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Le politiche della paura sono la vera minaccia per i diritti

28 Gennaio 2016 5 min lettura

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Le politiche della paura sono la vera minaccia per i diritti

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Le politiche della paura e la distruzione della società civile stanno mettendo a repentaglio i diritti globali. Anche quelli acquisiti. Si può riassumere con queste parole il contenuto del World Report 2016, presentato ieri a Istanbul dallo Human Rights Watch. Nelle sue 659 pagine, il rapporto, giunto alla 26esima edizione, passa in rassegna come vengono tutelati i diritti umani in più di 90 paesi nel mondo, con particolare attenzione alle delicate questioni delle spose bambine, dell’abuso della detenzione dei minori e del riconoscimento dei diritti di lesbiche, gay, bisessuali e transgender (LGBT).

Le politiche della paura, scrive nell’introduzione il direttore esecutivo di Human Rights Watch, Kenneth Roth, hanno portato i governi di tutto il mondo a fare un grande passo indietro rispetto ai diritti umani nel corso del 2015. La diffusione di attacchi terroristici al di là del Medio Oriente e gli enormi flussi di rifugiati generati da repressioni e conflitti hanno incentivato molti governi ad attuare una forte limitazione dei diritti nello sforzo maldestro di garantire sicurezza ai propri cittadini. Allo stesso tempo, i governi autoritari di tutto il mondo hanno represso in maniera sempre più intensa ogni forma di dissenso politico, anche pacifica. In particolare, in Cina, Etiopia, Russia e India, il timore che i social media possano dare linfa a movimenti sociali e politici hanno dato il là all’attuazione di leggi sempre più restrittive. «Questi passi indietro – scrive Roth – minacciano i diritti di tutti, senza che sia dimostrata alcuna efficacia nella protezione della gente comune».

Gestione dei migranti e politiche della paura

Gli attacchi di Parigi, associati all’ingente flusso di migranti che gli stati europei hanno dovuto affrontare, hanno intensificato politiche di chiusura nell’Unione europea: sono stati alzati muri, chiusi i confini, diffuso senso di allarme e retoriche anti-islamiche. Pur avendo ratificato convenzioni per la tutela dei diritti dei rifugiati, si legge nel report, e nonostante parecchi europei abbiano goduto dello status di rifugiato per fuggire dai regimi nazista e comunista, l’Europa sta scaricando altrove le responsabilità sui migranti.

La gestione delle emergenze migrazione e terrorismo ha dato il via libera alla sospensione anche dei diritti acquisiti in nome dell’ordine, del controllo e della sicurezza. Quasi a dire che per combattere contro chi vuole abbattere le "nostre" libertà, occorre sospendere quelle di tutti. Negli Stati Uniti – prosegue il report – la minaccia del terrorismo è stata utilizzata per cercare di restituire poteri alle agenzie di intelligence in azioni di sorveglianza di massa, dopo le restrizioni successive alle rivelazioni di Snowden. In Francia e in Gran Bretagna sono state adottate misure per espandere poteri di controllo, senza che sia stata provata la loro efficacia. Subito dopo gli attacchi di Parigi, Hollande ha proclamato lo stato di emergenza, dotandosi di poteri speciali, che minacciavano le libertà individuali, nonostante il regime giuridico e costituzionale francese disponesse già di diversi strumenti da utilizzare in situazioni di emergenza.

Il nemico dichiarato è la crittografia. Per poter contrastare il terrorismo le agenzie di intelligence e i governi chiedono di poter avere accesso alle conversazioni nascoste e di decriptare messaggi in codice. Ciò pregiudicherebbe in modo significativo il diritto alla privacy, senza, tuttavia, avere la prova dell’efficacia di tali azioni nel contrasto al terrorismo. Come scriveva Fabio Chiusi all’indomani degli attacchi terroristici di Parigi, «una volta indebolita per dare accesso alle agenzie governative, la crittografia è indebolita per tutti. Il che significa che sarà ancora più facile per i criminali informatici di ogni specie accedere alle nostre comunicazioni più sensibili, e alle attività online più delicate».

