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Odio, insulti, web e gli annunci fuffa della politica

13 Febbraio 2014 7 min lettura

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Odio, insulti, web e gli annunci fuffa della politica

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Nei giorni scorsi la deputata del PD Alessandra Moretti ha annunciato con una lettera al Corriere una proposta normativa sull'hate speech online. Citando gli insulti ricevuti alla Camera dei deputati, evidenziava la necessità di reagire. Secondo la deputata "occorre che i provider inizino un processo di responsabilizzazione dei contenuti, affinché la rete resti luogo di dibattito libero e democratico”, ecco il perché di una legge il cui principio è “diffondere una cultura personale della responsabilità dell’insulto: perché il problema non è la rete ma chi la usa”. Si tratta di “una legge pensata per le ragazze: è importante che capiscano che reagire è facile”. Quindi: “in alto gli ipad”, e “facciamo vedere le facce di chi cerca di intimidirci, limitando la nostra libertà personale

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Pur risultando presentata il 4 febbraio, al momento in cui scriviamo non è ancora pubblico il testo di legge sul sito della Camera. Il testo viene diffuso solo l'11 da la Stampa. Il primo dubbio, quindi, riguarda il metodo, come suggerisce Fabio Chiusi su Wired. Perché annunciare un testo di legge invitando al confronto se poi quel testo non è disponibile?
Il secondo dubbio sorge nel leggere il testo (qui sinossi a cura di Francesco Paolo Micozzi), perché delle tante, troppe cose, citate da Moretti nella sua lettera, ben poco (e potremmo dire, per fortuna - consigliamo di leggere Anna Paola Concia -) si trova nel testo in questione.
Nel testo di legge, infatti, non c'è alcuna norma che contribuisca a far iniziare ai provider un “processo di responsabilizzazione dei contenuti”, non è una “legge pensata per le ragazze”, e soprattutto non c'è previsione di pubblicazione dei volti degli haters online (cosa che comunque il Garante per la protezione dei dati personali bloccherebbe). Per quest'ultima proposta, comunque, c'è da dire che la Moretti aveva precisato che era solo una “provocazione”.

 

Cosa c'è invece nella proposta di legge?
Nel capo I, intitolato “disposizioni per la tutela dell'identità personale in internet”, si prevede  la possibilità per i genitori di un minore “il quale abbia registrato mediante falsa dichiarazione di maggiore età i propri dati personali su un sito web” di ottenere dal provider la rimozione dei dati. È una norma ridondante perché già l'attuale normativa prevede la possibilità di ottenere la correzione di propri dati, la rimozione di dati trattati in violazione delle leggi e così via. Senza dimenticare che il minore che si iscrive ad un sito web dichiarando il falso già è in violazione delle policy del social e quindi solo per questo il social online potrebbe cancellare i suoi dati.

L'art. 2 introduce il diritto di ottenere l'aggiornamento e l'integrazione dei propri dati personali pubblicati in emeroteche telematiche, secondo gli sviluppi che la notizia abbia avuto. Inoltre si può ottenere la deindicizzazione dei dati personali in relazione a notizie il cui interesse pubblico sia affievolito.
In realtà questa norma sembra il recepimento di una sentenza della terza sezione civile della Corte di Cassazione (n. 5525 del 2012), nella quale la Corte si occupava del caso di un politico indagato e poi assolto a distanza di anni, e che si lamentava di un articolo presente nell'archivio online di un giornale, risalente al tempo dell'indagine e che ovviamente dava conto solo dell'indagine e non della successiva assoluzione.
Mentre il politico chiedeva la rimozione della notizia, la Corte ha stabilito che il dato personale che viene pubblicato originariamente è lecito per finalità di cronaca, ma se poi l'articolo viene spostato in archivio, che ha finalità storiche e non più di cronaca, l'articolo diventa incompleto e per rimanere lecito deve essere integrato con gli eventi successivi (l'assoluzione), per garantire che la notizia sia storicamente completa e corretta.

Si tratta di un approccio interessante al diritto all'oblio, che si muove nell'ottica delle riforme in discussione all'Unione europea. Però c'è da precisare che questo principio è già insito nell'attuale ordinamento, visto che la Cassazione lo ha applicato. Niente di nuovo.
Un solo appunto al secondo comma. Prevedere la possibilità di deindicizzazione (sottrazione dall'indicizzazione) dei propri dati relativi a notizie “il cui interesse pubblico sia affievolito”, vuol dire di fatto rendere non più disponibile al pubblico dati che hanno pur sempre un interesse pubblico, anche se ridotto.

Le restanti disposizioni del capo I sono degli aggiustamenti alla normativa del Codice per la protezione dei dati personali, e in particolare si prevede la possibilità di ricorrere al Garante privacy nei casi in cui i provider non eliminino i dati personali su richiesta dell'interessato. Tale possibilità è già prevista nel Codice privacy ma, come fa notare Francesco Paolo Micozzi, il riferimento non è solo a dati personali da correggere, ma addirittura a “notizie” che non dovrebbero rientrare nella competenza del Garante privacy, quanto piuttosto in quella dell'autorità giudiziaria deputata a bilanciare i diritti del soggetto citato con il diritto di cronaca e a valutare l'interesse pubblico. Dopo l'Agcom, quindi, un altro caso di competenze trasferite dall'autorità giudiziaria a quella amministrativa?

