Perché il mondo ignora gli attacchi di Boko Haram?
4 min letturaCentinaia di civili uccisi, tra cui molti bambini. Più di 3.700 strutture danneggiate o distrutte. A partire dallo scorso 3 gennaio Boko Haram, l'organizzazione terroristica jihadista che ha le proprie basi nel nord-est della Nigeria, ha sferrato un violentissimo attacco, definito da Amnesty International "una devastazione di proporzioni catastrofiche", contro le città di Baga e Doron Baga, quasi cancellate dalla carta geografica nell'arco di quattro giorni, come dimostrano le immagini satellitari, che riguardano solo due dei molti centri abitati attaccati.
Amnesty International ha raccolto numerose testimonianze dei sopravvissuti. Agghiaccianti i particolari dell'attacco di Baga, raccontati da un uomo di cinquant'anni circa: "Hanno ucciso tanta gente. Ho visto un centinaio di corpi, poi sono fuggito nella boscaglia. Mentre fuggivamo, continuavano a uccidere". L'uomo è stato scoperto in un nascondiglio e condotto a Doron Baga, dove è rimasto nelle mani di Boko Haram per quattro giorni.
Migliaia di persone fuggite verso il confine del Ciad o in altre zone della Nigeria si sono aggiunte alle centinaia di migliaia di profughi e rifugiati. Eppure, nonostante la portata enorme dell'aggressione violentissima, il mondo sembra ignorare quanto sta accadendo.
La questione è stata sollevata in un articolo del Guardian che riporta un tweet di Max Abrahms, analista, esperto di terrorismo che commenta: "È vergognoso come 2.000 persone uccise nel più grande massacro commesso da Boko Haram non ricevano alcuna copertura da parte dei media".
It's shameful how the 2K people killed in Boko Haram's biggest massacre gets almost no media coverage: http://t.co/tYSnnfGpDb.
— Max Abrahms (@MaxAbrahms) 10 Gennaio 2015
Inevitabile il paragone con l'attenzione riservata all'attacco alla sede del giornale Charlie Hebdo, a Parigi, dello scorso 7 gennaio. "Io sono Charlie, ma sono anche Baga", scrive Simon Allison del Daily Maverick. "Ci sono massacri e massacri. Siamo nel 21esimo secolo ma le vite degli africani ancora non fanno notizia e, di conseguenza, hanno meno valore di quelle occidentali". Pur lamentandosi per la scarsa attenzione, Allison riconosce la difficoltà oggettiva nel raccogliere informazioni. I giornalisti si trovano a centinaia di chilometri di distanza dai luoghi degli attacchi e questo spiega anche la scelta strategica da parte di Boko Haram di assumere il controllo in un'area in cui il gruppo si impone come alternativa al governo locale. Un motivo in più per porre la dovuta attenzione su quanto sta succedendo.
Effettivamente gli aggiornamenti arrivano dalla Nigeria con grande difficoltà. I giornalisti subiscono costantemente minacce del gruppo terroristico e l'accesso ad Internet non è garantito, anche a causa dei danni provocati dagli attacchi. Per questo motivo anche la condivisione di notizie, foto e video diventa estremamente complicata per le stesse comunità.
A ciò si aggiunge il silenzio della stampa e dei politici africani e, più specificamente, nigeriani. Assordante quello del presidente della Repubblica Goodluck Jonathan che ha prontamente espresso le condoglianze per le vittime francesi.
In un post pubblicato su The Daily Beast, Barbie Latza Nadeau mette in evidenza proprio questo aspetto. "L'unica cosa peggiore dell'amnesia collettiva da parte della comunità mondiale, riguardo alla campagna virale #bringbackourgirls, e l'indifferenza per l'ultimo bagno di sangue, è il distacco mostrato dal governo nigeriano, che ancora non ha rilasciato un commento ufficiale sulle ultime atrocità". Il mondo politico del paese sembra infatti troppo occupato a concentrarsi sulle prossime elezioni del 14 febbraio, non mostrando alcuna intenzione di catturare gli assassini o assumersi la responsabilità di fermare la violenza, nonostante il Consiglio per le relazioni con l'estero stimi che siano state più di 10.000 le persone ad aver perso la vita nel 2014.
