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Alla ricerca di un Paese normale

23 Settembre 2014 2 min lettura

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«L'Italia non sarà mai un paese normale, perché è un paese straordinario», affermava il Presidente del Consiglio Renzi, qualche giorno fa, rivolgendosi alla Camera.

Mai forse, come nell'era del «cambia verso» al governo, il discorso pubblico aveva pescato così tanto nel mito nazionale dell'eccezionalità. L'Italia è il paese della «bellezza» che è sinonimo, ovunque, di «Made in Italy». E la globalizzazione richiede proprio bellezza, dice il premier, dunque non può che guardare all'Italia.

Mai forse, come nell'era della velocità al governo, il discorso pubblico aveva celebrato così tanto l'«innovazione». Dicono che siamo il paese del genio e della fantasia, un paese di inventori. E come può il paese che ha dato i natali a Leonardo da Vinci e Antonio Meucci non potercela fare, sempre, in barba a recessione e deflazione?

Non è la prima volta, in questi ultimi vent'anni, che si deve ricordare a chi è al governo che non si fa crescita col sogno e l'ottimismo. Ma mai forse, come oggi, era stata così stridente la contraddizione tra retorica e realtà.

Prendiamo l'agenda digitale. I passi da compiere in questo settore sono ancora molti, il «digital divide» in Italia è ancora molto ampio e un investimento in questo settore potrebbe essere decisivo anche per la crescita. Già il precedente esecutivo denunciava i ritardi su questo fronte, e, ad oggi, attendiamo ancora che si passi dalla celebrazione ai fatti. L'agenda digitale italiana sembra, anzi, essere sempre più vuota di impegni, a partire da quelli sulla destinazione delle risorse economiche, più che mai incerte.

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L'impressione, dunque, è che la retorica non sia altro che il linguaggio della propaganda. Del resto, la classe dirigente che celebra l'innovazione, anche «digitale», è la stessa che insiste a non dare risposte su questioni come università e ricerca. Non investiamo nell'università e non investiamo in ricerca. Ma vogliamo «l'innovazione». Non avremo, così, né la ricerca, né l'innovazione. Sogniamo anche una scuola «digitale», con un tablet in mano a ogni studente, ma tagliamo la spesa nell'istruzione pubblica.

La contraddizione, in fondo, è tutta qui. È quella di chi vuole un paese straordinario, non normale. Ma, come raccontava l'altra sera PresaDiretta, un paese normale è quello in cui il trasporto pubblico è al servizio di chi lo utilizza, invece di trasformarsi nell'ennesima storia di corruzione.

Un paese normale, probabilmente, è solo un paese che funziona.

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