Emergenza Xylella in Puglia: tra scienza, indagini e complotti
15 min letturaAggiornamento 19 gennaio: Il programma Presa Diretta ha dedicato un servizio alla vicenda del batterio Xylella e degli ulivi in Salento, intervistando tra gli altri il procuratore capo di Lecce Cataldo Motta, che ha confermato come le perizie avrebbero dimostrato che «non è provato da quanto tempo il batterio sia in Salento». A dispetto di quanto evidenziato dalle ricerche, la procura avrebbe accertato la presenza di nove ceppi mutati dell'originario batterio, invece di uno. Questi sarebbero frutto di mutazioni che si sarebbero accumulate col tempo, cosa che renderebbe impossibile una introduzione recente del batterio in Salento.
La procura afferma anche non c'è alcuna prova che Xylella sia l'unica causa del disseccamento degli ulivi, cosa che gli stessi ricercatori hanno sempre affermato, sottolineando però come gli studi suggeriscano che il batterio svolga il ruolo principale, mentre gli altri elementi, come la presenza di alcune specie di funghi (che invece la procura sembra mettere sullo stesso piano del batterio), intervengano ad aggravare la manifestazione dei sintomi. I ricercatori ribadiscono anche che il problema della presenza, accertata, di Xylella in Puglia, e quindi in Europa, vada tenuto distinto dalle ricerche in corso per approfondire le conoscenze sulla malattia.
Perciò, al di là delle ipotesi di reato che riguardano i singoli indagati, la procura ha elaborato una tesi scientifica alternativa a quella dei ricercatori. Una tesi che sarebbe fondata sulle perizie di alcuni consulenti scientifici, tra cui Giuseppe Surico, docente di patologia vegetale all'Università di Firenze. Sentito da Il Foglio, Surico ha dichiarato che «non ci sono stati grandi avanzamenti scientifici» e che «l’Ue si occupa della presenza di Xylella piuttosto che della malattia, per l’Europa è un problema a prescindere. E anche in Italia, se ci si ferma al dettato della legge di quarantena, le procedure sono chiare». A maggio dell'anno scorso Surico scriveva che «non è ancora possibile dire quale sia effettivamente l’eziologia dei disseccamenti dell’olivo nel Salento (il candidato più probabile rimane comunque Xylella fastidiosa)».
Anche di fronte ai nuovi sospetti casi di disseccamento che si stanno registrando nella provincia di Taranto, Motta afferma che sarebbero una «conferma della nostra teoria, cioè che il disseccamento degli ulivi ha origini ben più remote e non necessariamente deriva dalla sola presenza della Xylella» e ribadisce la scoperta di «nove diversi ceppi mutati».
Dal momento che le perizie non vengono rese pubbliche non è ancora possibile stabilire come la procura sia giunta a queste conclusioni. Per questo, nei giorni scorsi, Marco Cattaneo e Beatrice Mautino hanno pubblicato su Le Scienze una lettera aperta al procuratore Motta per chiedere «che siano accessibili agli scienziati gli eventuali nuovi dati emersi dalle perizie scientifiche commissionate nel corso delle indagini», perché «qualora l’infezione si dovesse trasmettere ad altre aree, tenere riservati elementi scientifici di novità e impedire che la ricerca abbia accesso alle piante colpite dal CoDiRO per le necessarie analisi può essere fatale per gli olivi salentini».
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È stata definita «la peggiore emergenza fitosanitaria al mondo». Una malattia che minaccia l'economia e il paesaggio di una regione, ma che potrebbe estendersi a un intero continente. È l'epidemia che da ormai più di due anni sta seccando e uccidendo gli ulivi del Salento, dopo essere scoppiata apparentemente all'improvviso, dal nulla.La storia, almeno dal punto di vista mediatico, inizia alla fine dell'estate del 2013, quando sulla stampa si legge di una misteriosa malattia che sta colpendo numerose piante di ulivo nella penisola salentina, dove si ritrovano varietà tradizionali come l'Ogliarola leccese e la cellina di Nardò. Il fenomeno viene osservato in un'area di circa ottomila ettari, che si concentra in alcuni comuni della fascia ionica attorno a Gallipoli, in provincia di Lecce. La malattia si manifesta all'inizio con sporadici segni di essiccamento sulle foglie, noti come “bruscature”, per poi estendersi ai rami e all'intera chioma. Come se gli ulivi fossero stati bruciati, riporta qualcuno.
