Report e i servizi su migranti e ONG: un mare di critiche
19 min lettura“Un mare di ipocrisia”. Questo è il titolo scelto da Report per la puntata (qui la trascrizione) andata in onda il 20 novembre scorso in cui “si è cercato di capire cosa sta succedendo oggi nel Mar Mediterraneo” riguardo ai flussi migratori, alle politiche europee e italiane nella gestione dell’arrivo di migliaia di persone in Europa, al ruolo delle Organizzazioni non governative e a cosa sta succedendo in Libia.
Questa sera ore 21.10 su @RaiTre#Report - "Un mare di ipocrisia"
di @cla_dipasquale
Guarda un'anticipazione su @RaiPlay: https://t.co/UgqWoxxvg9Quali sono le politiche adottate dall'Europa e dall'Italia per gestire i flussi migratori e contrastare il traffico di esseri umani? pic.twitter.com/kxjk6dMu4q
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Poche ora prima della puntata era stata pubblicata un’anticipazione (ripresa da RaiNews e Corriere della Sera) di un servizio di Francesca Ronchin che documenta il salvataggio avvenuto il 18 maggio 2017 ad opera della nave Aquarius della ONG Sos Méditerranée di 562 migranti a circa 15 miglia dalle coste della Libia: “se si allarga l’obiettivo si vede una realtà molto più complessa di quella che è stata raccontata fino ad ora”.
Ong, migranti, trafficanti, guardia costiera libica, missione interforze Sophia. Tutti insieme appassionatamente.
La sequenza filmata da @francescaronch al largo delle coste libiche in onda stasera a #Report (@RaiTre 21.10) https://t.co/HoLVBKA6ub pic.twitter.com/LpFFUSCWDN
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Il conduttore di Report, Sigfrido Ranucci, commentando a RaiNews le anticipazioni, dice che il «documento sta già facendo discutere (ndr diversi giornalisti che si occupano di queste tematiche hanno infatti criticato sui social network il taglio e alcune letture fornite dalla giornalista di Report di quanto accaduto il 18 maggio in mare), (...) si vede per la prima volta lo scenario completo di quello che succede nella fase di salvataggio dei migranti». Ranucci poi afferma di voler chiarire subito che la loro «non è un’inchiesta contro le ONG, qualsiasi mano salvi una vita umana è benedetta». Il conduttore aggiunge poi che «il mestiere delle ONG è quello di salvare le vite, il nostro è quello di raccontare la verità o comunque quella che ci sembra la verità dei fatti».
Sigfrido Ranucci da @AntDiBella @RaiNews: "Nostra non è un'inchiesta contro le ong, qualsiasi mano salvi una vita umana è benedetta" #Report pic.twitter.com/NRPfEhygoQ
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Cosa raccontano i reportage di Report
La parte della puntata di Report dedicata a migranti e alle tematiche collegate è composta da due servizi. Il reportage di Claudia Di Pasquale, a cui la giornalista ha lavorato questa estate, si concentra su vari aspetti, tra cui: cosa accade in Libia – dalla cui coste partono la maggior parte dei migranti diretti verso l’Italia/Europa – quali sono le condizioni dei campi di detenzione libici, il ruolo svolto dall'UNHCR e dell'OIM (Organizzazione internazionale delle migrazioni) in quel territorio.
I centri di detenzione in Libia: "Io ci sono stato tre mesi. Eravamo in 1500, mangiavamo una volta al giorno e non c’erano docce". #Report #unmarediipocrisia pic.twitter.com/CizJpykumP
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1) Quali accordi sarebbero stati raggiunti dal governo italiano con alcune milizie libiche per la gestione dei flussi migratori (accordi smentiti dal governo).
Secondo alcuni testimoni, l’Italia avrebbe fatto accordi con le milizie di Sabratha collegate ad Ahmed Dabbashi, considerato dall’Onu un trafficante di esseri umani. Come dire: paghiamo i trafficanti per non far partire i migranti. #unmarediipocrisia #Report pic.twitter.com/suS5gGyPsr
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2) Quali sono state le politiche di gestione del fenomeno adottate dall’Unione europea e dall’Italia, le problematiche legate alla gestione delle zone SAR (Search and rescue) dei paesi che si affacciano sul Mediterraneo (come la Tunisia e Malta) e delle convenzioni internazionali che regolano le responsabilità degli Stati nel salvataggio, soccorso e accoglienza dei migranti.
