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In Romania il governo ritira la legge ma i cittadini continuano a manifestare: “Ora dimissioni”

8 Febbraio 2017 7 min lettura

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In Romania il governo ritira la legge ma i cittadini continuano a manifestare: “Ora dimissioni”

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Aggiornamento 14 febbraio, ore 15.30 > Il Parlamento della Romania ha accettato di indire un referendum sulla lotta alla corruzione dopo le proteste delle ultime settimane: 310 deputati hanno votato a favore della proposta del presidente Klaus Iohannis. Non è ancora chiaro quale sarà il quesito sarà presentato agli elettori, ma il referendum è stato visto da alcuni come un modo per rafforzare il sostegno alla lotta contro la corruzione.

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Aggiornamento 13 febbraio, ore 11.30 > «Vogliamo lavorare, non continuare a controllarvi». Almeno 50mila persone si sono radunate all'esterno della sede del governo rumeno a Bucarest domenica 12 febbraio, per continuare a protestare contro il decreto governativo, che depenalizzava e riduceva le pene per i condannati di corruzione e abuso d’ufficio, approvato lo scorso 31 gennaio. Si tratta del tredicesimo giorno consecutivo di proteste. Il governo ha ritirato il decreto, ma i manifestanti stanno chiedendo le dimissioni del primo ministro e dei presidenti della Camera dei deputati e del Senato, tra le più alte cariche politiche del paese.

Alle 19, i manifestanti hanno utilizzato le luci dei telefoni cellulari e alzato fogli di carta di colore rosso, giallo e blu sopra le loro teste per formare una gigantesca bandiera della Romania. Decine di migliaia di persone hanno protestato all’estero e in altre città rumene, riporta Reuters.

«La sensazione che abbiamo in strada è che non ci sia stata alcuna chiusura al provvedimento», ha dichiarato a Reuters Catalin Tenita, un imprenditore in tecnologie innovativa, fondatore di “Geeks for Democracy”, una piattaforma online che punta a mettere in connessione esperti, progettisti e cittadini per progetti che migliorino la governance. «Siamo in una situazione in cui il governo sta consumando le risorse sociali solo perché non vogliono ammettere che hanno fatto qualcosa di sbagliato».

Secondo Florin Badita, un attivista di 28 anni, che già in passato, nel 2015, aveva partecipato all’organizzazione di un raduno di persone attraverso un gruppo Facebook dopo un incendio mortale in una discoteca, le proteste non sono ancora finite. «Questa non sarà l'ultima notte. Non abbiamo ancora vinto nulla. Penso che la cosa più importante sia che ora la gente sa che ci sono un sacco di persone che vogliono il cambiamento», racconta al New York Times. «Quello che vogliamo fare è costruire questo in modo sostenibile e formare i cittadini in cose come il "Freedom of Information Act". Siamo in grado di protestare tutti i giorni, ma dobbiamo fare di più».

Il governo rumeno aveva sperato di aver superato la fase peggiore della crisi. Mercoledì scorso era facilmente sopravvissuto a una mozione di sfiducia dell’opposizione parlamentare. Il giorno successivo, il primo ministro aveva accettato le dimissioni di Florin Iordache, il ministro della Giustizia e uno degli autori del decreto. Ma non è bastato.

Il Parlamento, dove la coalizione di governo detiene una larga maggioranza, deve ancora votare se confermare il ritiro del decreto. Venerdì scorso, il leader del Partito Social-Democratico Liviu Dragnea aveva annunciato che il Parlamento si sarebbe riunito al più presto per approvare il ritiro della legge. Il ministro della Giustizia ad interim Ana Birchall aveva detto di avere in programma un incontro con il Consiglio superiore dei magistrati, i capo procuratori e gli altri membri della magistratura nella giornata di lunedi 13 per discutere di modifiche al codice penale.

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Non si fermano le proteste della popolazione rumena iniziate otto giorni fa. La scorsa settimana sono scesi in piazza, in tutto il paese, circa 500.000 manifestanti e la folla non ha alcuna intenzione di tornare a casa, nonostante il passo indietro del governo sul decreto anticorruzione di sabato.

I cittadini, disillusi dalle politiche governative, chiedono una riforma più ampia e le dimissioni del primo ministro socialdemocratico Sorin Grindeanu.

Le proteste pacifiche di domenica scorsa hanno visto la partecipazione di molte famiglie. C'era chi cantava l'inno nazionale, chi urlava "ladri" e "dimissioni", chi si era organizzato per proiettare con più laser, sugli edifici governativi in piazza della Vittoria, la parola "dimissioni" o frasi come "Dragnea, la Romania non è tua", contro il leader del Psd, già condannato e attualmente sotto processo.

Daniel Mihailescu/AFP/Getty Images

Octavia Cornea, manifestante 32enne, non crede che le autorità siano disposte ad abbandonare completamente il decreto: «Non ci credo, non ci crederò fino a quando non lo vedrò», racconta a Vice News America. Alla domanda se le proteste in corso abbiano efficacia risponde: «Non c'è mai stato niente di così grande. Protestare sta diventando sempre più mainstream, le persone stanno imparando che è una parte fondamentale della democrazia - non abbiamo più paura».