C'è chi chiama in causa l'inquinamento delle falde acquifere, chi le cattive pratiche agronomiche e lo stato di abbandono in cui versano le piante in alcuni terreni. Ma nessuno sembra riuscire a dare una spiegazione di un evento che per la sua gravità appare fin da subito senza precedenti.
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Già durante l'estate i ricercatori dell'Università di Bari e dell'Istituto di virologia vegetale del CNR (che nel 2014 diventerà l'Istituto per la protezione sostenibile delle piante, in seguito alla fusione con un altro ente) avevano iniziato ad occuparsi del problema. Le prime analisi sulle piante, svolte in autunno, evidenziano tre possibili fattori causali: l'infestazione da parte delle larve di un lepidottero chiamato rodilegno giallo (Zeuzera pyrina), capaci di scavare profonde gallerie all'interno del legno, che aprirebbero la strada alla colonizzazione di funghi dei generi Phaeoacremonium e Phaeomoniella, e la presenza del batterio Xylella fastidiosa.
Da queste iniziali evidenze sembra che il fenomeno sia il prodotto della contemporanea azione di questi tre elementi, cosa che spinge i ricercatori a parlare di “Complesso del Disseccamento Rapido dell'Olivo” (CoDiRO). Ma la velocità con cui la malattia si propaga suscita fin da subito il sospetto che l'agente causale principale sia Xylella fastidiosa.
Xylella fastidiosa è un batterio causa di infezioni in diverse specie vegetali, circa 300, comprese molte di interesse agricolo, tra cui alcuni agrumi, il pesco, la vite, il mandorlo, piante ornamentali come l'oleandro e numerose specie spontanee. Si moltiplica all'interno dei vasi xilematici delle piante, dove scorre la linfa grezza, fino a occluderli e a provocare la morte dell'organismo. La trasmissione della malattia avviene attraverso insetti vettori che trasportano il batterio e che infettano la pianta quando succhiano la linfa dai vasi. Nel caso del ceppo isolato in Salento i ricercatori identificano il vettore nella sputacchina (Philaenus spumarius), un insetto molto diffuso in questo territorio.
Nell'autunno del 2013, con la scoperta di Xylella negli ulivi pugliesi, viene registrata per la prima volta la presenza nel continente europeo di questo batterio che, per i gravi danni che può causare all'agricoltura, è inserito nella lista dei patogeni da quarantena. Perciò, anche se non si hanno ancora certezze scientifiche sulle cause del CoDiRO, alla fine di ottobre del 2013 l'Italia è costretta a notificare alla Commissione Europea la presenza in Puglia di Xylella fastidiosa. Non solo negli ulivi, ma anche in altre specie vegetali. Xylella, infatti, sta dimostrando di avere un spettro potenzialmente ampio di piante ospiti, almeno una quindicina, tra cui il ciliegio, il mandorlo, il mirto, il rosmarino (mentre i test escluderanno la vite). Ma è probabilmente un elenco ancora incompleto.
A febbraio del 2014, per scongiurare il rischio di esportazione del batterio dalla Puglia al resto del continente, l'Unione Europea decreta il divieto di spostamento di tutte le piante destinate alla piantagione, escluse le sementi e quelle specie sottoposte a esami nelle quali non è stata riscontrata la presenza di Xylella. A fine luglio, con una seconda decisione, le misure vengono rafforzate. Dovranno essere definite le zone all'interno delle quali rimuovere non solo tutte le piante colpite, ma anche quelle che presentano sintomi della malattia e quelle probabilmente già contagiate. Vengono anche prescritti trattamenti fitosanitari allo scopo di impedire che il batterio dilaghi oltre i limiti delle zone infette.
A luglio, dopo alcuni mesi dall'inizio dell'emergenza, gli ettari di uliveti colpiti dall'infezione sono 23mila. Già ad aprile, in seguito ad alcune misure di emergenza adottate dalla Regione Puglia, erano state delimitate alcune aree infette e si era proceduto alla eradicazione di 104 piante di ulivo al di fuori di queste aree.
Ma da dove arriva Xylella? È questo microorganismo la vera causa del disseccamento degli ulivi? Sono le domande che tanti iniziano a porsi.