La solidarietà dei paesi Ue verso l’Italia consiste nel mettere a disposizione navi e personale, a condizione che i migranti vengano tutti portati nel nostro paese. #Report #unmarediiprocrisia pic.twitter.com/fjElK7nzfx
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3) L’addestramento della guardia costiera libica da parte dell’Italia su mandato dell’Europa e "il rischio" di coinvolgere in questa operazione “anche anche quella guardia costiera libica collusa coi trafficanti”.
Stiamo addestrando la guardia costiera libica. Ma tra i suoi capi c'è tale Al-Bija, legato ai traffici #unmarediipocrisia #Report pic.twitter.com/MlLBQ5DBoz
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4) Il ruolo delle ONG, chi le gestisce e finanzia.
Il presidente di SOS Méditerranée è anche a capo di una compagnia di assicurazioni marittime con sede alle Bermuda e all’Isola di Man. #Report #unmarediipocrisia pic.twitter.com/wUtixpolnh
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5) L’inchiesta della Procura di Trapani nei confronti di singole persone dell’equipaggio della ONG tedesca Jugend Rettet, accusate, “pur agendo per fini umanitari”, di reato di favoreggiamento di immigrazione clandestina, che ha portato al sequestro (qui il decreto) della nave “Iuventa” nell’agosto scorso – il ricorso per il dissequestro presentato dall’avvocato difensore, Leonardo Marino, è stato respinto il 23 settembre dal Tribunale del riesame di Trapani. Commentando la decisione dei giudici, Marino aveva affermato che «probabilmente» sarebbe stato presentato ricorso in Cassazione – e le risposte della ONG tedesca.
Leggi anche >> ONG, migranti, trafficanti, inchieste. Tutto quello che c’è da sapere
6) Nel reportage si parla anche del cosiddetto "codice di condotta" che, afferma la giornalista, a fine luglio scorso "il governo ha imposto alle ONG". Sulla questione viene intervistato Nicola Latorre, presidente della Commissione difesa del Senato. Alla domanda di Di Pasquale sul perché ad oggi «non salga nessun ufficiale della polizia giudiziaria a bordo delle ONG», Latorre risponde che il governo non può imporre «a navi che battono bandiera di altri paesi la presenza della polizia giudiziaria italiana. Possiamo fare un appello, possiamo prevedere un codice di condotta questo come uno dei requisiti che rendono più affidabile e credibile la ONG».
Questa estate il governo impone alle ong un codice di condotta.
1. tutte le operazioni coordinate dalla Guardia costiera italiana
2. trasparenza sulle fonti di finanziamento
3. disponibilità a far salire a bordo i funzionari di polizia giudiziaria#Report #unmarediipocrisia pic.twitter.com/Gm3LXCwS1i
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All'interno del reportage, viene inserito anche il servizio di Francesca Ronchin intitolato "Il Salvataggio" in cui viene appunto documentato il salvataggio di centinaia di persone il 18 maggio scorso da parte delle ONG a circa 15 miglia dalle coste libiche. La giornalista (insieme ad altri colleghi presenti) registra dall'Aquarius – nave gestita da Sos Méditerranée gestita in partnership con Medici Senza Frontiere (MSF) – con la sua telecamera, cosa succede in quelle fasi.
Le immagini di @francescaronch riprese il 18 mlaggio a 15 miglia dalla costa libica. Oltre a migranti e trafficanti ci sono quelli che Frontex chiama facilitatori. Chi sono? #Report pic.twitter.com/HfxCBvnhod
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Mentre scorrono le immagini, il telespettatore ascolta la voce fuoricampo della giornalista: si vedono "due rhib di soccorso delle ONG, una motovedetta con la scritta “guardia costiera libica”, con loro ci sono anche dei barchini di legno". Nel servizio si vede chiedere Ronchin agli operatori di MSF chi sono quest'ultimi soggetti: «A bordo ci spiegano che si tratta di “pescatori”: "Sono pescatori, stanno pescando"». Una risposta che la giornalista, sempre fuori campo, commenta: «Pescatori ma senza reti o canne da pesca a bordo» e aggiungendo che in realtà «sarebbero facilitatori dei trafficanti».