In effetti, prosegue il report nella sua introduzione, il fatto che gli autori di una serie di attentati in Europa fossero noti alle forze dell’ordine, ma non perseguiti a causa della mancanza di risorse, suggerisce che forse «non abbiamo bisogno di più dati, ma di strumenti per perseguire contatti mirati». Stabilire, invece, un nesso tra immigrati e terrorismo, oltre che sbagliato – scrive Roth – è anche pericoloso: «Denigrare intere comunità per i gesti di pochi genera esattamente il tipo di divisione e animosità che i reclutatori di terroristi amano sfruttare».

Non abbiamo imparato nulla, dunque, dall’11 settembre, dalle detenzioni a lungo termine senza processo a Guantanamo, dal ricorso alla tortura, dalla sospensione dei diritti in nome della religione o della propria provenienza?, si chiede il direttore esecutivo di Human Rights Watch. La strada da seguire è adottare politiche di accoglienza più efficaci e che riguardino l’Unione europea nella sua interezza, non lasciando gli stati da soli. Creare un modo sicuro e ordinato di arrivo in Europa per i migranti ridurrebbe il numero di vite perse in mare e aiuterebbe gli uffici di immigrazione ad escludere rischi per la sicurezza e incrementare la sicurezza di tutti. Da questo punto di vista, un esempio citato è quello del Canada, che sotto il suo nuovo primo ministro, Trudeau, ha accolto con un caldo benvenuto 25mila rifugiati siriani. Un tono ben diverso rispetto alla paura e alla diffidenza.

La repressione del dissenso politico

Contestualmente, diversi governi autoritari stanno adottando leggi e regolamenti per tenere a freno la società civile. I precedenti delle primavere arabe, della protesta degli ombrelli a Hong Kong e del movimento ucraino di piazza Maidan, ha convinto molti governi a prevenire forme di manifestazioni di dissenso politico. La Russia sta costringendo al silenzio voci critiche, la Cina sta arrestando avvocati e difensori dei diritti civili, il governo turco ha preso di mira attivisti e media locali. Etiopia e India, invece, stanno diminuendo i fondi esteri per attività di monitoraggio indipendenti che verifichino violazioni dei diritti da parte del governo. Bolivia, Cambogia, Ecuador, Egitto, Kenya, Marocco, Sudan e Venezuela, si legge nel rapporto, stanno minando l’attività di gruppi e attivisti indipendenti, senza che i paesi europei stiano intervenendo.

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Eppure, conclude Roth, «nelle leggi internazionali sui diritti umani è custodita la saggezza indispensabile per guidare i governi che cercano di tenere al sicuro la loro nazione e servire il loro popolo in maniera più efficace. Se l’abbandoniamo, lo facciamo a nostro rischio e pericolo».

Alcune buone notizie

Lesbiche, gay, bisessuali e transgender (LGBT), spesso soggetti a leggi che non ne riconoscono i diritti e ad attacchi violenti, hanno visto grandi passi in avanti verso le pari opportunità, con la legalizzazione del matrimonio omosessuale in Irlanda, Messico e Stati Uniti e la depenalizzazione dell'omosessualità in Mozambico. Al Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite, una dichiarazione di 72 paesi ha affermato l'impegno a porre fine a violenze e discriminazioni basate sull'orientamento sessuale e l'identità di genere.

In Birmania, a novembre, si sono svolte elezioni epocali e la Nigeria ha visto un cambio di potere senza conflitti. A settembre, le Nazioni Unite hanno adottato 17 obiettivi di sviluppo molto ambiziosi sulla parità di genere e sull’accesso alla giustizia per tutti. Al vertice sul clima delle Nazioni Unite a Parigi, i governi hanno trovato per la prima volta un accordo globale, impegnandosi nel riconoscimento dei diritti umani in relazione ai cambiamenti climatici, in particolare rispetto a figure (indigeni, donne, bambini, migranti) molto vulnerabili.

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