Quali sono le cause della malattia?
Come abbiamo visto, anche se all'inizio gli studi non permettevano di definire con certezza quale fosse il fattore determinante nell'insorgenza del CoDiRO, la modalità di trasmissione e di propagazione della malattia deponevano a favore di un'origine batterica. Una conferma arriva dalle ricerche, più approfondite, che vengono svolte nel corso del 2014. Come scrive Giovanni Paolo Martelli, uno dei principali scienziati che indagano sul problema, questi studi ridimensionano il ruolo dei rodilegni, i cui segni non si ritrovano negli ulivi più giovani ammalati, e mostrano che i funghi potrebbero svolgere un'azione solo aggravante:
Le analisi di laboratorio effettuate su oltre 20.000 campioni di olivo, hanno evidenziato una perfetta corrispondenza tra la presenza della malattia e X. fastidiosa, tanto che le rispettive mappe di distribuzione territoriale risultano perfettamente sovrapponibili. Così non è per Z. pyrina, né per la gran parte dei funghi lignicoli, che si ritrovano anche in aree non interessate dal batterio.
Nel luglio del 2014 la disponibilità del batterio in coltura ha permesso ai ricercatori di iniziare i test di patogenicità, indispensabili per comprendere l'effettivo ruolo del batterio nell'insorgenza della malattia non solo negli ulivi, ma anche in altre specie vegetali. Per stabilire se ci sia una correlazione tra un agente patogeno e una malattia infettiva, tradizionalmente si seguono alcuni criteri, noti come postulati di Koch, dal nome di Robert Koch, il batteriologo tedesco che li formulò verso la fine del XIX secolo: il microorganismo deve essere associato alla malattia di cui si presume sia l'agente causale, cioè deve essere ritrovato in tutti i soggetti che manifestano la malattia; deve poter essere isolato dagli organismi infetti e cresciuto in coltura; deve causare la malattia se introdotto in un organismo sano; infine, deve essere ritrovato all'interno dell'organismo infettato sperimentalmente e deve essere identificato come l'agente isolato all'inizio.
Nel caso di Xylella fastidiosa i risultati delle ricerche eseguite finora non hanno ancora soddisfatto tutti i postulati di Koch. Ma da questo non consegue, necessariamente, che la causa principale del disseccamento vada ricercata altrove. Nonostante l'importanza che hanno rivestito per lo sviluppo della microbiologia, i postulati di Koch hanno dei limiti di cui era consapevole il suo stesso autore (per esempio, un patogeno come Vibrio cholerae, il batterio del colera, può essere isolato anche da individui sani).
Alexander Purcell e Rodrigo Almeida, dell'Università della California a Berkeley, due tra i massimi esperti mondiali di Xylella, scrivono che nel caso salentino, anche se la ricerca è ancora in corso, «c'è una correlazione molto buona tra la malattia e la presenza di X. fastidiosa».
La correlazione emerge dalle evidenze sul campo, come spiega Donato Boscia, ricercatore dell'Istituto per la protezione sostenibile delle piante:
Le analisi finora effettuate su circa 25mila piante di ulivo, su esemplari affetti e non affetti dal fenomeno del disseccamento, hanno mostrato che Xylella si trova nelle zone in cui c’è il disseccamento. Il migliaio circa di piante risultate positive alle analisi provengono tutte infatti da zone con disseccamento. Non si ritrova invece dove il disseccamento degli ulivi non c’è.
E aggiunge che, anche se si continuano a svolgere i test di patogenicità per comprendere meglio l'azione di Xylella e la sua relazione con gli altri organismi che possono aggravare la malattia, «la strettissima associazione che troviamo tra la presenza del batterio e la manifestazione del disseccamento non lascia spazio a sorprese».
Inoltre l'arrivo in Europa di Xylella costituisce un pericolo a prescindere dalla necessità di comprendere il suo ruolo come causa del CoDiRo, perché, come si è visto, tra le specie vegetali che il batterio è capace di infettare non c'è solo l'ulivo. E la varietà di specie ospiti potrebbe allargarsi, se riuscisse a migrare in altri contesti ambientali.
