Fuori dalla piazza: la ‘consistenza’ della mobilitazione in Rete
2 min letturaContinuare a ragionare di politica secondo linguaggi e schemi di comunicazione che si sono prodotti lungo il ‘900 attraverso le forme di rappresentazione proprie della comunicazione di massa e la presenza delle masse nelle piazze rischia oggi di far perdere di vista la mutazione.
Una mutazione che riguarda prima di tutto i modi di costruzione dell’opinione pubblica attraverso paesaggi in divenire che passano dall’interazione tra modi e forme istituzionali dell’informazione e le capacità produttive e di diffusione di contenuti che sono oggi in mano degli utenti/cittadini (Blog, siti di social network, videosharing, ecc.).
C’è (e ci sarà sempre più) un dibattito in crescendo sull’incapacità di “presa di posizione” reale della Rete che è caratterizzata da una capacità di mobilitarsi con istantaneità e consistenza online che spesso non si traduce nella discesa nelle piazze del paese.
Dal mio punto di vista pone bene la questione Arianna Ciccone:
La Rete si mobilita ma poi non scende in piazza. È vero. Ma non credo affatto che sia stato un flop, e lo sapete perché? Perché mi sono messa in testa che le forme di mobilitazione sono cambiate, com’è cambiato il mondo tutto a partire dall’informazione e dalla comunicazione. Mi sono messa in testa che in tre giorni (weekend di fine luglio) 10.000 persone che aderiscono all’appello per fermare la legge bavaglio alla rete valgono (in termini “politici”) quanto 1.000 persone che si riuniscono in piazza. Chi decide il peso della mobilitazione? Se l’opinione pubblica ha trovato un altro modo di esprimersi e farsi sentire forse bisognerà ottimizzare il nuovo strumento, valorizzarlo e non vedere un fallimento quando si utilizzano “metodi tradizionali”? Ma qui poi arriviamo al passo successivo ossia alla necessaria alleanza della rete con i media main stream, solo se diventi notizia per i grandi giornali o le tv allora la Rete esce dall’”acquario” e può incidere sulla società. Insomma perché 12.000 persone “riunite” su Facebook varrebbero di meno che 100 in piazza?
La “piazza” è un medium novecentesco, luogo aggregativo delle masse (nel bene e nel male), territorio di visibilità e “consistenza” delle idee, la naturale traduzione in termini pubblici di una mobilitazione ci corpi che devono testimoniare fisicamente la loro presenza al mondo (della politica). Ma per chi sta cominciando ad abitare un nuovo territorio come la Rete, in cui le logiche di “mobilitazione” e dell’ “essere in pubblico” sono cambiate quale senso viene data alla “consistenza” delle idee e al loro modo di renderle visibili?
Come ha scritto su questo tema Vittorio Zambardino:
Io penso che c’è qualcosa che ci fa vivere la politica in una sfera che non è più fisica, ma ha consistenza reale quando si pensa, si vive e si vota. (...) Poi che il potere faccia fatica a percepirla come reale è altra faccenda.
È cambiata la bio-politica dei corpi attorno alle forme delle relazioni mediate a distanza, delle culture partecipative on-line…Cercare le tracce di “consistenza fisica” novecentesche significa ignorare il terreno bio-culturale su cui si gioca la mutazione.