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Accordo Ue-Turchia sui migranti, un anno dopo: “Un fallimento sul piano dei diritti umani”

20 Marzo 2017 9 min lettura

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Accordo Ue-Turchia sui migranti, un anno dopo: “Un fallimento sul piano dei diritti umani”

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di Angelo Romano e Andrea Zitelli

"Una macchia sulla coscienza collettiva dell'Europa". Con queste parole Amnesty International ha ribadito la ferma condanna all'accordo Ue-Turchia sulla gestione dei migranti, un anno dopo la sua attuazione. Un piano che continua a ricevere dure critiche dalle organizzazioni umanitarie internazionali: se da una parte viene sbandierato come obiettivo raggiunto il drastico calo degli arrivi in Grecia, con l’Europa che punta a consolidare il programma, dall’altra numerose Ong denunciano il fallimento dell’accordo sul piano del rispetto dei diritti umani fondamentali.

Anche i rapporti diplomatici tra i due firmatari dell'accordo si confermano tesi, con la “minaccia”, nell'ultima settimana, da parte della Turchia di tornare indietro sull’intesa raggiunta nel marzo del 2016. Inoltre, una decisione dell’Alta Corte di Atene sul ricorso presentato da due rifugiati siriani, dopo che la loro richiesta di asilo in Grecia era stata respinta, potrebbe avere ripercussioni giuridiche sull’intero accordo Ue–Turchia. I due rifugiati rifiutano di essere rispediti ad Ankara perché non lo ritengono un paese sicuro. Uno dei due siriani sostiene che la polizia turca abbia sparato contro di lui e un gruppo di persone che tentavano di attraversare la frontiera dalla Siria. Human Rights Watch ha documentato casi simili. La decisione è attesa per metà aprile. Se i giudici accoglieranno il ricorso, sarà un precedente per cui la Turchia potrà essere ritenuta un paese terzo non sicuro. In caso contrario, si aprirebbe la strada a massicci rimpatri dalla Grecia verso la Turchia, si legge su Euobserver. La Commissione europea non ha commentato le eventuali implicazioni del verdetto sulla tenuta dell’accordo.

"Condizioni estreme, violenze, disagi psichici e malattie mentali, a rischio la sicurezza dei minori"

Organizzazioni umanitarie e associazioni che si battono per la difesa dei diritti umani e civili hanno voluto documentare a un anno dall'attuazione dell'accordo come, per quanto riguarda il rispetto dei diritti umani, i risultati siano pessimi. A destare maggiore preoccupazione sono le condizioni di vita dei migranti, soprattutto delle decine di migliaia di persone rimaste intrappolate nei campi sulle isole greche in condizioni difficili e di sovraffollamento. Secondo i dati dell'UNHCR, la capacità di accoglienza ufficiale massima presso le strutture ufficiali e informali sulle cinque isole principali greche è di 8.759 posti, rispetto ai 12.963 richiedenti asilo presenti al 14 marzo, ha spiegato Human Rights Watch.

via UNHCR.

Il rapporto di Medici senza Frontiere – A un anno dall’accordo Ue-Turchia: sfidare “i fatti alternativi” della Ue –, pubblicato il 16 marzo scorso, punta a sfatare “tre grandi ‘fatti alternativi’ che l’UE attribuisce all’accordo, ovvero che offra ai migranti un’alternativa per non rischiare la vita, che le condizioni delle isole greche siano abbastanza accettabili per sostenere l’attesa della procedura di asilo, che l’accordo rispetti i principi fondamentali dei diritti umani”.

Riporta infatti MSF nel rapporto che per quanto riguarda il primo punto, il mix di due fattori come la chiusura dei confini europei e la mancanza di sicurezza e vie legali per entrare nell’unione europea “sta costringendo le persone a ricorrere all’utilizzo di contrabbandieri con sempre più iniziative di viaggi pericolosi”. Riguardo la situazione nelle isole greche, poi, Medici senza Frontiere denuncia che durante le visite, i pazienti affermano di non sentirsi sicuri nei campi, tra racconti di uso diffuso di alcool, abuso di droga, molestie sessuali e violenze giornaliere. Sulle isole di Samos e Lesbo, i team di psicologi dell’organizzazione hanno registrato un peggioramento dello stato di salute mentale delle persone, “con la maggior parte dei pazienti che cita, tra le cause o come fattore aggravante dei loro problemi psicologici, le cattive condizioni di vita e il rischio di dover tornare in Turchia”. Infine, sul rispetto dei diritti umani, il rapporto dell’Ong denuncia che sulle isole greche ai richiedenti asilo e migranti “non vengono offerte le cure e la protezione di cui hanno bisogno”, a causa del sovraffolamento, della disorganizzazione e della lunghezza dei procedimenti di richiesta di asilo.

Per Amnesty International, “l’accordo non ha raggiunto gli obiettivi che si era dato, ma ha lasciato migliaia di persone in condizioni squallide sulle isole della Grecia «trasformate in campi di sosta, inoltre le coste europee da luogo di rifugio sono diventate luogo di pericolo. A un anno di distanza, migliaia di persone restano bloccate in un limbo rischioso, disperato e apparentemente senza fine», ha affermato il direttore per l’Europa di Amnesty International, John Dalhuisen.