Ronchin prosegue nel suo racconto: «Improvvisamente, il barchino si allontana e con loro anche la motovedetta (ndr libica). Ufficiali del governo libico di Sarraj ci dicono che la motovedetta, con a bordo uomini in mimetica e armati di kalashnikov, non è loro». La giornalista sottolinea che un operatore della Ong fa un saluto con la mano alla motovedetta che si sta allontanando: «Il saluto però, è d’obbligo», commenta. Continua poi Ronchin: «È una giornata di salvataggi, sono in arrivo una decina di imbarcazioni cariche di migranti. Le ONG ci sono quasi tutte. (...) Non c’è invece la guardia costiera italiana come non c’è nessuno di Frontex». Vengono mostrate le immagini di un elicottero «della missione militare europea Sophia» che sorvola la scena: «Ha il compito di fermare i trafficanti. Sorvola il mare per qualche minuto poi se ne va».
Il servizio racconta poi che gli uomini sulla motovedetta libica «bruciano le barche usate per trasportare i migranti» ma che prima di farlo «verificano che il motore sia funzionante»: «la motovedetta si affianca alla barca in legno. Un uomo solleva e sposta il motore. Siamo troppo lontani per capire se l’abbia tratto in salvo. Quel che è certo è che sulla barca il motore non c’è più».
La voce fuori campo di Ronchin, che racconta le immagini che si vedono, continua dicendo che «dietro la nave di Medici Senza Frontiere avviene la consegna di una barca alla motovedetta libica» da parte degli operatori di una ONG. La giornalista definisce la procedura «un'anomalia» perché «il codice di soccorso prevederebbe l’affondamento della nave e del motore».
Arrivano poi altri gommoni carichi di migranti «scortati dai barchini dei facilitatori» che, afferma la giornalista, «danno istruzioni a un migrante messo al timone». Ronchin prosegue dicendo che gli uomini nel barchino «indicano la rotta, poi gli ordinano di aspettare. Si girano e indicano la nave su cui siamo a bordo», un gesto che la giornalista ipotizza voglia dire “Ora vi vengono a prendere”: «Quando i soccorritori della ONG si allontanano, i facilitatori si avvicinano per controllare qualcosa. Appena i soccorritori si apprestano a tornare, ecco che si allontanano».
Il meccanismo sembra rodato. Il soccorritore della ong alza il braccio destro, e il facilitare ricambia il saluto. #Report pic.twitter.com/ETAZzmkoSx
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La giornalista afferma poi che «nelle immagini delle ONG però i barchini dei facilitatori non appaiono mai». Il motivo le viene spiegato da un volontario tramite un messaggio su "WhatsApp".
In un sms un volontario delle ong rivela a #Report: "Avevamo l’ordine di non riprendere i barchini con gli scafisti, altrimenti ci avrebbero lasciato a casa". pic.twitter.com/W0cACSkIXz
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Infine, il servizio continua raccontando che «tratti in salvo i migranti, i facilitatori tornano a prendere i giubbotti salvagente. I trafficanti li vendono al costo di 200 dollari, ai migranti che se lo possono permettere». La giornalista spiega poi il «meccanismo» che sarebbe dietro questa scena: «Alcuni migranti sono già provvisti di giubbotto. Quando le ONG arrivano però, distribuiscono i loro giubbotti. Quelli indossati dai migranti invece vengono lasciati sul gommone, preda dei facilitatori, che potranno così rivenderli». Ronchin dice che «il sospetto è che sia frutto di un tacito accordo tra facilitatori e ONG che quando tornano a bordo del gommone per affondarlo, lasciano i salvagenti a bordo». Una procedura che avviene davanti «agli occhi passivi della motovedetta libica che con i facilitatori e i trafficanti sembra anche avere un buon rapporto. Il suo ruolo sembra quello di assicurarsi che la merce, cioè i migranti, venga consegnata».
