La disinformazione sui social e la credibilità dei media
8 min letturaPubblichiamo questo articolo di First Draft perché quello che si può imparare dall'esperienza dei media francesi in questi giorni pensiamo possa valere per tutti i media in generale. Anche quelli italiani. Speriamo così di contribuire nel nostro piccolo a una ecologia dell'informazione.
di Alastair Reid - The English-speaking world could learn a lot from France to rebuild trust in the media
[traduzione Marion Sarah Tuggey]
Un anno che è iniziato col sangue sulle strade, trasmesso in tutto il mondo, e si è concluso con l’incubo vivente che ha assalito il X Arrondissement di Parigi lo scorso venerdì: un orrore che nessuna città dovrebbe subire. Troppe invece ne soffrono.
I media francesi, così come ci si poteva attendere, si sono impegnati a pieno regime per trovare le informazioni necessarie al loro pubblico, incontrandolo sui social media, dove tutte le domande venivano poste, e demistificando i rumor nel miglior modo possibile. Ma l’ascesa del potere dei social network, dove ogni utente è editore a pieno titolo, ha portato all’indebolimento dei media tradizionali.
Gran parte dei media infatti sono semplici gocce nel mare dei feed di notizie del pubblico più ampio. Per i lettori più attenti possono essere un torrente. Di certo non sono più i fiumi in piena di una volta, che si riversavano nell’oceano dell’informazione pubblica.
«Non dovremmo essere naïf con i social network», afferma Samuel Laurent, redattore del canale Les Decodeurs di Le Monde per il debunking, il controllo, le spiegazioni e il data journalism.
«Le cazzate succedono anche sui social network. Domenica, le persone si volevano riunire a Parigi e sono arrivate a Place de République, dove alcuni forti rumori hanno creato il panico: una macchina che aveva frenato con grande baccano, o qualcosa del genere. Stando su Twitter si è potuto vedere come il mezzo abbia aiutato a diffondere il panico, dicendo che si erano sentiti dei colpi di arma da fuoco. Ha amplificato il panico. È importante capire che la condivisione non è più virtuale. È reale. Può avere un effetto reale, sulla vita vera».
Hundreds of people flee the Place de la République in Paris after false alarm caused panic https://t.co/N2jN48kTCD https://t.co/ehsBUhojeU
— Sky News (@SkyNews) 15 Novembre 2015
La natura della tragedia di Parigi non è nuova, lo è la sua scala. Chiamare il massacro di Charlie Hebdo una sorta di test per il 13/11 – così come lo si sta chiamando adesso – può sembrare rozzo, ma fra le tante lezioni imparate c’è quella del rinnovato cinismo delle fonti online. Dopo tutti i rumor, le bufale e le bugie che hanno avvolto gli attacchi di gennaio – ampiamente visti come un assalto al giornalismo, alla libertà di stampa e alla libertà di parola – molti giornalisti francesi sono stati invitati nelle scuole. Hanno spiegato il processo sottostante il giornalismo a bambini e adolescenti: i fondamenti della competenza sui media, l’analisi delle fonti e il controllo delle informazioni.
«Quello è stato il punto di svolta», dice Julien Pain, caporedattore di Les Observeurs di France 24, che opera in francese, inglese, arabo e farsi per demistificare rumor e bufale. «Prima di quel fatto, le persone controllavano solo i discorsi politici… dopo Charlie Hebdo e tutte le immagini false che sono circolate, e per l’impatto che hanno avuto, tutti hanno realizzato che dovevamo lavorare anche su quello».
Pain ha aperto Les Observeurs nel 2007, quando ha persuaso personaggi di spicco di France 24 che i social media e lo UGC (User Generated Content, contenuti generati dagli utenti) sarebbero stati la prossima frontiera delle news, un anno dopo il lancio del canale. L’account Twitter della versione francese, @Observateurs, ha ora 142.000 follower, mentre @Decodeurs, di Le Monde, creato da Laurent per il fact-checking delle elezioni in Francia del 2011, ha un seguito di circa 44.000 utenti.