Una situazione di pericolo e forti disagi descritta anche da altre agenzie umanitarie, come l’International Rescue Committee (IRC), il Consiglio norvegese per i rifugiati (NRC) e Oxfam: “l'accordo ha trasformato la Grecia in un banco di prova per le politiche dell'Unione Europea. Decisioni che stanno erodendo i diritti dei rifugiati e dei richiedenti asilo ed esponendo le persone a rischi e abusi”. Panos Navrozidis, direttore nazionale dell’Irc in Grecia, ha detto: «L’accordo tra Unione europea e Turchia è come giocare alla roulette con il futuro delle persone più vulnerabili al mondo».

A preoccupare è anche la situazione dei minori in transito o nei campi profughi. “Oggi i bambini rifugiati e migranti affrontano maggiori rischi di espulsione, detenzione, sfruttamento e privazione”, scrive l’Unicef. «È un circolo vizioso: i bambini fuggono dalle sofferenze, ma finiscono per dover fuggire di nuovo o per affrontare quella che è di fatto una detenzione, o un totale abbandono» afferma Afshan Khan, Direttrice regionale UNICEF per l'Europa e Coordinatrice speciale dell’UNICEF per la crisi dei minori rifugiati e migranti nel continente. Nonostante il recente miglioramento delle condizioni di vita nei centri di accoglienza, gli operatori presenti in Grecia del fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia raccontano di livelli profondi di sofferenza e frustrazione fra i bambini e nelle loro famiglie, con alti livelli di ansia, aggressività e violenza.

Anche Save the Children con il rapporto Tra autolesionismo e depressione – L’impatto devastante dell’accordo UE-Turchia sui bambini migranti e rifugiati racconta di “un aumento allarmante dei casi di autolesionismo e tentativo di suicidio, aggressività, ansia e depressione tra i bambini migranti e rifugiati a causa del degrado progressivo delle condizioni sulle isole greche” scrive Repubblica. La Ong afferma inoltre che c’è stato un aumento nell’abuso di droghe e alcol “nel tentativo di sfuggire a una realtà insostenibile. I bambini, a cui è stata negata ogni forma di educazione, sono stati coinvolti in proteste violente, hanno visto morire persone nei campi o perso tutto ciò che avevano negli incendi, sono stati costretti a passare l’inverno sotto tende inadeguate o a dormire all’aperto”.

Per tutti questi questi motivi, Amnesty International e le altre organizzazioni umanitarie chiedono che i governi europei mettano "a loro disposizione posti per la ricollocazione o ulteriori percorsi legali e sicuri per raggiungere altri paesi europei, ad esempio attraverso visti umanitari o riunificazioni familiari”.

Cosa dice l’ultimo rapporto della Commissione europea sull’andamento dell’accordo

All'inizio del mese di marzo, la Commissione europea ha presentato al Parlamento europeo la quinta relazione sull’andamento dell’accordo. Il rapporto affronta la situazione degli arrivi tra Turchia e Grecia, dei reinsediamenti dal paese ellenico a quello turco, dei ricollocamenti dei rifugiati negli altri Stati membri, l’efficacia delle misure adottate e lo stato dei finanziamenti erogati e delle somme impegnate.

Da quando è entrato in vigore l’accordo, si è registrata “una notevole riduzione del numero di attraversamenti” (con una media di 43 arrivi al giorno) e della “perdita di vite umane” (70 contro le 1100 vittime nello stesso periodo tra il 2015 e il 2016). La Nato sta contribuendo agli sforzi internazionali per fermare le immigrazioni irregolari e il traffico di migranti con azioni di intelligence, sorveglianza e ricognizione. Le cause di questa riduzione sono molteplici, spiega Annalisi Camilli su Internazionale. Per i migranti siriani è più difficile entrare in Turchia: fino al 2015 non serviva un visto, ora non è più così. Inoltre, il confine con la Siria è più controllato per il timore dell’organizzazione di attacchi terroristici da parte di gruppi attivi nella guerra civile siriana. È cambiata, inoltre, la legge greca in materia d’asilo, che ora permette la detenzione amministrativa dei migranti irregolari, in attesa che la domanda sia valutata dai funzionari dell’agenzia europea per l’asilo (Easo).

Secondo i dati della Commissione europea, sono 1487 i migranti rinviati in Turchia dal 20 marzo 2016 a oggi. Alcuni reinsediamenti ad Ankara sono stati bloccati dai ricorsi presentati alla Corte d’appello, che ha bocciato le decisioni prese dall’Easo, valutando la Turchia un paese non sicuro. Sono molti i migranti che, in attesa che fosse valutata la loro domanda, hanno chiesto di essere reimpatriati volontariamente nei loro paesi di provenienza. Dall’inizio del 2016 sarebbero circa 7mila le persone ad avere aderito al programma di rimpatrio volontario. In Grecia, invece, si legge nel rapporto, sono quasi 15mila le persone trattenute negli hotspot sulle isole. Altri 62mila migranti vivono nei campi profughi sulla terraferma in attesa che le loro richieste d’asilo, ricollocamento o ricongiungimento familiare, vengano esaminate.