Facciamo il lavoro sporco per quei politici che in Europa per un po' di consenso alzano muri e barricate #Report #unmarediipocrisia pic.twitter.com/uNLWxk3z4e
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La parte della puntata dedicata a questo tema termina con un discorso di Ranucci in studio in cui elenca quali sarebbero le ipocrisie delle organizzazioni internazionali, dell'ONU, della Francia, dell'Unione europea dietro il flusso dei migranti in Europa e la sua gestione. Il conduttore di Report cita poi anche l'ipocrisia dell'Italia: «Quella dell’accordo che il nostro ministro dell’Interno ha fatto per stoppare l’immigrazione giù a valle (ndr in Libia), ecco è un accordo brutto, bruttissimo. Lo sa lui stesso che è il grande assente della nostra inchiesta». Secondo Ranucci si tratta di un «patto scellerato» nato «per stoppare la deriva populista, capace di condizionare pesantemente le campagne elettorali, perché noi non sappiamo gestire il fenomeno. Siamo incapaci di una gestione statale, di una organizzare statale dell’accoglienza, dell’immigrazione, dell’integrazione, che toglierebbe anche linfa vitale al malaffare». In conclusione, il conduttore si domanda «c’era un’alternativa a tutto questo?». La risposta che viene fornita è affermativa: «Sì, se l’Europa avesse fatto unire i fatti alle parole. Invece il paradosso qual è? Che ci ha anche ringraziato per la prima volta perché abbiamo fatto il lavoro sporco per quei politici che in giro per l’Europa per un po’ di consenso in più, una manciata di consenso alzano muri e alzano barricate. Ecco abbiamo fatto il lavoro sporco per loro, abbiamo contribuito a tenerli lontani a nascondere la polvere sotto il tappeto».
Le critiche e i fact-checking alla puntata di Report
La puntata di Report è stata criticata da diversi giornalisti specializzati (che hanno lavorato e lavorano sul campo, con servizi, articoli e reportage dalle navi delle ONG (e non solo), dalla Libia, dai territori dell'Africa del Nord dove avviene il traffico di esseri umani). Nei giorni seguenti articoli di fact-checking sono stati pubblicati su diverse testate. Le principali argomentazioni di questi commenti e articoli si concentrano sul fatto che durante la puntata di Report sono state raccontate cose inesatte, parziali che hanno semplificato questioni complesse creando confusione nell'opinione pubblica.
Riguardo al reportage di Claudia Di Pasquale, ad esempio, Francesca Mannocchi, reporter per diverse testate italiane ed estere, ha evidenziato come alcune informazioni fornite ai telespettatori non fossero aggiornate, presentando inesattezze rispetto allo scenario attuale, come nel caso del ruolo del libico Bija.
Bija non è più a capo della guardia costiera di Zawhia. Lui e il suo sodale Ahmed Dabashi sono stati sconfitti due mesi fa in una guerra a Sabratha vinta dall'Operation Room. #Report
— francesca mannocchi (@mannocchia) November 20, 2017
Tra le altre critiche avanzate, c'è anche quella di Tommaso Gandini, attivista di "Over the Fortress" e una delle persone intervistate dalla stessa giornalista di Report, che, in un articolo su Melting Pot Europa dedicato alla puntata, afferma che nel corso della trasmissione viene citata una "'Direttiva europea sul porto vicino" o sul ’porto sicuro" che in realtà non esiste e che il "codice di condotta" voluto da Minniti viene presentato "come utile e necessario", senza cioè un contesto critico che lo spieghi. Ad esempio, il "codice" non è una legge, si rifà principalmente a norme già presenti nel Codice della navigazione italiana e nelle convenzioni internazionali e riguardo alla novità concreta che introdurrebbe, cioè la presenza a bordo della nave della ONG di "funzionari di polizia giudiziaria", è stato precisato in un "addendum" aggiunto dal Ministero dell'Interno dopo un incontro con Sos Méditerranée l'11 agosto scorso che le forze dell'ordine potranno salire sulle imbarcazioni solo su mandato dei magistrati, non automaticamente e non interferiranno con la missione umanitaria.
Le critiche maggiori, però, si sono concentrate sul servizio di Francesca Ronchin. Il metodo giornalistico è stato infatti considerato non corretto perché basato ad esempio sull'utilizzo di "illazioni" e ipotesi di un "tacito patto" tra ONG e "facilitatori di trafficanti" non fornendo prove ma interpretazioni personali. Sul servizio in questione sono stati pubblicati articoli di fact-checking su Altraeconomia, Vita.it e Avvenire.
Scrive Altraeconomia che le immagini di Ronchin mandate in onda da Report, erano già state utilizzate dalla stessa giornalista per un altro servizio intitolato ""Aquarius” – Così si salvano i migranti vicino alle coste libiche" andato in onda su "Porta a Porta" mesi prima (Ronchin ha iniziato a lavorare per la trasmissione condotta da Sigrifido Ranucci nell'ottobre scorso): "Report non lo dice ai suoi telespettatori. Anzi: con le stesse immagini e la stessa voce narrante viene confezionato un servizio completamente diverso da quello di Rai1".