Assieme a @LibeDesintox di Libération, e al nuovo canale di BuzzFeed Francia, @Verifie, i media francesi stanno stanando i truffatori dai nascondigli, confrontandosi faccia a faccia con loro sui social media. Negli USA, la fiducia generale nei media è calata al minimo storico, il 40%, secondo un sondaggio recente di Gallup, cifra che scivola ancora più in basso, al 38%, se si parla di Regno Unito.
Siti di news alternative di parte, che non hanno gli stessi standard editoriali, stanno diventando le fonti scelte da chi è ormai disilluso dallo status quo e gran parte dell’establishment non sta facendo nulla per fermare il deterioramento della situazione.
«Esiste il bisogno reale di istruire le persone su come si devono informare, su come evitare di essere presi in giro», afferma Laurent, «c’è un enorme domanda ed è interessante per le news organisation essere in grado di farlo. Ci si aspetta che noi lo facciamo. Quando vede un sito, [Il pubblico] non sa se è serio o meno. Ci sono così tanti siti che fanno finta di essere seri e in Francia e forse vale anche per il Regno Unito, abbiamo account Twitter che fanno finta di essere agenzie di news e in realtà sono solo una persona dietro uno schermo, che guarda la TV e dice ‘ecco una breaking news’. Questi account sono seguiti da decine di migliaia di persone, e sono pericolosi in un momento di crisi come questo, perché dicono cazzate tutto il tempo, e la gente le condivide. Penso che dovremmo far capire al pubblico che non tutte le informazioni sono della stessa qualità, e non tutte le informazioni sono informazioni corrette».
«Dobbiamo essere più attivi, perché un rumor può diffondersi parecchio molto prima che un giornalista possa notarlo», concorda Adrien Sénécat, che guida l’account Vérifié di BuzzFeed Francia, via email. «Non dobbiamo stare in attesa dei rumor: dobbiamo cercarli, e dare risposte precise, cercando al contempo di non alimentarne la diffusione, ma di rispondere alla cosa». Il caos degli attacchi ed il periodo immediatamente successivo sono state una situazione infernale dalle quale fare giornalismo e Sénécat ha fatto gli straordinari da allora per poter mettere le cose al posto giusto.
Le mec fait croire à une prophétie des attentats, mais c'est un fake. L'original est ici : https://t.co/bOw4rLZJAu pic.twitter.com/dPLinAtYg5 — Adrien Sénécat (@AdrienSnk) 14 Novembre 2015
«Il tipo crede davvero nella profezia degli attacchi», dice il tweet di Sénécat, «ma è un falso».
La preoccupazione per molti media in lingua inglese è che la domanda debunking in realtà non ci sia fra gli utenti. Informazioni verificate su una storia come quella di Parigi – di interesse globale e con ripercussioni globali – saranno sempre popolari, ma Craig Silverman, membro di First Draft, ha identificato una mancanza di incentivo per il debunking nel suo report ‘Le bugie, le dannate bugie, e il contenuto virale’ (‘Lies, Damn Lies and Viral Content’) in febbraio.
Alcuni media preferiscono essere le prime a sfruttare il traffico che una storia sensazionale presa dai social media può portare, ha scritto, piuttosto che sprecare risorse nel confutare qualcosa di così cliccabile.
Il risultato è un cimitero per il debunking, con molti media di qualità che non trattano di news false o bufale, mentre si lasciano viaggiare impunite le immagini, i video, le storie e le rivendicazioni che circolano sui social. In tale paesaggio, non sorprende che la fiducia nel giornalismo stia crollando.
Ma, se fatto bene, «il debunking ora è una macchina per click», dice Pain. «Gli articoli che si pubblicano su debunking e informazioni false ottengono migliaia e migliaia di visite», aggiunge. «Come giornalista, sai che questi articoli funzionano bene perché le persone sono interessate a questo tipo di informazioni».
