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L’incomprensibile guerra degli editori a Google News

8 Novembre 2014 8 min lettura

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L’incomprensibile guerra degli editori a Google News

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Update 11/12/2014: Oggi Google ha annunciato che chiuderà il servizio Google News in Spagna a partire dal 16 dicembre, in seguito alla nuova legge spagnola che obbliga gli editori a pretendere una royalty per la pubblicazione anche di un solo estratto dei loro articoli.

Continua la guerra delle news che vede contrapposta l'intera editoria europea da un lato e Google, come fornitore del più utilizzato motore di ricerca online, dall'altro.

L'oggetto del contendere è il servizio Google News che inserisce i titoli degli articoli giornalistici con un breve estratto (2 righe) e il link al giornale online. Secondo gli editori questo modo di fare è un “furto”, Google “ruba” le news facendo “enormi” profitti, senza pagare nulla agli editori.
Per questo motivo è da anni che gli editori europei provano a costringere i rispettivi governi ad introdurre una nuova norma che obblighi Google a pagare una sorta di “tassa” per ogni aggregazione, cioè per l'inserimento di un titolo con un link.

Google News
In realtà la questione è un po' forzata da parte degli editori. Innanzitutto Google News non presenta alcuna pubblicità, cioè l’attività di aggregazione delle news non gli porta alcun introito diretto così sconfessando l'argomento principale degli editori. Di contro Google consente agli editori di monetizzare gli estratti tramite Google Adsense (circa 6,5 miliardi di dollari distribuiti agli editori partner nel 2011).
Google News, inoltre, non riporta certo la notizia per intero, ma solo il titolo, un breve estratto (circa 2 righe) e il link alla fonte della notizia sul giornale online. Sotto questo aspetto non c'è alcuna violazione delle attuali norme sul diritto d'autore, non trattandosi di una rassegna stampa parassitaria, ma della citazione di abstracts per categorie. Infatti a tutt'oggi in Europa non si è ancora trovata una norma che Google violerebbe col suo comportamento, per questo gli editori pretendono che i governi ne creino una ad hoc. Da cui il nomignolo di Google tax per queste proposte di legge.

L'unico appunto sollevabile contro Moutain View potrebbe essere sotto il profilo della concorrenza sleale e l'eventuale abuso di posizione dominante. Ma se la posizione dominante è indubbia (ma Google è un motore di ricerca non un editore), tale posizione è stata ottenuta lecitamente, e finora, nonostante numerosi procedimenti aperti, non è stato provato alcun abuso.
Anzi, invece di ridurre il numero di visite verso il giornali, secondo numerosi studi Google News sembra alimentare il flusso dei visitatori, apportando un aumento medio superiore al 20%. Uno studio di Pew Research del 2011 quantificava tale vantaggio per gli editori nell'ordine del 30% (circa 10 miliardi di visite). Per fare un paragone teniamo presente che Facebook veicola solo il 3-8% di visitatori verso i giornali.

Guerre di news locali
E la conferma che Google News è un vantaggio per gli editori, viene proprio dagli stessi editori. Infatti nel 2006 in Belgio un giudice condannò Google a pagare per l'aggregazione delle news, forzando non poco la norma applicata. Come conseguenza Google bloccò le notizie sia su Google News che sul motore di ricerca principale, apportando una riduzione di circa il 20% dei visitatori ai giornali. Questi fecero rapidamente marcia indietro pregando Google di reindicizzare i loro contenuti.

Nel 2009 anche il magnate dei media Murdoch prese posizione contro Google, bloccando l'indicizzazione delle notizie da parte del motore di ricerca. Tre anni dopo Murdoch è tornato sui suoi passi ammettendo che essere lasciati fuori da Google vuol dire perdere troppi lettori, nel caso specifico ammise una perdita fino al 40%.

Nel 2013 gli editori in Germania ottengono la riforma delle norme sul diritto d'autore, con l'introduzione di un nuovo diritto connesso. La Leistungsschutzrecht, più comunemente nota come Link Tax o Google tax, prevede un compenso per l’utilizzo di notizie altrui, comprese le anteprime, a meno che non si tratti di un frammento, senza però specificare quando si è in presenza di un frammento.
La genericità della norma, probabilmente scritta volutamente in tal modo (così che siano gli stessi editori a stabilirne la portata), porta ad un'immediata reazione da parte di Google, che chiude letteralmente tutte le news in Germania a meno che un editore non sottoscriva una espressa richiesta di voler apparire su Google News, nel qual caso l'editore deve rinunciare a qualsiasi diritto connesso.

Fin dal primo momento centinaia di editori tedeschi hanno rinunciato al compenso preferendo apparire sul motore di ricerca, ritenendo maggiori i vantaggi legati al flusso di visitatori che veicola Google. Solo alcuni editori hanno continuato la loro battaglia, ritenendo che la mossa di Google fosse un inaccettabile “ricatto”, di più, “un'estorsione” (strano, avrebbero dovuto essere contenti che il “furto” era cessato!).
Queste sono le parole utilizzate dagli editori per descrivere le scelte imprenditoriali di Google. Pensiamoci bene, Google fornisce un servizio gratuito agli editori, che apporta un flusso di visitatori considerevole, e che gli editori possono monetizzare anche, a fronte di un guadagno solo indiretto da parte di Google. Pare abbastanza ovvio che se Google dovesse pagare per ogni titolo con link, probabilmente il servizio non converrebbe più. E un servizio che non conviene, che va in perdita, per quale motivo dovrebbe essere tenuto aperto? Ma per gli editori è un ricatto. Sarebbe interessante capire cosa farebbe un editore di un giornale sempre in perdita.

