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Tecnologia, innovazione e sharing economy in campo per aiutare i rifugiati

2 Ottobre 2015 9 min lettura

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Tecnologia, innovazione e sharing economy in campo per aiutare i rifugiati

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No, non sarà un'app per smartphone o una startup a risolvere l'epocale questione migranti. Ma ciò non significa che tecnologia, sharing economy e mondo dell'innovazione non possano dare una mano. In molti ci stanno già provando. Ci sono i colossi web, a partire da Facebook e dal suo fondatore Mark Zuckerberg, che pochi giorni fa ha annunciato, all'Onu, di volersi adoperare per fornire la connessione ai campi profughi. Ma ci sono anche svariate idee e progetti provenienti "dal basso".

In queste ore è in corso per esempio un hackaton di due giorni a Londra organizzato dalla community di TechFugees, un gruppo nato su Facebook - e già oggi con quasi 1.500 iscritti - grazie a Mike Butcher di TechCrunch, e che si propone di coordinare gli sforzi del mondo dei tecnologi per mettere il crowdsourcing al servizio della gestione della crisi dei rifugiati in Europa.

Per "promuovere, creare e diffondere soluzioni tecnologiche per i rifugiati in fuga dalla morte e dalla distruzione in patria", è stata lanciata anche una campagna di crowdfunding per finanziare in modo distribuito la realizzazione di una piattaforma no profit che le coordini. L'obiettivo è intervenire subito, prima dell'inverno, e sulla base di quanto segnalato da chi è al lavoro a Calais si articola in alcune richieste precise: creare una applicazione che segnali percorsi sicuri per far giungere i rifugiati nella destinazione desiderata, crearne un'altra che identifichi le zone problematiche prima che le situazioni problematiche si presentino, aggregare le informazioni provenienti dai singoli paesi circa le richieste di asilo e aiutare le ONG già operative sul campo.

Ma non è l'unica iniziativa in corso, naturalmente. Un'altra è coordinata da makesense.org, una piattaforma che mira a raccogliere idee dal basso per contribuire a risolvere i problemi riscontrati dall'imprenditoria sociale. Tra i temi emersi dalla community di "Gangster" - così vengono chiamati i suoi membri - non poteva mancare quello dei rifugiati. Così "una ventina di noi a Berlino ha mobilitato circa 700 cittadini in un mese", spiega Ismail Chaib di Make Sense in uno scambio via mail.

"Abbiamo organizzato oltre 15 eventi con obiettivi e durata diversi", dice ancora Chaib. Si sono tenuti "workshop creativi per imprenditori, workshop di cucina per rifugiati, performance artistiche, panel di discussione" e molto altro. Ma l'impatto concreto? "Abbiamo passato al vaglio 30 progetti sociali e formulato 15 soluzioni concrete con i cittadini partecipanti. Ed è importante notare come alcune delle persone coinvolte nella campagna abbiano deciso di lanciare il loro proprio business sociale a supporto dei rifugiati dopo aver partecipato agli eventi (si veda qui)".

Se si pensa che la rete di Make Sense si estende già a 20 mila cittadini, che Google ha inserito l'iniziativa tra i finalisti della 'Impact Challenge' che annovera i migliori utilizzi sociali della tecnologia (in ballo ci sono 500 mila euro), e che lo stesso Chaib volerà nei prossimi giorni ad Atene per parlare direttamente dei problemi di accoglienza con chi li vive in loco, si comprende come ulteriori progetti futuri non mancheranno. A partire dall'hackaton appena tenutosi sull'argomento in Libano, ma anche a una serie di incontri per startupper interessati alla questione nelle prossime settimane a Berlino sulla scia di quanto accaduto a Parigi in gennaio grazie alla collaborazione con Singa, che già l'anno scorso aveva lanciato un manuale su come mettere l'ICT al servizio dei rifugiati.

Molto si sta muovendo, insomma, e si sta muovendo adesso. Ecco, di seguito, alcune delle iniziative più interessanti e già in corso.