Il servizio andato in onda nel programma condotto da Bruno Vespa, inizia raccontando che "oggi (18 maggio 2017) ci sono cinque ONG schierate con altrettanti navi e un aereo di pattugliamento". La giornalista continua dicendo che le imbarcazioni dei migranti partite dalla Libia "sono in tutto 22 (...) molti gommoni e qualche barca di legno che la guardia costiera del governo di Sarraj, appoggiato dalle Nazioni Unite, brucia per sottrarle agli scafisti". Ma se nel servizio di Rai 1, l'imbarcazione libica viene identificata da Ronchin appartenente alla guardia costiera del governo di Sarraj, nel servizio andato in onda su Rai 3 viene invece comunicato il contrario, ossia "ufficiali del governo libico di Sarraj ci dicono che la motovedetta (...) non è loro". Nel servizio andato in onda a Porta a Porta compare anche l'immagine del saluto di un operatore della ONG alla motovedetta libica, un gesto che, in questo caso, non viene sottolineato dalla giornalista come invece nel servizio visto su Report.
Il video di Porta a Porta prosegue evidenziando la presenza di altre "piccole imbarcazioni" che i volontari dell'Aquarius definiscono di "pescatori" e raccontando come "dopo aver tratto in salvo i migranti le ONG distruggono i gommoni e buttano in acqua i motori" e che "se non fanno in tempo il gommone resta in balia di questi pescatori". Nei confronti di queste persone, spiega ancora la giornalista nel servizio andato in onda su Rai 1, "la guardia costiera libica non sembra effettuare nessuna attività di contrasto. Anzi in più momenti li notiamo affiancarsi". In questo caso, non si parla di un "tacito patto" tra ONG e facilitatori, ma si sottolinea soltanto il mancato contrasto della guardia costiera libica nei confronti dei "pescatori".
Per questi motivi, Altraeconomia si chiede "com’è possibile che con le stesse immagini – giornalisticamente “vecchie” e tratte peraltro da un’altra trasmissione Rai senza che ne venisse dato conto al telespettatore – siano potute derivare letture così differenti da parte della stessa giornalista autrice delle riprese? Che cosa è successo – quali elementi/filmati nuovi sono emersi – tra la prima messa in onda su Porta a Porta e la successiva riproposizione su Report?"
Ottavia Spaggiari su Vita.it verifica invece alcune ricostruzioni fornite dalla giornalista di Report. Ad esempio, il fatto che sulla scena di un salvataggio non siano presenti navi della Guardia Costiera italiana o di Frontex non è una particolarità, perché "la procedura di salvataggio prevede un coordinamento via radio del Centro Nazionale di Coordinamento del Soccorso in Mare (MRCC) della Guardia Costiera italiana, con sede a Roma. Ricevuta la segnalazione di una situazione di difficoltà o intercettata una richiesta di soccorso, l’MRCC invia in aiuto le imbarcazioni più vicine" che possono essere ONG o altri soggetti come navi militari o commerciali. Lo stesso comando della Guardia Costiera italiana, il 18 maggio scorso, aveva comunicato:
Sono circa 2.300 i migranti tratti in salvo nella giornata di oggi nel Mediterraneo Centrale in 22 operazioni di soccorso coordinate dalla Centrale Operativa della Guardia costiera di Roma, del Ministero delle Infrastrutture e Trasporti. I migranti, che si trovavano a bordo di 12 gommoni e 10 barchini, sono stati recuperati da Unità della Guardia Costiera Italiana, assetti del dispositivo Eunavformed e unità di ONG.
Inoltre, continua Spaggiari, "è molto comune che non ci siano né la Guardia costiera italiana, né Frontex. Come ripetuto, la Guardia Costiera italiana coordina le operazioni dalla centrale di Roma e, a differenza di 'Mare Nostrum', 'Triton' (ndr qui nel dettaglio come funzionano queste operazioni) l’operazione di Frontex il cui scopo principale è il controllo della frontiera e non il soccorso".