L'arrivo di Xylella in Puglia
Da dove arriva il batterio e come può essersi introdotto? Finora la sua area geografica di distribuzione è in pratica coincisa con il continente americano (con rari casi in Asia), dove è presente in Messico, Stati Uniti, Brasile, Argentina, Venezuela. Una delle prime manifestazioni note del batterio è stata la malattia di Pierce, che nei primi anni '80 del XIX secolo inizò a colpire alcuni vigneti in California.
All'interno della specie Xylella fastidiosa sono state classificate quattro sottospecie: fastidiosa, sandyi, pauca e multiplex. Di recente è stata proposta l'introduzione di una nuova sottospecie, morus. L'analisi di alcuni geni ha dimostrato che il batterio isolato in Salento appartiene alla sottospecie pauca, come poi confermato dal sequenziamento dell'intero genoma. In particolare, il ceppo CoDiRO è risultato identico a un ceppo di Xylella fastidiosa chiamato ST53 isolato in Costa Rica su alcune specie di piante, tra cui l'oleandro. A questo punto, è possibile formulare un'ipotesi sull'origine del batterio e su come sia riuscito a penetrare in Salento. Da una parte c'è la classificazione del microorganismo, identico a un ceppo della Costa Rica. Dall'altra c'è la localizzazione dei primi casi di malattia degli ulivi, concentrati in alcuni comuni della fascia ionica attorno a Gallipoli. Potrebbe essere qualcosa di più di una coincidenza. In Salento, negli ultimi decenni, si è molto sviluppato il settore florovivaistico e nell'area attorno a Gallipoli c'è uno dei principali distretti della penisola.
Perciò l'ipotesi che i ricercatori ritengono più probabile è che il batterio sia arrivato trasportato da piante ornamentali provenienti dalla Costa Rica, un paese esportatore. Le piante potrebbero non essere arrivate direttamente dal paese centroamericano, ma potrebbero essere passate attraverso un paese europeo, probabilmente l'Olanda. Una conferma indiretta della plausibilità di questa ipotesi è arrivata nell'ottobre 2014, quando proprio in Olanda sono state intercettate alcune piante di caffè, provenienti dalla Costa Rica, nelle quali è stata riscontrata la presenza di Xylella fastidiosa.
Dalle testimonianze sui primi casi di ulivi malati si ritiene che l'ingresso di Xylella sia da datare a un periodo compreso tra il 2008 e il 2010, in un momento di crisi per il settore olivicolo pugliese, e non solo, che registrava un progressivo abbandono delle colture. Inoltre l'andamento del clima, con il succedersi di inverni miti come quello della stagione 2013/2014, ha contribuito all'espansione delle popolazioni di insetti vettori. Questa concomitanza di fattori potrebbe aver creato le condizioni ideali per l'insediamento e la diffusione di un batterio come Xylella.
Del resto, per quanto possa sembrare un evento apparentemente anomalo e inaspettato, già nel 1997 Alexander Purcell aveva previsto la possibilità che Xylella uscisse dal continente americano per insediarsi in altri continenti, anche grazie a condizioni climatiche che favoriscono, sempre di più, la sopravvivenza degli insetti vettori durante l'inverno.
Mentre prosegue il lavoro dei ricercatori, nei mesi successivi all'inizio dell'emergenza il disorientamento degli agricoltori e delle associazioni di categoria per quanto sta accadendo aumenta. Le associazioni ambientaliste e civiche iniziano a protestare nei confronti dei primi provvedimenti di eradicazione. Molti pensano che questi arrechino altri danni, oltre a quelli già subiti dalle piante, e che non servano a impedire il contagio.
Le risposte che vengono dalle istituzioni sembrano incomplete. I risultati dei primi studi, anche se forniscono già diverse evidenze, non convincono tutti. La confusione inizia ad alimentare il sospetto che dietro la morte degli ulivi si nascondano colpe o interessi di qualcuno. E ben presto quella degli ulivi del Salento finisce per diventare non più solo una vicenda di batteri e insetti vettori, ma anche una storia di indagini e denunce di complotti.
Le inchieste giudiziarie e il complotto del «batterio inventato»
A maggio del 2014, in seguito ad alcune segnalazioni, la procura di Lecce apre una inchiesta contro ignoti. Nel fascicolo si ipotizza che Xylella sia stato introdotto in Puglia nell'ottobre del 2010 durante un corso organizzato dall'Istituto Agronomico Mediterraneo di Bari in cui sono stati utilizzati campioni del microorganismo. Dunque, secondo la procura, i responsabili della diffusione del batterio e della malattia degli ulivi sarebbero alcuni tra gli stessi ricercatori.