In otto anni dal lancio di Les Observateurs, Pain ha perfezionato la tecnica di comunicare un debunking in modo efficace, senza far circolare ancor di più il rumor originale, e afferma che la chiave sta nell’identificare il pubblico interessato nel debunking e nell’essere chiaro nella sua presentazione.
«Abbiamo un grande logo che mettiamo sull’immagine», dice Pain, «che dice ‘debunked’ in inglese, ‘intox’ in francese, e lo stesso facciamo per l’arabo e per il farsi. È un logo enorme che attraversa tutta l’immagine, per rendere chiaro che l’immagine è falsa. Poi, anche se le persone non diffondono il nostro articolo ma solo l’immagine, il logo è sull’immagine. È uno dei trucchi del mestiere».
Verifie ha un approccio simile, spiega Sénécat, in quanto «principalmente prodotto distribuito, che significa che vive sui social, dove ha maggiore significato, perché è proprio da lì che gran parte dei rumor o dei falsi prendono vita. Quindi l’essenza di Vérifié è quella di essere in grado di rispondere alla domanda ‘è vero o è falso?’ in modo corretto, sia essa per un tweet, un’immagine o un post».
Pain ritiene che i video siano un modo più efficace di raggiungere anche i più giovani lettori, usando tecniche collaudate per video popolari sui social media per poter catturare l’attenzione delle persone che leggono il loro feed di notizie.
E così come in qualsiasi storia, la chiave è trovare un pubblico, per il debunking la chiave è trovare l’interesse umano, trattando di argomenti ai quali le persone si appassionano, in ambienti nei quali il pubblico esiste già.
A Les Observateurs, questo significa trovare «ciò che è davvero pericoloso, altamente condiviso che può avere effetti sulle opinioni delle persone», dice Pain, andando oltre la semplice natura di bufala o disinformazione, chiedendosi anche perché viene diffusa.
«Quello che è interessante con questo tipo di debunking è che si trova sempre un pubblico. Se si fa debunking della propaganda fatta da un sito musulmano, allora tutta l’estrema destra viene da te e diffonde le informazioni. E poi pubblichi qualcosa del tipo ‘oh l’estrema destra sta dicendo cazzate su questo’ ed ecco i siti islamici che arrivano e diffondono la notizia. Si trova sempre un ampio pubblico. Le persone sono davvero interessate a ricevere spiegazioni sul perché un’informazione è vera, e trovo ciò affascinante. Vogliono sapere come controlliamo la notizia, non vogliono solo sapere che ‘è stata controllata’. Vogliono sapere come fai a sapere le cose e come le provi, il che è un bene».
La guida di Pain alla verifica delle informazioni false è stata pubblicata giorni prima degli attacchi, ed è stata ampiamente condivisa, così come i ‘7 consigli per bloccare i rumor’ di Les Decodeurs, pubblicato il giorno successivo agli attacchi.
«Abbiamo scritto una piccola cosa che diceva ‘buoni consigli per non essere presi in giro dalle bufale’», dice Laurent. «Solo cose semplici, come il fatto che le notizie provenienti da una fonte anonima forse non sono rilevanti, non ci si può credere perché non si conoscono le persone, non si sa da dove arrivi la notizia, quindi meglio non condividerla. Cose di base. L’articolo è stato condiviso [circa] 20.000 volte».
Il pubblico generalmente capisce che Internet è pieno di rumor e disinformazione. Ma troppo spesso, quando il pubblico si rivolge ai media tradizionali in USA e nel Regno Unito per ricevere un orientamento, li trova indifferenti nel migliore dei casi – e complici nel peggiore.
La situazione sarebbe incommensurabilmente più tragica se solo un campanello d’allarme simile riuscisse a svegliarli dal torpore, portandoli ad agire.