Comunque, alcuni editori tedeschi hanno avviato una causa all'antitrust contro Google chiedendo l'11% dei suoi profitti mondiali dalla ricerca (ricordiamo che su Goole News non c'è pubblicità quindi in teoria sarebbe l'11% di zero!), richiesta respinta perché non è stato provato alcun abuso da parte di Google.
Alla fine la scelta di Google ha costretto gli editori tedeschi a rinunciare ai loro compensi per diritti connessi, ed è di questi giorni la notizia che anche Axel Springer ha capitolato, ammettendo che il traffico era crollato del 40% dal motore di ricerca e dell'80% da Google News (forse gli editori dovrebbero pagare Google per il servizio che rende loro).

Anche in Spagna il governo ha approvato una Google tax, imponendo agli aggregatori di news l'obbligo di un compenso per gli editori a prescindere dalla quantità di testo citato (basta uno snippet). Quindi colpisce tutti coloro che inseriscono dei link, così finendo per minare pesantemente la diffusione delle informazioni online. E questo nonostante il Garante per il mercato abbia sottolineato che potrebbe determinare gravi conseguenze per la libertà di impresa, precisando che il problema si potrebbe risolvere fornendo un'opzione di esclusione (ovviamente l'opzione già c'è, ma gli editori non vogliono usarla!).
Comunque, a questo punto è facile immaginare la risposta di Google. Di nuovo, perché dovrebbe tenere aperto un servizio in perdita? È la legge del mercato, cosa che i politici, troppo occupati a garantire le posizioni di privilegio, sembrano non capire.

Guerra europea
Nonostante i tentativi locali di far pagare Google per il “privilegio” di pubblicare link ad articoli di giornali, e le rimostranze degli editori contro l'invio da parte di Google di miliardi di visitatori ai medesimi giornali, si siano rivelati un enorme fallimento, le istanze degli editori sono giunte fino alla Commissione europea (sempre pronta a recepire le istanze dell'industria, come per ACTA, per il TTIP, ecc...).
Il Commissario all'economia digitale Oettinger, infatti, vorrebbe introdurre una tassa sulla proprietà intellettuale. Non è chiaro se intende estendere a tutta l'Europa la fallimentare Google tax tedesca, oppure si riferisce a qualcosa di diverso ma sempre avendo come riferimento la cattiva Google che non paga i diritti d'autore (eppure al momento non c'è nessuna norma in Europa che Google sta violando). Potrebbe essere interessante vedere le conseguenze dello spegnimento di Google News per tutta l'Europa...

Editoria in crisi
A questo punto è palese che il problema per gli editori non è il “furto” da parte di Google, perché l'editore che vuole evitare il “furto” può fare come fece Murdoch (e come hanno fatto i giornali in Brasile), cioè inserire una apposita direttiva nel file robots.txt così impedendo al motore di ricerca di indicizzare il giornale. Si tratta di un'operazione banale che anche un ragazzino sa come fare. Eppure nessuno degli editori (tranne Murdoch) lo ha fatto, hanno preferito lamentarsi fino ad ottenere la sponda dei rispettivi governi e improbabili modifiche legislative, senza pensare che Google è un'azienda che lavora (come l'editore) per guadagnare, se deve andare in perdita (pagando ingenti compensi) allora chiude il servizio.

Quindi, nessun furto, nessun ricatto, ma banalmente l'incapacità di riuscire a rapportarsi con le nuove tecnologie. L'editoria è in profonda crisi perché non riesce a trovare un modo per far pagare i suoi servizi, e invece di cercare di migliorare i servizi, andando incontro ai cittadini, invece di abbracciare le nuove tecnologie (come fanno aziende come Google), invece di investire denaro in ricerca, preferisce andare a lamentarsi dal governo per ottenere fondi, provvidenze, oppure, visto che siamo in tempo di crisi e anche i governi sono a corto di soldi, nuove assurde e ridicole norme che impongano tasse sulla vacca grassa di turno, cioè Google.
Insomma la solita vecchia storia del commerciante di ghiaccio al tempo dei frigoriferi, purtroppo qui ci sono anche i governi che fanno da sponda alle richieste degli editori. Il business model attuale dell'editoria europea è quella del bambino frignante che si nasconde dietro alla gonna della maestra lamentandosi degli altri bambini, certo deve essere piuttosto difficile dover ammettere di essere incapaci di reggere in un mercato senza aiuti statali (diretti, o indiretti cioè sottratti a forza a Google), molto più facile è additare l'azienda che invece è riuscita a cavalcare meglio di tutto le nuove tecnologie.

Il presidente della FIEG lo dice chiaramente:

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in Francia Google ha accettato di pagare una una tantum, che ha chiuso ogni contenzioso con gli editori. Gli editori francesi si sono poi pentiti della soluzione. A noi l'idea di questa una tantum, di un condono tombale non piace. Chiediamo si paghi in modo trasparente e con continuità.

Una tassa versata da Google con continuità, questo vogliono, in modo che possano garantirsi la sopravvivenza senza doversi preoccupare di innovare, di guardare al futuro. E poi qualcuno si chiede perché l'Italia è sempre all'anno zero, digitalmente parlando.

E per quanto riguarda la Francia? È stato l'unico paese a mettersi d'accordo con Google, che ha pagato 75 milioni per l'innovazione digitale dell'editoria. Gli editori francesi si sono pentiti? Forse, ma nel frattempo sono gli unici che hanno preso qualcosa, mentre in Germania e Spagna per il momento non hanno ottenuto nulla, se non un crollo delle visite.

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