Riguardo poi al "saluto" che un operatore di una ONG rivolge alla motovedetta libica, la giornalista di Vita.it scrive che "come ha ricordato Luca Misculin su Il Post, 'Nei casi più gravi, le operazioni della Guardia costiera (ndr libica) sembrano confondersi con quelle delle milizie armate, che secondo Nancy Porsia, giornalista esperta di Libia, fanno parte di un sistema che «permea tutta la struttura della società» libica. Il ruolo di queste milizie è diventato così rilevante che alcuni analisti ipotizzano persino che non esista un solo corpo di Guardia costiera, ma due, tre, oppure tante quante sono le milizie che controllano le città costiere'. Il saluto è d’obbligo, perché in mare, in una situazione critica e soprattutto durante un’operazione di soccorso, è d’obbligo anche ridurre potenziali conflitti o fraintendimenti".
Dinamiche che Angela Caponnetto, reporter e giornalista di RaiNews, critica sul servizio andato in onda, racconta a Valigia Blu in base all'esperienza di altri colleghi e sua: «Una mia collega del Tg3 è stata a maggio scorso sull'Aquarius con un cameraman che lavora qui a RaiNews: a loro è successo che, proprio perché si sono avvicinati troppo, i militari della guardia costiera libica hanno sparato in aria avvertendo che il prossimo colpo sarebbe stato ad altezza uomo. Anche io sono stata sull'Aquarius un anno fa: nel mio caso, la motovedetta libica si è avvicinata, noi siamo andati tutti in una stanza di sicurezza all'interno della nave, perché in quel momento non si sa cosa può succedere, visto che non sai di preciso chi sono questi uomini armati sulle motovedette». La giornalista, prosegue, vede anche lei gli operatori della ONG salutare questi uomini e ne chiede il motivo: «Loro mi rispondono che il saluto ci consente di capire se queste motovedette vengono in amicizia o no». I gesti di saluto, quindi, afferma Caponetto, «sono misure di sicurezza di persone disarmate».
Sul messaggio del volontario della ONG, mostrato da Ronchin, in cui si afferma che da parte delle organizzazioni c'è "l'ordine di non riprendere i barchini dei facilitatori. Altrimenti si resta a casa", Sos Méditerranée ha pubblicato un comunicato in cui si dice che Report "omette di precisare le preoccupazioni relative alla sicurezza che hanno condotto alla scelta di non esporre le squadre dei soccorritori a un rischio potenziale di fronte alla presenza di imbarcazioni non identificate". Un'istruzione che viene fornita anche a "tutti i giornalisti e i fotografi imbarcati sulla nave Aquarius quando si trovano a bordo delle lance di salvataggio, di evitare qualsiasi azione, come quella di scattare foto, che potrebbe essere interpretata come una aggressione da parte dei membri dell’equipaggio di imbarcazioni non identificate che si presentano come “Guardia Costiera Libica” e che potrebbe provocare una reazione imprevedibile da parte loro. Questa istruzione era ancora più importante nel corso di una giornata di salvataggi di massa, per evitare di mettere in pericolo la vita dei soccorritori e delle persone in difficoltà".
Riguardo poi al sospetto della giornalista di "un tacito accordo tra facilitatori e ONG" dietro il meccanismo di vendita dei giubbotti salvagente, Sos Méditerranée respinge l'ipotesi e spiega: "I marinai soccorritori della Aquarius sono quotidianamente testimoni della situazione di estremo pericolo nella quale si trovano i passeggeri dei gommoni, la stragrande maggioranza dei quali è sprovvista di giubbotti salvagente. Quando tuttavia alcuni ne sono equipaggiati, questi giubbotti salvagente non rispondono ad alcuna norma in vigore e non permetterebbero a una persona caduta in acqua di restare a galla più di qualche minuto. Alcuni giubbotti salvagente di cattiva qualità sono quindi talvolta abbandonati tra i relitti alla fine delle operazioni di salvataggio".
Steve Scherer, reporter, corrispondente della Reuters ed esperto di tematiche legate all'immigrazione, che era presente lo scorso 18 maggio, insieme a Ronchin, sulla nave Aquarius e che ha documentato tutti e quattro i salvataggi dei migranti all'interno dei rhib della ONG, ha dichiarato a Nello Scavo su Avvenire: «I nostri filmati e tutto quello che abbiamo raccolto in quei giorni ci ha fatto giungere a conclusioni opposte» rispetto al servizio di Report.