Refugee Hero

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Sito: refugeehero.com

Cos'è: un'autodefinita "Airbnb per rifugiati", ossia una piattaforma che mette in contatto privati e istituzioni - "scuole, università, chiese, moschee" - desiderosi di offrire ospitalità con migranti bisognosi di ospitalità, con la (ovvia) differenza che qui il tutto avviene nel segno della completa gratuità. "Trova la tua nuova casa temporanea", riassume la startup creata da tre giovani imprenditori olandesi. Ma perché parlare di "eroi"? Non è pura e semplice umanità? "Volevamo restituire l'umanità al genere umano", risponde Ayoub Aouragh raggiunto da Valigia Blu via mail. "Abbiamo letto moltissime brutte notizie negli ultimi anni, e vogliamo davvero cambiare le cose. Crediamo che accogliere dei rifugiati nella propria casa sia un qualcosa di cui solo un eroe è capace. Le persone che offrono la loro abitazione sono un esempio per il mondo intero. Per questo li chiamiamo eroi".

Dati: "Attualmente abbiamo oltre 100 persone nella lista di chi offre ospitalità", spiega Aouragh, uno dei tre fondatori. "Perciò facciamo del nostro meglio per inviare loro email e chiamarle, così da verificare che non abbiano alcuna cattiva intenzione. I proprietari hanno già ricevuto diverse chiamate, ma ci vuole tempo visto che incoraggiamo le persone a incontrare i rifugiati per capire se c'è una compatibilità di fondo prima di accoglierli nelle loro case". Quanto agli accessi al sito, dice Aouragh: "Già al primo giorno abbiamo avuto circa 2 mila visitatori. Poi c'è stata un'esplosione a 10 mila. Ora riceviamo 5-10 mila visitatori al giorno, dall'Australia agli Stati Uniti, dal Brasile alla Francia, dalla Russia a Singapore".

Refugees Welcome

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Sito: refugees-welcome.net

Cos'è: un'altra piattaforma per mettere in contatto chi offre ospitalità e rifugiati in cerca di una sistemazione temporanea. In questo caso, tuttavia, il servizio sembra principalmente rivolto a privati: "Ospitare i rifugiati in abitazioni private arreca dei vantaggi a entrambe le parti: i rifugiati hanno la possibilità di vivere in un'abitazione adeguata, imparare meglio la lingua, e adattarsi più facilmente al nuovo ambiente. Tu, dall'altro", recita il sito rivolgendosi a potenziali ospitanti, "avrai la possibilità di conoscere una cultura differente e aiutare una persona in una situazione difficile". Il sito si premura anche di fornire tutta una serie di informazioni utili per far sì che l'accoglienza abbia le più alte chance di successo: il numero di coinquilini, le lingue parlate, il tenore di vita e altro. Refugees Welcome si pone poi da intermediario nella comprensione di come finanziare al meglio il periodo di permanenza nella propria abitazione, segnalando possibili contributi istituzionali oppure il ricorso a micropagamenti e crowdfunding (per ulteriori dettagli, c'è un apposito FAQ raggiungibile dalla homepage). Refugees Welcome è una no profit, e "incoraggia ad accogliere anche immigrati irregolari".

Dati: Attualmente l'iniziativa, lanciata a novembre 2014, vanta la sistemazione di 181 rifugiati in altrettanti appartamenti segnalati tramite il sito, 100 in città tedesche (Berlino, Dresda, Lipsia, Monaco e sostanzialmente tutte le principali) e 81 in Austria (Salisburgo, Vienna, Eisenstadt e Knittelfeld). Il centesimo era stato festeggiato solo il 23 settembre scorso:

I creatori, una coppia insoddisfatta della "mass accomodation" fornita dal governo tedesco e che ha dato per prima l'esempio accogliendo un profugo del Mali ora in attesa di un permesso di lavoro, sostengono il servizio sia attivo in fase di sperimentazione in 20 paesi, Italia inclusa. Statistiche costantemente aggiornate sull'uso del servizio sono reperibili qui.

Questo grafico, aggiornato al 7 settembre, specifica per esempio la nazionalità dei rifugiati ospitati tramite il sito:

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Refunite

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Sito: refunite.org

Cos'è: un'applicazione mobile che fornisce una piattaforma collaborativa per ricongiungere i migranti con i loro cari. Come si legge nell'about dell'iniziativa: "Tutti hanno il diritto di sapere dove si trova la propria famiglia. Questa idea è alla base di Refunite, una organizzazione tecnologica no profit la cui missione è ricongiungere le famiglie dei rifugiati in tutto il mondo con cari dispersi". Che sia tramite un telefonino (anche non uno smartphone), un computer o una linea verde gratuita, l'idea è dare a chi li ha smarriti uno strumento per agire in prima persona, e sulla base di un unico database che raccolga tutte le informazioni utili.