Anche il ritmo delle ricollocazioni è al di sotto delle aspettative e “inferiore all’obiettivo approvato dal Consiglio europeo di almeno 3mila ricollocazioni mensili dalla Grecia e a quello stabilito dalla Commissione di almeno 1500 ricollocazioni mensili dall'Italia”, scrive la Commissione europea. In tutto, sono state effettuate 13546 ricollocazioni (3936 dall’Italia e 9610 dalla Grecia), un ritmo troppo basso perché, come riporta Politico, solo 13 paesi hanno accettato rifugiati nell’ambito dell’accordo. Finlandia e Malta stanno rispettando i propri obblighi sia nei confronti dell’Italia sia della Grecia, mentre Austria, Polonia e Ungheria rifiutano qualsiasi tipo di partecipazione e Bulgaria, Croazia, Repubblica Ceca e Slovacchia si sono impegnati in misura molto limitata.

La Commissione ha definito più incoraggianti i dati sul reinsediamento. Ad oggi, gli Stati membri hanno fornito canali sicuri e legali a 14422 persone, cioè a oltre metà delle 22504 concordate nell'ambito del programma di reinsediamento dell'Unione europea. Di questi, 3565 sono stati effettuati nella cornice dell’accordo Ue-Turchia in base allo schema "uno a uno" (per ogni siriano rimpatriato in Turchia, un altro siriano viene reinsediato dalla Turchia nei paesi dell’Unione europea). Gli Stati membri avrebbero comunicato poi l'intenzione di ammettere altri 34mila siriani provenienti dalla Turchia.

Per quanto riguarda i ricorsi presentati dai migranti ai quali in Grecia non è stata riconosciuta la richiesta di asilo o di ricongiungimento familiare, l’autorità di appello greca ha istituito 13 commissioni per velocizzare le procedure di valutazione. Su 14238 istanze di ricorso presentate, 419 sono state accettate. Tuttavia, scrive la Commissione, i tempi delle decisioni continuano a essere troppo lenti.

Rispetto alla liberalizzazione dei visti per i cittadini turchi nell’Unione europea, la Turchia non ha ancora soddisfatto diversi parametri previsti nell’accordo: il rilascio di documenti di viaggio biometrici (con le immagini del volto e le impronte digitali) pienamente compatibili con le norme dell'UE; l’adozione di misure per prevenire la corruzione; il raggiungimento di un accordo di cooperazione operativa con Europol; la revisione della legislazione in materia di terrorismo in linea con gli standard europei; l’allineamento della legislazione sulla protezione dei dati personali alle norme dell'UE; un’efficace cooperazione giudiziaria in materia penale con tutti gli Stati membri dell'UE; l’attuazione di tutte le disposizioni dell'accordo di riammissione UE-Turchia. La Commissione ha invitato, inoltre, a più riprese la Turchia a proseguire l'attuazione degli accordi bilaterali di riammissione con la Grecia, la Bulgaria e la Romania.

Infine, la Commissione ha stanziato 2,2 miliardi di euro sui 3 miliardi previsti per il periodo 2016-2017. Di questi, 1,5 miliardi sono già stati impegnati in contratti.

I difficili rapporti tra Ue-Turchia

Durante un’intervista televisiva, il 12 marzo scorso, il ministro degli Esteri turco, Mevlüt Çavuşoğlu, ha annunciato di voler cancellare l’accordo raggiunto con la Turchia sui migranti. I motivi di questo irrigidimento, ha spiegato il ministro sono diversi: la mancata liberalizzazione dei visti per i cittadini turchi in Europa, il ritardo nei pagamenti degli aiuti finanziari previsti dall’accordo e il fallimento della riduzione del numero di rifugiati siriani presenti in Turchia.

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Tensioni politiche che si inseriscono nel quadro di contrasto diplomatico che negli ultimi giorni si è fortemente acceso tra la Turchia e l’Unione Europea. In Germania e Olanda, ad esempio, non è stato consentito a ministri e alti funzionari turchi di poter tenere manifestazioni politiche in vista del referendum sulla riforma della Costituzione che si terrà in Turchia il 16 aprile prossimo. Inoltre, proprio le modifiche costituzionali proposte sono state criticate dall’Unione europea perché potrebbe concentrare troppi poteri nelle mani del presidente. A tutto ciò si aggiungono le accuse di Erdoğan che ha definito nazisti i governi europei perché starebbero riservando ai rifugiati lo stesso trattamento degli ebrei da parte di Hitler. Dichiarazioni ritenute dal presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, “fuori dalla realtà”.

Tuttavia, spiega ancora Annalisa Camilli su Internazionale, “con un referendum costituzionale alle porte, la minaccia terroristica e l’instabilità interna, sembra improbabile che Ankara passi dalle minacce ai fatti riaprendo la frontiera con la Siria o spingendo i profughi siriani che vivono sul suo territorio a mettersi in viaggio verso l’Europa”.

Foto anteprima via Oxfam/Pablo Tosco – Migranti a Lesbo, Grecia, 2016.

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