Sentito da Valigia Blu, Scherer ha affermato che il barchino che si vede nel filmato era dei cosiddetti «pescatori di motori», cioè «sciacalli che sono lì per rubare, per prendere qualcosa che viene lasciato in mare e cercare di fare un po’ di soldi» rivendendola una volta tornati sulla terraferma. «Questi uomini – continua il corrispondente di Reuters – volevano prendere il motore (ndr dell'imbarcazione dei migranti)». Era un momento teso, aggiunge il giornalista, spiegando che allora ci si poteva trovare di fronte a uomini armati, mentre l’organizzazione umanitaria non ha armi. «A un certo punto questi uomini hanno puntato il dito verso il motore dei barconi e il capitano del rihb ha detto “no” ed è salito sul barcone dove c’erano ancora i migranti, ha tolto il motore e l’ha buttato in mare per non farglielo prendere. I motori sono stati tolti a tutti e quattro i gommoni dei migranti che sono poi stati distrutti». Secondo Scherer, le ONG facevano di tutto per non favorire queste persone: «non c’era un tacito accordo tra soccorritori e questi pescatori, ma c'era tensione, anzi. Hanno avuto coraggio a buttare il motore a mare quando hai a che fare con uomini che possono essere armati».
Immagini inedite dal 18 maggio che smentiscono le illazioni di Report. Dramma migranti, gli sciacalli "pescatori di motori" https://t.co/UVtrTub0P0 via @RaiNews
— Steve Scherer (@SchererSteve) November 23, 2017
Infine, sull'"anomalia" segnalata da Ronchin, cioè la consegna da parte di operatori di una ONG "di una barca alla motovedetta libica" invece di distruggerla come "prevederebbe il codice di soccorso", Annalisa Camilli, giornalista di Internazionale, ha ribattuto su Twitter che "nessun codice di soccorso prevede che i barconi debbano essere affondati dai soccorritori". Scherer ha spiegato inoltre a Valigia Blu che le Organizzazioni non governative coinvolte nei salvataggi «hanno in generale diverse politiche su cosa fare con i barconi che rimangono, dopo che hanno salvato le persone». Di prassi, continua, i barconi di legno non vengono bruciati dalle ONG per motivi di sicurezza: «Gli operatori umanitari segnalano la presenza di questa barca alla marina militare che dovrebbe mandare lì qualcuno per bruciarla. Quel giorno c’era questa motovedetta libica che faceva questa operazione (ndr come racconta anche il video di Report)».
La critica di Paolo Mondani di Report alla trasmissione
Tra le critiche ricevute da Report, c'è anche quella di Paolo Mondani, giornalista che da anni lavora alla trasmissione d'inchiesta della RAI. Mondani, in un suo status su Facebook, pubblicato diversi giorni dopo la trasmissione, ha ripreso diverse posizioni pubbliche di alcuno colleghi su quanto andato in onda lunedì 20 novembre, ritenendo "che quella puntata sia stata un errore. Senza se e senza ma". Il post è stato ripreso anche da Amedeo Ricucci, altro reporter e giornalista RAI che si occupa con reportage sul campo di Medio Oriente e Nord Africa.
Le risposte di Report
Il giorno successivo alla trasmissione, le due giornaliste dei reportage mandati in onda da Report, insieme a Sigrifido Ranucci, hanno risposto ad alcune delle critiche durante una diretta Facebook sulla pagina del programma.
Claudia Di Pasquale risponde a questo commento di Francesca Mannocchi su "un errore" nella ricostruzione all'interno del reportage.
Volevo segnalare un errore nella ricostruzione. A Settembe a Sabratha c'è stata una guerra durata due settimane, Ahmed Dabashi e al Bija alleati sono stati sconfitti dalle forze dell'Operation Room. Dunque la situazione descritta dal COnsiglio di sicurezza dell'Onu nel Report citato durante la puntata è una situazione datata e superata. Oggi infatti al Ammu- Dabashi non è più a capo della rete di trafficanti della città di Sabratha. Ma altre milizie stanno prendendo il suo posto.
La giornalista di Report spiega innanzitutto che «stiamo lavorando a questo pezzo da mesi e siamo andati un po' inseguendo l'attualità, nel senso che sono accadute tante cose: noi abbiamo iniziato quando gli sbarchi erano ancora tanti, poi ci siamo ritrovati che gli sbarchi sono finiti, poi ripresi. Quando abbiamo iniziato a lavorare al reportage neanche esisteva un codice di condotta per le ONG, poi c'è stato questo codice con tutto il dibattito a cui abbiamo assistito». Riconosce poi l’errore, ma lo inserisce nel contesto del suo lavoro che resta corretto: «quello che non abbiamo detto, per semplificare la storia, probabilmente è stato un nostro errore, ma non si può dire che la ricostruzione fosse sbagliata».