Dati: L'iniziativa è nata nel 2008 quando due fratelli danesi, girando un documentario, hanno conosciuto un diciassettenne rifugiato afgano separato dalla propria famiglia da un trafficante di esseri umani in Pakistan, mentre era in fuga dai talebani. Oggi, grazie alla collaborazione con - tra gli altri - Ericsson, la Croce Rossa e le Nazioni Unite, scrive la PBS che gli organizzatori stimano di aver contribuito a riunire almeno 1.500 famiglie grazie a un database di circa 405 mila profili anonimi ma contenenti le tante informazioni utili richieste dal sito all'atto della registrazione. Il servizio è attivo in 14 paesi in Africa e Medio Oriente.

InfoAid

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Link: InfoAid app (Android)

Cos'è: una app per informare correttamente i rifugiati su notizie e aggiornamenti indispensabili, e su cui spesso la disinformazione governativa confonde le idee. Non a caso è stata sviluppata da un team di attivisti in Ungheria, il paese che forse più di ogni altro ha risposto alla crisi costruendo muri e barriere, e mettendo in atto una repressione che non si può che definire inumana. La fame, dicono i creatori, è insomma anche di buona informazione, e InfoAid si propone di fornirla. Spiega Nina Kov all'AFP: "Stiamo inviando a chiunque la scarichi le ultime notizie sulla chiusura dei confini, su chi si sta trasferendo da dove a dove, le più recenti procedure per fare richiesta di asilo, novità sulle leggi in Ungheria e così via".

Dati: si parla già di 700 utenti attivi al giorno, e di 100 nuovi iscritti ogni 24 ore. La app è disponibile in inglese, ungherese, arabo, urdu, pashtu e persiano, ma naturalmente più traduttori significherebbero ulteriori traduzioni. Il prossimo obiettivo è renderla scaricabile anche in greco.

Altre iniziative al lancio, o comunque da tenere d'occhio:

projecttemphome.com
hashtagcharity.org
startupboat.eu
first-contact.org
mifos.org

Niente utopismi (finalmente)

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Uno degli aspetti maggiormente positivi e che sembra accomunare gran parte delle iniziative visionate è la totale assenza di retoriche tecnoutopiste del tipo "la politica non serve, basta la tecnologia, ed eccola qui". Sarebbe un pessimo modo di gestire per esempio le iniziative di accoglienza, che invece - come sostiene la ONG Pro Asyl - non possono essere frutto di improvvisazione, per un pur lodevole "capriccio". A commento del successo di Refugees Welcome, si legge:

"(...) ha ispirato esperimenti simili in Austria e negli Stati Uniti, per esempio. Tuttavia, di fronte a un mare di offerte di stanze da cittadini vogliosi di dare una mano, Pro Asyl prescrive cautela, dato che i rifugiati sono esseri umani, hanno la loro volontà e non sempre saranno necessariamente socievoli o integrati con la cultura locale. Ancora, i traumi potenzialmente causati dalle esperienze nei loro paesi d'origine e accumulate durante i viaggi vanno tenuti in considerazione, compreso il supporto psicologico. Sono tutti fattori che vanno tenuti in considerazione nella decisione di aprire le porte della propria casa a un rifugiato, così da non creare aspettative irrealistiche."

Aouragh di Refugee Hero spiega per esempio, a precisa domanda, che la premessa - che campeggia sul sito - per cui "le istituzioni europee non sono in grado di gestire altri profughi" non significa che non debbano farlo. "Crediamo serva una combinazione" di politica tradizionale e crowdsourcing: "insieme dovrebbero essere più che sufficienti per assicurare a ogni profugo un posto dove stare". E dire che le prospettive sono ambiziose: "non ci accontentiamo dell'ospitalità, vogliamo trattate tutto ciò abbia a che fare con l'immigrazione, dal trovare una scuola a imparare una lingua, o andare dal dentista".

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