Eppure di fronte all'immobilismo reiterato della politica, la comunità nigeriana non è rimasta a guardare. All'indomani del massacro di Dogo Nahawa del 2010, Esther Ibanga, pastore nella città di Jos, capitale dello stato di Plateau, nella Nigeria centrale, e fondatrice del gruppo Women Without Walls, è scesa in strada con altre 100.000 donne di religione cristiana per manifestare il proprio sdegno. L'obiettivo, ricorda Ibanga, era "far sapere al governo che le donne locali non avrebbero più taciuto". Nelle settimane seguenti, però, era sempre più evidente che la strage compiuta a Dogo Nahawa fosse stata una rappresaglia, in risposta a un attacco precedente compiuto da militanti cristiani. E a quel punto sono state le donne musulmane di Jos ad organizzare una marcia.
Nonostante le due imponenti iniziative, gli scontri sono proseguiti. Per Ibanga l'unico passo sensato da compiere era un incontro con Khadija Hawaja, leader musulmana locale, poiché aveva capito che il problema non riguardava la religione, usata evidentemente come strumento, ma che si trattava di una questione puramente politica. Durante l'incontro le due donne hanno convenuto di non essere l'una il problema dell'altra, che il punto non era essere musulmani o cristiani, ma essere tutti sottomessi alla volontà della politica e al mantenimento del potere. Dopo mesi di collaborazione Ibanga e Hawaja hanno fondato Women Without Walls Initiative perché "vogliamo farla finita con i muri che dividono e ci separano, sia che si tratti di classe sociale, di etnia o di religione". Questa storia ha ricevuto scarsa o nulla copertura mediatica.
The Daily Dot si pone la stessa domanda del Guardian allargandone la prospettiva: la colpa dell'assenza di copertura è da imputare ai media occidentali o è dovuta, piuttosto, alla mancanza di interesse da parte dei lettori, indifferenti alle notizie che non li coinvolgono più o meno direttamente? Quanto accaduto con la diffusione dell'Ebola sembra esserne una dimostrazione, almeno negli USA. I media e l'opinione pubblica statunitensi hanno cominciato a dedicare attenzione all'epidemia soltanto quando c'è stata la prima vittima americana.
Per Ahmed Rehab, direttore esecutivo del dipartimento di Chicago del Consiglio sulle relazioni americano-islamiche, ogni persona di buon senso dovrebbe mettere in discussione la disparità di attenzione riservata agli attacchi in Nigeria e a quello di Parigi, chiedendosi il perché della diversità di trattamento. Per Rehab una risposta possibile è che l'analisi delle vicende esca dal binario terrorismo/vittime avendo, piuttosto, come sfondo narrazioni radicate e politiche identitarie. Per questo motivo, gli eventi che non convalidino e sostengano in qualche maniera queste narrazioni (e che, invece, abbiano come protagonisti arabi contro arabi, neri contro neri, cristiani bianchi contro bianchi) difficilmente saranno oggetto di attenzione senza che vengano messi in evidenza contrasti ormai consolidati (musulmani contro bianchi).
Intanto, facendo eco all'hashtag #bringbackourgirls, utilizzato per chiedere la liberazione di 200 studentesse rapite da Boko Haram ad aprile 2014, la mobilitazione sui social a sostegno delle vittime dell'attacco di Baga non è mancata, attraverso gli hashtag #BagaTogether, #weareallbaga e #pray4baga. Un ottimo inizio, ma non abbastanza, per una vicenda che meriterebbe tutt'altro trattamento, anche perché inserita in un contesto ben più ampio al quale andrebbe riconosciuta un'attenzione diversa. Permanente.