«Sono profondamente corrotti. La loro prima priorità subito dopo l'insediamento è stata la modifica del lavoro più importante fatto in Romania negli ultimi 28 anni: la lotta alla corruzione», dice al Guardian Andrei, 28enne, controllore del traffico aereo. «Nessuno vuole tornare  ai primi anni duemila quando non c'era alcuna conseguenza per la frode organizzata».

«La corruzione è una cosa a cui, noi rumeni, siamo abituati. Ho paura di andare in un ospedale pubblico, per aspettare ore e ore o pagare mazzette per un consulto», dice Ana, 36enne, economista di Bucarest, sempre al quotidiano britannico. «Sono terrorizzata di dover mandare il mio bambino in una scuola pubblica, dove sono alte le probabilità di venire traumatizzati da insegnanti frustrati che urlano e puniscono fisicamente i bambini per disciplinarli. Sono stanca di pensare che non ci sia niente che possa fare, se non corrompere docenti e dirigenti scolastici. Dovrei corrompere funzionari pubblici per fargli fare il loro lavoro e sopportare lunghe code per ottenere una firma su un documento. L'ex primo ministro Dacian Cioloş ha emesso un decreto che chiede a scuole e ospedali di selezionare i dirigenti sulla base di criteri professionali, dopo un esame imparziale e pubblico. Ho pensato che fosse buona idea. Un nuovo decreto ha annullato tutto questo».

«Hanno risvegliato il nostro gigante addormentato chiamato coscienza, e si può capire la loro paura perché ruggisce in ogni città. Anche nella mia di 120.000 abitanti, tradizionalmente allineata con il governo, centinaia di persone sono scese in strada», racconta Adrei, 32enne, di Buzău, nel sud-est della Romania.

Intanto, il primo ministro Grindeanu continua a respingere le richieste di dimissioni del suo governo, dichiarando di non poter ignorare la responsabilità assunta nei confronti degli elettori e aggiungendo di non volere lasciare il suo incarico.

La grande manifestazione era iniziata tra mercoledì e giovedì scorsi per protestare contro il decreto governativo che depenalizzava alcuni reati e riduceva le pene per i condannati di corruzione e abuso d’ufficio. Si pensa che si tratti della protesta più grande dopo la caduta del regime comunista di Ceausescu nel 1989, scriveva l'inviato del Guardian a Bucarest, Kit Gillet.

La legge contestata era stata approvata dal governo nella tarda serata di martedì 31 gennaio e pubblicata in Gazzetta all’una di notte. «È un precedente molto pericoloso – aveva dichiarato Dragos Stanca, imprenditore di media digitali, al Guardian –. Se questa è il tipo di procedura che utilizzano, ci chiediamo cosa accadrà ancora». Nella notte di mercoledì 1 febbraio, c’erano stati scontri tra la polizia e piccoli gruppi di manifestanti: alcune persone erano rimaste ferite.

Il decreto legge, in particolare, rendeva punibile con il carcere l’abuso di ufficio solo se dimostrabile un danno fiscale per lo Stato superiore a 44mila euro. Secondo i critici, il provvedimento aveva lo scopo di aiutare i politici condannati, o permettere a coloro sotto inchiesta di sfuggire alla giustizia, tra questi Liviu Dragnea, interdetto dagli incarichi pubblici per una condanna per frode elettorale e sotto processo per un possibile danno erariale allo Stato di 24mila euro (dunque, sotto la soglia dei 44mila prevista dal nuovo decreto). Il dipartimento per la lotte antifrode (DLAF) in Romania si era detto preoccupato su come era stato modificato il codice penale in materia di abuso d’ufficio, perché rischiava di ostacolare le indagini. Il governo aveva invece che si trattava di una legge utile a ridurre il problema del sovraffolamento nelle carceri. Florin Jianu, il ministro per gli Affari e il Commercio, aveva deciso di dimettersi per motivi etici.

Il provvedimento era stato criticato dal presidente rumeno Klaus Iohannis, a capo dell’opposizione, che aveva chiesto l’intervento della Corte Costituzionale, della Corte Suprema, dell’organizzazione anti-corruzione e del procuratore generale della Romania, e dall’Unione Europea, che in una comunicazione ufficiale, aveva dichiarato di “seguire con grande preoccupazione gli ultimi sviluppi in Romania”, di mantenere alta l’attenzione su eventuali passi indietro nella lotta alla corruzione e di studiare scrupolosamente il decreto governativo approvato in Romania.

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Il 5 febbraio, in seguito alle proteste, il governo ha ritirato il decreto. «Non voglio dividere la Romania... non può essere divisa in due. In questo momento il paese sembra essere diviso in due», ha dichiarato il primo ministro rumeno Sorin Grindeanu in una conferenza stampa convocata d'urgenza, nel corso della quale ha comunicato che il governo si sarebbe incontrato per ritirare il decreto contestato. Precedentemente Grindeanu aveva affermato di non voler ritirare il provvedimento.

Nonostante la legge sia stata ritirata, i manifestanti avevano continuato a riunirsi in piazza a Bucarest anche nei giorni successivi, in una marcia rumorosa, con fischietti e vuvuzela con i colori della bandiera rumena, dirigendosi verso il parlamento per formare una catena umana.

[Foto via Octav Dragan]

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