Il capo II riguarda le disposizioni in materia di diffamazione ed ingiuria, e riforma parzialmente la normativa in materia di stampa (sul punto si consiglia l'ottimo articolo di Francesco Paolo Micozzi).
Si estende, quindi, la legge sulla stampa (L. 47 del 1948) anche alle testate giornalistiche online registrate, ma limitatamente ai contenuti redazionali, nonché alle testate giornalistiche radiotelevisive. La legge sulla stampa, risalente al 1948, negli anni ha visto alcune sue disposizioni estese anche alla rete internet, ma la giurisprudenza ha sempre sostenuto che non è ammissibile una estensione per analogia ad internet a causa delle differenze ontologiche tra la stampa cartacea ed il web. La norma comunque limita l'estensione ai soli contenuti redazionali, per cui tutto ciò che viene pubblicato sul sito web di un giornale online, pure se registrato, ma non proviene in qualche modo dalla redazione, rimane non soggetto alla legge sulla stampa (commenti dei lettori, ma anche i blog o sezioni gestite da soggetti terzi alla redazione, pur se inseriti strutturalmente all'interno del sito web).

Viene modificato anche l'art. 13 della legge stampa, che riguarda le diffamazioni commesse con il mezzo della stampa o della radiotelevisione.
Di rilievo è l'introduzione dell'aggravante dell'“attribuzione di un fatto determinato falso, la cui diffusione sia avvenuta con la consapevolezza della sua falsità”. Appare come una apertura all'istituto dell'actual malice (intenzione di offendere) prevista nei paesi di common law, che richiede che l'affermazione del cronista sia falsa e che sia provata la consapevolezza di tale falsità, nel qual caso scatta appunto l'aggravante.
All'eventuale condanna segue anche la pena accessoria dell'interdizione dalla professione di giornalista da 1 a 6 mesi.

Viene anche riformulato l'art. 57 della legge stampa che estende la responsabilità dei direttore del giornale anche alle testate giornalistiche online registrate. Nella nuova formulazione il reato non si configura più nel caso di omissione dell'esercizio del controllo al fine di impedire che siano commessi reati, bensì nel caso di “violazione dei doveri di vigilanza”. Il direttore può comunque delegare le funzioni di vigilanza ad uno o più giornalisti professionisti.

La proposta di legge modifica anche l'istituto della rettifica, il quale prevede il diritto, per un soggetto che si ritiene leso da un articolo, di ottenere la pubblicazione della sua verità su quel fatto, inviando una richiesta di rettifica. L'istituto viene ora novellato stabilendo che la rettifica va pubblicata “senza commento”, quindi il giornalista non potrà inserire, dopo la rettifica, ulteriori elementi a corroborare le tesi del suo articolo.
In caso di pubblicazione della rettifica, la nuova normativa prevede che il giudice pronunci sentenza di non luogo a procedere, così (probabilmente) intendendosi introdurre una sorta di causa di non punibilità.

Mentre oggi, in caso di rifiuto della rettifica, ci si rivolge all'autorità giudiziaria (per la stampa, mentre per la radiotelevisione ci si rivolge all'Agcom), con la nuova normativa è previsto l'intervento del Garante per la protezione dei dati personali con riferimento alla stampa e alle testate online registrate, il quale potrà ordinare la rettifica in caso di notizie errata, con ciò assegnando una nuova competenza al Garante in materia di rettifica confondendo così dati personali e notizie giornalistiche.

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Per ultimo, sulla scia di un dibattito ormai risalente, la proposta di legge perviene all'eliminazione delle sanzione detentive per i reati di diffamazione (compreso quella a mezzo stampa e le varie forme aggravate) ed ingiuria. Rimangono quindi le sole sanzioni pecuniarie, anche se aumentate. Per la diffamazione a mezzo stampa aggravata, cioè consistente nell'attribuzione di un fatto falso con la consapevolezza della sua falsità, la pena va da 10mila a 50mila euro.

In sostanza la riformulazione delle norme sembrerebbe incamminarsi verso una maggiore protezione per i giornalisti, con l'eliminazione delle pene detentive e prevedendo l'assoluzione in caso di pubblicazione della rettifica. Lo stesso giornalista può chiedere al direttore del giornale la rettifica in caso di inerzia. Siamo in presenza, quindi, di maggiore tutela per il giornalista che, pur essendosi attivato per i controlli sulla veridicità della notizia, è incorso in errore un buona fede, e che però si attiva per correggere l'errore e limitare i danni alla reputazione del soggetto leso.

In conclusione nel testo di legge si trova ben poco di ciò che era stato annunciato nella citata lettera. Alcune disposizioni sono ridondanti o inutili, altre mere specificazioni o aggiustamenti di altre norme, ben poco sull'hate speech, niente di nuovo in materia di protezione dei dati personali, mentre appare importante la sola parte relativa alla rettifica e alla diffamazione, materia che negli ultimi tempi ha visto numerose proposte di legge susseguirsi in Parlamento.
Si tratta comunque di un testo sul quale si può discutere, e davvero non si comprende perché si è voluto presentarlo enfatizzando eccessivamente l'aspetto relativo al web sull'onda di una narrazione mediatica che vede internet come il regno dell'odio. La materia è troppo seria per lasciarsi andare a semplificazioni e “provocazioni”.

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