In una nota pubblicata alcuni giorni dopo, l'Istituto elenca alcuni elementi che smentiscono l'ipotesi della procura. Durante il corso sono stati impiegati campioni di Xylella delle sottospecie fastidiosa e multiplex, mentre il batterio che sta infettando gli ulivi appartiene alla sottospecie pauca. L'ipotesi che la diffusione sia partita dalle strutture del centro, in grado peraltro di garantire l'isolamento di un patogeno da quarantena, non è coerente con la localizzazione dei primi focolai della malattia, sorti attorno a Gallipoli. Infine, l'uso del batterio era stato autorizzato dal ministero dell'Agricoltura e tutto il materiale, al termine del corso, è stato distrutto.
Intanto l'epidemia avanza e la zona infetta ricopre ormai gran parte della provincia di Lecce, con focolai sparsi sul territorio. Il batterio si dirige verso nord e supera i confini leccesi, penetrando nella provincia di Brindisi. A marzo del 2015, nel comune di Oria, viene scoperto un focolaio di infezione in un'area di 40 ettari. Da qui in avanti la lotta contro l'avanzata del batterio si intreccia (e si complica) con una serie confusa di dispute amministrative, sospensioni, ricorsi, inchieste.
A febbraio, dopo la delibera da parte del Governo dello stato di emergenza, la protezione civile nomina un commissario straordinario con il compito di preparare un piano di intervento. Il piano prevede eradicazioni mirate, l'uso, se necessario, di fitofarmaci e l'applicazione di pratiche agronomiche per la lotta agli insetti vettori.
A maggio, in seguito ad alcuni ricorsi riguardanti soprattutto la possibilità, prevista dal piano, di impiegare fitofarmaci, il Tar del Lazio si pronuncia per la sospensione degli interventi e dello stato di emergenza decretato dal Governo. Ma appena qualche giorno prima, a fine aprile, l'Unione Europea, decide misure ancora più dure. Viene individuata una zona infetta, delimitata da una zona cuscinetto di circa 10 chilometri e, all'esterno, da una zona di sorveglianza di 30 chilometri. Le due ultime zone comprendono comuni delle province di Brindisi e Taranto.
La Commissione Europea riconosce, infatti, che la zona infetta comprende ormai l'intera provincia di Lecce, dove il batterio «è presente da più di due anni e non è più possibile eradicarlo». Perciò, nella provincia di Lecce, si potranno adottare solo misure di contenimento, anziché di eradicazione. Dovranno però essere rimosse tutte le piante infette che si trovano in prossimità di siti sensibili, per esempio vicino a «piante che presentano particolare valore sociale, culturale o scientifico», o quelle situate entro 20 chilometri dal confine provinciale. Come scrive Giovanni Paolo Martelli:
L’esperienza maturata negli USA, e poi nei Paesi del centro e del sud America in cui la presenza di X. fastidiosa è ormai endemica, dimostra che una volta penetrato in un territorio dalle condizioni climatiche favorevoli, il batterio vi si insedia stabilmente e, grazie alla vasta gamma di ospiti e vettori di cui gode, diventa ineradicabile.
Anche nel comune di Oria, nel brindisino, viene delineata un'area infetta circondata da una zona cuscinetto. Ma qui, a differenza che nella provincia di Lecce, dovranno essere eliminate tutte le piante ospiti del batterio in un raggio di 100 metri da quelle infette, indipendentemente dal loro stato di salute.
L'obiettivo, quindi, è arrestare l'espansione di Xylella verso il resto della Puglia.
Nel frattempo, insieme al batterio, iniziano a diffondersi anche alcune teorie del complotto sull'origine e la natura dell'epidemia. Tra queste, quella secondo cui la malattia degli ulivi salentini farebbe parte di un piano occulto della multinazionale Monsanto per rimpiazzare le piante con ulivi geneticamente modificati, nonostante non esistano in commercio e, in ogni caso, il loro impianto non sarebbe permesso in Italia. La tesi del complotto viene rilanciata, tra gli altri, dall'attrice Sabina Guzzanti, che sulla sua pagina Facebook definisce Xylella un «batterio finto» («qualcuno sospetta che sia costruito in laboratorio») e pubblica un appello lanciato da un cantante del gruppo salentino Sud Sound System.
