 2018
L'efficacia della "strategia Minniti" nel prevenire morti in mare va però letta sapendo che la riduzione delle morti in mare è avvenuta in concomitanza con la COSTANTE presenza di operazioni di ricerca e soccorso in mare, pubbliche e private.
— Matteo Villa (@emmevilla) 14 luglio 2018
In particolare, nei 10 mesi prima del calo le Ong hanno salvato circa il 39% di chi è sbarcato in Italia; nei 10 mesi successivi, il 41%.
Una quota pressoché identica. 👇 pic.twitter.com/mXCSG9xGwD— Matteo Villa (@emmevilla) 14 luglio 2018
La "strategia della deterrenza totale" del nuovo Governo sembra invece, almeno al momento, molto rischiosa.
- in 10 mesi di "strategia Minniti", circa 1.000 morti tra chi è partito dalla Libia;
- in un mese di Governo Conte, quasi 600. 👇 pic.twitter.com/uL4rLGI4Xy— Matteo Villa (@emmevilla) 14 luglio 2018
Mancano ancora evidenze per attribuire "responsabilità", tra spericolatezza degli scafisti e minore capacità SAR. Sull'enorme discrepanza nel numero di morti in mare però @marcotravaglio e @StefanoFeltri dovrebbero forse soffermarsi, mentre sorvolano.
— Matteo Villa (@emmevilla) 14 luglio 2018
Leggi anche >> Report e i servizi su migranti e ONG: un mare di critiche
Aggiornamento 18 luglio 2018: abbiamo aggiornato l'articolo con la correzione di Matteo Villa al suo primo tweet sul numero dei morti e dispersi in mare.
Foto in anteprima via Darrin Zammit Lupi / Reuters.