Si passa poi al servizio di Francesca Ronchin. Anche in questo caso Mannocchi scrive un commento con vari punti di critica.
Nel pezzo inserito nel reportage Il Salvataggio, ci sono alcuni errori: 1) non esiste un codice di salvataggio che impone la distruzione dei gommini 2) non c'è alcuna prova di un tacito accordo tra ONG e 'facilitatori', mi piacerebbe sapere dunque da cosa nasca il 'sospetto del tacito accordo' 3) tutti noi giornalisti che abbiamo lavorato sulle navi delle ONG sappiamo che i 'facilitatori' possono essere armati, per questo è necessario essere molto cauti nell'approccio verso quelle imbarcazioni, come è confermato dal giornalista di Reuters che era presente con la Ronchin il giorno in cui il servizio è stato girato. Infatti in questi mesi almeno due imbarcazioni delle ONG hanno subito attacchi armati.
Riguardo al primo punto, Ronchin spiega che nel servizio non ha mai parlato di un "codice di salvataggio", ma di "codice di soccorso", cioè qualcosa di informale: «una sorta di buona prassi che alcune ONG come Sos Méditerranée rispettavano, come nel caso dei gommoni». Poi mostra un documento della Procura di Trapani del 2 agosto 2017, nel quale si legge che “come detto da rappresentanti del Centro Marittimo di Controllo delle Operazioni in mare, in assenza di disposizioni scritte sulle procedure da adottare viene raccomandato di rendere inutilizzabili i natanti usati per portare i migranti per evitare un loro reimpiego”. Rispetto, inoltre, alla consegna dei barchini di legno alla motovedetta libica da parte di un rihb di una ONG, definita nel servizio "un'anomalia", Ronchin dice: «Non sappiamo a quale ONG appartenesse, non sappiamo nemmeno quale fosse la prassi in uso. Abbiamo visto in lontananza questo rihb trascinare questa barca ancora provvista di motore nelle mani della motovedetta libica e questo ci è parso piuttosto curioso».
Sul "tacito accordo" tra ONG e facilitatori interviene Ranucci affermando che «il sospetto del tacito accordo viene dalla immagini, ma questo non vuol dire che sia penalizzante per le ONG». In quanto «è ovvio che se tu hai a che fare con persone armate il tacito accordo te lo impongono loro».
Sul terzo punto, ossia la figura dei pescatori di motore/facilitatori di trafficanti, Ronchin si domanda perché i movimenti di queste persone non sono stati documentati dai giornalisti. Steve Scherer, però, nel corso dell'intervista a Valigia Blu, ha detto che il 18 maggio scorso, ha «filmato e fatto foto a questi "pescatori di motori" tutto il tempo».
Ranucci aggiunge poi che è intuibile perché da parte delle ONG non vengono scattate foto: «devono tornare su quel posto, devono lavorare, devono salvare vite umane, ma i giornalisti hanno un’altra missione altrimenti è uguale a quella dei giornalisti embedded che sono appresso alle truppe e non fanno vedere quello che accade realmente in uno scenario di guerra». Ronchin ritorna però sul punto, mostrando lo scambio su WhatsApp con un volontario di una ONG e in base a questo dice che le mancate foto ai "facilitatori" non riguardano una questione di sicurezza: «La risposta ce l'ha data un volontario, in cui ci spiega quella che è stata la sua esperienza: c'era questo ordine implicito di non fotografare i trafficanti o i facilitatori di trafficanti per una questione di rispetto. Nel caso fossero state scattate delle foto ai facilitatori di trafficanti, mentre erano impegnati nel recupero di un motore, questa avrebbe potuto creare loro problemi. Quindi si tratta di fare buon viso a cattivo gioco, ma allora diciamolo, c’è un gioco di squadra probabilmente». C'è da specificare che il messaggio del volontario costituisce, comunque, un elemento che necessita ulteriore verifica con altre fonti indipendenti fra di loro.
Un probabile gioco di squadra che, però, aggiungono i due giornalisti, è finalizzato a salvare vite umane. «Anche perché – specifica ancora Ronchin – non è facile comportarsi in quelle condizioni, senza istituzioni (...), in completa solitudine, di fronte a uomini armati». Un'ipotesi che senza prove rimane però un'opinione soggettiva della giornalista.
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