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Tentativi di innovazione: Rai Tre tra Gazebo e Masterpiece

3 Febbraio 2014 8 min lettura

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Tentativi di innovazione: Rai Tre tra Gazebo e Masterpiece

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Non è troppo lontano il giorno in cui Andrea Vianello, uomo-azienda e conduttore storico di Mi manda Rai Tre, è diventato direttore della terza rete: la nomina arriva a fine novembre 2012, nel marzo successivo viene sottratto al suo Agorà, che ha ideato e diretto per mesi. Nelle acque agitate della raccolta pubblicitaria che arranca, e della concorrenza sempre più forte dell’offerta digitale e satellitare, l’imperativo del nuovo direttore è cercare di dirigere con coerenza la nave lontano dalla tempesta, intestandosi però la linea del cambiamento, primo dopo anni d’immobilismo manageriale che hanno cristallizzato nel palinsesto le roccaforti storiche della rete, i tre programmi sui quali tuttora Rai Tre basa la propria sopravvivenza (Chi l’ha visto?, Ballarò, Che tempo che fa).

Il cambiamento impresso da Vianello punta principalmente su due fattori. Primo, volti nuovi: eredita e rimodula Gazebo di Diego Bianchi, lancia Celi mio marito nella casella storicamente designata a Blob (altro residuo della Rai Tre dura e pura, quasi anacronistico nel suo formato che non trova simili né riferimenti altrove), sperimenta con il talk “generazionale” – definizione di Vianello – condotto da David Parenzo, scommette sulla serialità americana con il prodotto HBO The Newsroom, cerca il calcio erudito con Maracanà dell’ex direttore del Riformista Antonio Polito e lancia Concita De Gregorio nell'affollato mezzogiorno televisivo italiano (Pane Quotidiano).

Con poca fortuna: fatta eccezione per lo show di Zoro, che cattura l’attenzione di un pubblico fedele (bene o male attorno al milione di spettatori, quando non soffre la concorrenza di Santoro e X Factor al giovedì), i risultati delle novità non rispondono alle aspettative. The Newsroom viene spostato di continuo, non trovando una collocazione ideale né i favori del pubblico (difficile sfondare in una generalista italiana per un prodotto americano a pagamento, con risultati al di sotto della media delle serie HBO negli USA e fermato alla terza stagione); il programma di Parenzo viene cancellato alla quarta puntata; Maracanà parte poi non parte, poi Polito lascia poi chissà; Pane Quotidiano sopravvive al 5% senza mai imporsi sull'immortale concorrenza dei vari Detective in corsia, Signora in Giallo, I fatti vostri (per tacere di Forum e Prova del cuoco, ma si parla di un altro campionato), pagando anche l'arrivo di L'aria che tira su La7 e restando in media a 1-2 punti di share dai risultati di Augias e della soap La strada per la felicità della stagione precedente; lo show di Lia Celi non migliora i risultati delle repliche di Stanlio e Ollio (definizione ancora di Vianello, sul Venerdì di Repubblica), dimostrando un’altra volta (se ce ne fosse ancora bisogno) che la risposta di Twitter - piattaforma sulla quale la Celi è utente piuttosto seguita - raramente trova riverberi proporzionali nella vita vera (o nelle sue riproposizioni più o meno distorte, come la tv e i dati sugli ascolti).

Il secondo fattore di cambiamento esplicitamente richiamato da Andrea Vianello è infatti il rapporto con la comunità online e l’interazione coi social network: quasi quanto per l’auditel (che pure ha i suoi enormi difetti) il direttore vuole conquistare il second screen (sempre sua definizione), sfruttare il crescente utilizzo contemporaneo e reciproco di tv e social network da applicazioni mobile, far parlare dei suoi show in rete: offrire insomma una tv a forma di Twitter, che presso alcuni utenti di rilievo comincia a esser omaggiata con la definizione “Rai Tre di Vianello” – come a riecheggiare i fasti di Guglielmi e Freccero. Fiore all’occhiello della nuova linea è l’inedito Masterpiece, il talent show dedicato alla scrittura, moderato – più che condotto – da Massimo Coppola alla presenza di tre giudici scrittori professionisti (Taiye Selasi, Andrea De Carlo, Giancarlo De Cataldo).