Anche alcune organizzazioni esprimono dubbi sulle cause dell'epidemia e sulle spiegazioni date dagli scienziati. L'organizzazione non-governativa PeaceLink invia alla Commissione Europea documenti a sostegno dell'ipotesi che il disseccamento degli ulivi sia causato non da Xylella, ma da alcune specie di funghi. In risposta l'Autorità europea per la sicurezza alimentare conferma che non ci sono evidenze che i funghi siano la causa primaria del CoDiRO.
Ma i sospetti non si esauriscono e tornano a rivolgersi verso gli studiosi impegnati nella ricerca. A maggio del 2015 la procura di Lecce, che continua a indagare su una possibile diffusione colposa della malattia, dispone il sequestro di alcuni computer e documenti presso l'Università di Bari e il CNR. La rivista scientifica Nature parla di «scienziati diffamati» e l'Associazione italiana delle società scientifiche agrarie si chiede «chi ci salverà dai propagatori di notizie non provate, dai dietrologi, dai portatori di pregiudizi».
A settembre il commissario straordinario per l'emergenza redige un nuovo piano di interventi, che prevede, insieme a indennizzi per i privati, l'abbattimento di alcune migliaia di piante nella provincia di Brindisi, dove intanto sono stati rinvenuti nuovi focolai di infezione. A novembre interviene di nuovo il Tar del Lazio, che accoglie la richiesta di sospendere l'eradicazione delle piante sane nel brindisino.
Nel dicembre scorso, dopo che l'Unione Europea ha aperto una procedura di infrazione contro l'Italia per non aver rispettato gli obblighi previsti dai piani di intervento, la procura di Lecce decide il sequestro di tutti gli ulivi destinati all'eradicazione e indaga una decina di persone, tra cui funzionari, dirigenti e lo stesso commissario straordinario. L'inchiesta coinvolge, di nuovo, alcuni scienziati. E, di nuovo, viene ipotizzata una diffusione colposa della malattia. Inoltre, secondo quanto affermato dal procuratore di Lecce Cataldo Motta, l'Europa sarebbe «stata tratta in errore con dati impropri». Per la procura, tra gli errori ci sarebbe anche la stessa esistenza di una relazione causale tra il batterio e il disseccamento degli ulivi. Le eradicazioni, l'utilizzo di fitofarmaci e le stesse misure di quarantena sarebbero inidonee e inutili, dal momento che secondo i giudici, a dispetto di quanto ipotizzato dai ricercatori, il batterio si troverebbe in Salento già da 15 o 20 anni.
Ma se, a differenza di quanto suggeriscono le evidenze scientifiche, non c'è alcun nesso tra Xylella e la malattia degli ulivi, perché ipotizzare una reato di diffusione colposa di questa malattia? In risposta alla nuova inchiesta, l'Unione Europea dichiara di non aver ricevuto dati sbagliati e chiede all'Italia di intraprendere un'azione rapida per salvare gli ulivi sani ed evitare la diffusione del batterio.
Uno scontro tra scienza e giustizia?
Molti, di fronte alle inchieste della magistratura, hanno paragonato il caso dell'epidemia di Xylella nel Salento a vicende molto diverse tra loro, come il caso Stamina, le sentenze sui vaccini e i processi per il terremoto a L'Aquila. E hanno interpretato questa storia come un ennesimo scontro tra scienza e giustizia. Entrambe cercano di verificare i fatti e di ricostruire un quadro della realtà che sia il più completo possibile, al di là di un ragionevole dubbio e nei limiti delle evidenze disponibili. Ma hanno obiettivi e metodi diversi. Ed è perciò possibile che seguano percorsi diversi o, addirittura, opposti.
Di certo, l'epidemia degli ulivi del Salento non è stata affrontata in modo tempestivo e questo ha spinto molti ad esprimere dubbi sulla reale efficacia delle misure intraprese. Ma, come scrive Alexander Purcell, «non far nulla ha ora un costo molto basso, ma il costo sarà assai più elevato in un immediato futuro».
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