Il programma viene lanciato con particolare enfasi, rinvigorita dal fatto che la stampa straniera pare aver mostrato interesse verso questo format – si è parlato per settimane di un famigerato ed entusiasta articolo del New York Times, che più che altro cerca di raccontare questa eccentrica scelta televisiva che non trova eguali nel mondo (uno direbbe “a ragione”, visti i risultati).

Confronto fra lo share di Masterpiece e la prima serata di Rai Tre nello stesso periodo nel 2012

Dalla terza domenica di novembre alla quinta di dicembre - con interruzione alla quarta puntata a causa delle primarie del PD. I programmi relativi al 2012 sono per lo più Report, uno speciale sulle primarie e il film "Maga Martina e il libro magico del draghetto", che ha comunque triplicato lo share di Masterpiece (Fonte: Auditel).

I numeri – appunto -  saranno poco confortanti, anche se la direzione parlerà inizialmente di “partenza incoraggiante”: il programma non decolla, nei social network raccoglie più di una critica – prima di diventare presto un ricordo - e Rai Tre alla fine cercherà di spostarlo in seconda serata, di lunedì, in febbraio, dopo esser stato programmato in prime time per la sua seconda parte. Costo a puntata: 200mila euro (riporta Carlo Tecce sul Fatto Quotidiano), per uno show arrivato al 2% col traino forte di Fabio Fazio e in una collocazione generalmente riservata all’approfondimento giornalistico.

PresaDiretta, per esempio: anche un programma storico come quello di Riccardo Iacona, malgrado la scelta giornalistica dei temi e il forte impatto emotivo delle puntate (anche queste degnamente discusse in Rete, ma in modo per lo più positivo) porta a casa prestazioni molto al di sotto delle aspettative, arrivando a poco più del 4%. Più fortunati gli esordi delle ultime due stagioni del programma.

Confronto fra lo share di PresaDiretta (2014) e le edizioni 2013 e 2012 nello stesso periodo dell'anno

Le prime quattro settimane dell'anno, che corrispondono al lancio delle ultime tre edizioni (Fonte: Auditel).

L’audience di Rai Tre sta conoscendo dunque una forte flessione che l’ha portata a perdere il 28% di share dal 2011 - malgrado resti in qualche modo il terzo canale per share medio del 2013% - a coronamento di un trend consolidato da anni:

Media share Rai Tre su base annua (2010-2013)


Dati relativi alla fascia oraria 02.00-23.59 (Fonte: Auditel)

Con accelerazione negli ultimi mesi, specie nel prime time

Media share Rai Tre su base mensile (2010-2013)

Dati relativi alla fascia oraria 20.30-22.30, suddivisi per direzioni (Fonte: Auditel)

L’accostamento delle medie di share su base mensile degli ultimi 4 anni rende ancora più evidente questo margine.

Confronto share Rai Tre degli ultimi 4 anni su base mensile

Dati relativi alla fascia oraria 02.00-23.59 (Fonte: Auditel)

Certamente non è la sola Rai Tre a soffrire: i numeri, come detto, parlano di una generale depressione nei dati auditel dell’intera offerta televisiva generalista - e non solo. Questo grafico sull’andamento (su base trimestrale) di Rai Tre e Rai in generale – che pure domina tranquillamente l’intero mercato - dimostra come la tendenza sia comunque ‘ciclica’

Confronto tra lo share medio di Rai Tre su base trimestrale e quello generale dei canali Rai (2010-2013)

Dati relativi alla fascia oraria 02.00-23.59 (Fonte: Auditel)

Pur caratterizzandosi per una specificità: mentre le altre reti televisive rallentano con un andamento pressoché costante e in qualche modo ridotto, Rai Tre vede calare la propria audience in modo più repentino. Segue tabella col confronto fra lo share (fascia oraria 02.00-23.59) di Rai Uno (che pure perde molto rispetto a un paio di anni fa) e Rai Tre, tra il 2011 e il 2013:

Confronto tra lo share medio di Rai Tre su base annuale e quello di Rai Uno (2011-2013)

Dati relativi alla fascia oraria 02.00-23.59 (Fonte: Auditel)

Il divario appare più evidente analizzando la contrazione dello share nel prime time (20.30-22.30), laddove gli ascolti crescono – con le aspettative degli spettatori – e le fette di spazio da vendere agli inserzionisti si fanno più costose (comportando ricavi o costi per l’azienda, in base al successo di un programma):

Confronto tra lo share medio di Rai Tre su base trimestrale e quello di Rai Uno (2010-2013)

Dati relativi alla fascia oraria 20.30-22.30 (Fonte: Auditel)

La prossima tabella evidenzia in modo più marcato quanto si sia allargato il divario medio di anno in anno, in termini di share, fra la prima rete e la terza:

Differenza tra la media share di Rai Uno e quella di Rai Tre su base annua (2011-2013)

Questa tabella è stata ricavata calcolando la differenza, dal 2011 al 2013, tra lo share medio annuo di Rai Uno e quello di Rai Tre (fascia oraria 20.30-22.30). La riproposizione grafica dimostra che il divario continua a crescere (Fonte: Auditel)

Rai Uno è certamente un’emittente leader, e gli ascolti di questa non sono sicuramente paragonabili a quelli di Rai Tre. Allo stesso tempo, il crollo della terza rete appare ben più veloce di quello strettamente congiunturale (La7 ha guadagnato il 22% sul 2012), lasciando immaginare che alle ben note ragioni dell’allontanamento dalla tv - e dalla tv generalista – siano da accompagnare altri fattori.

Difficile definirli: la spiegazione più immediata richiamerebbe una discreta carenza d’offerta e la relativa mancanza di capacità d'attrazione della rete, specie presso il pubblico più giovane (che, in termini più generali, difficilmente riesce a trovare riferimenti anche altrove, se si eccettua quell’emittente goebbelsiana con Dragon Ball dentro che passa col nome di Italia Uno). O ancora, il rafforzamento della concorrenza - La7  di Ruffini - in un target relativamente simile. Allo stesso tempo, una delle specificità della rete è quella di rappresentare da sempre un approdo manifestamente partitico, che in tempi di disaffezione della cittadinanza dalla cosa pubblica potrebbe in qualche modo aver minato la credibilità del canale lasciandolo intendere come “compromesso”, eccessivamente “ideologico”, governato da dinamiche diverse da quelle più genericamente televisive, artistiche o commerciali.

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La particolarità di Rai Tre è infatti dover convivere con la sua natura ibrida di creatura “di Stato” costretta a giocare sul mercato, un servizio pubblico nel quale il termine “pubblico” è diventato “politico”, e che nel caso del terzo canale diventa chiaramente ascrivibile a una fazione precisa – diversamente da quanto succede per gli altri due canali, sempre vicini alla politica ma più influenzati dagli equilibri parlamentari e governativi.

Ripensare alla struttura di Rai Tre, alla sua missione originale, alla sua storia e alla sua collocazione politica suona come un’esperienza straniante se analizzata nei giorni dei contenuti on demand, dello streaming quasi istantaneo, di Netflix e delle autoproduzioni su YouTube. Specie se li si compara ai risultati in termini commerciali e al fatto che tutti, in piccola parte, contribuiamo al suo claudicante sostentamento.

Nel 2014 in un paese d’Europa esiste un canale di Stato riconducibile a una determinata corrente politica. Un’emittente che sospende per una puntata un programma già in crisi (Masterpiece, sotterrandolo definitivamente) per seguire in diretta le primarie di suddetta fazione, una rete il cui organigramma è fortemente influenzato dalla politica, e che vive – anche – di canone pur lanciandosi sul mercato con regole del mercato, spesso fallendo. Di quale Paese si tratta? Stop alle telefonate.

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