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La neve di Mariupol’: Viaggio nell’Ucraina ferita tra speranza e resistenza

9 Marzo 2025 6 min lettura

La neve di Mariupol’: Viaggio nell’Ucraina ferita tra speranza e resistenza

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La rabbia ha preso il posto della paura. Mi sento tradita. Quello che sta cadendo sull’Ucraina non sono solo pezzi di metallo ed esplosivo. È l’idea stessa di umanità, sfracellata e stuprata, è l’idea di una giustizia che precipita. Penso al mio amore di adolescente per la letteratura russa, per le babushke, la Transiberiana, i boschi di betulle, le steppe innevate. Penso anche alle manifestazioni in piazza a gridare: «Fuori l’Italia dalla Nato, fuori la Nato dall’Italia». Di tutto questo non rimane che l’immagine dell’uomo con la cravatta color vinaccia.
(Monica Perosino, La Neve di Mariupol).

Esattamente due anni e due settimane fa, Monica Perosino, giornalista de La Stampa, pubblicava il suo primo libro. La neve di Mariupol’, edito da Paesi Edizioni, usciva il giorno del primo anniversario dell’invasione russa su larga scala dell’Ucraina.

Quello di Perosino è un vagare nell’Ucraina profonda, subito dopo che saltano i suoi piani iniziali; quelli di incontrare una donna, Kateryna, in un caffè davanti al teatro drammatico di Mariupol’, tristemente noto a livello internazionale perché da lì a poco sarà distrutto dai russi nonostante la scritta ‘дети’, bambini in lingua russa, a caratteri cubitali davanti alla struttura.

Lì vicino Perosino avrebbe dovuto intervistare la donna nel pomeriggio del 24 febbraio, ma l’incontro viene rinviato a data da destinarsi, e poco dopo Kataryna smette di rispondere ai messaggi della giornalista italiana: le truppe del Cremlino hanno attraversato il confine ucraino da diverse direzioni e il porto sull’Azov è prossimo all’accerchiamento. Durante le prime settimane dell’invasione le storie ruotano intorno agli spostamenti di Perosino, che tenta di ritrovare un contatto con la donna di Mariupol’ con ogni mezzo a sua disposizione.

La giornalista non toccherà mai la neve di Mariupol’ con le proprie mani, sebbene essa rimanga onnipresente nei suoi pensieri, nell’ansia sfogata con sigarette all’anguria, compagne di viaggio mentre da Dnipro a Charkiv passando per Zaporižžja, Cherson e il Donbas profondo. Perosino incontra la parte più misteriosa di quella Ucraina che aveva solamente incominciato a conoscere e, non fosse stato per l’invasione, avrebbe lasciato a cuor leggero il 28 febbraio 2022. Proprio oggi Perosino fa invece ritorno in Ucraina per l’ennesima volta: in questi tre anni ha sviluppato un legame con gli ucraini che va al di là del dovere di cronaca o della solidarietà politica.

“Quando è in ballo la sopravvivenza fisica, si ritorna a una dimensione primordiale della vita. In questi casi, anche pochi giorni di conoscenza creano un legame profondo,” Perosino racconta a Valigia Blu. “Sin dal primo viaggio gli ucraini mi hanno insegnato l’importanza dei principi di umanità, giustizia e autodeterminazione. Quest’ultima non è mai libera da manipolazioni esterne, in nessun contesto, ciò è ovvio. Non per questo non vale la pena lottare per ciò in cui credi e per ciò che vuoi essere. E io questo lo rivedo anche in quei russi etnici che, dall’interno delle zone occupate, lottano sotto traccia per dimostrare a loro stessi e al mondo esterno di essere ucraini”.

Perosino ha recentemente raccontato sulle pagine de La Stampa la resistenza all’occupazione russa della sua categoria sociale preferita dello spazio post-sovietico, le babushke, cioè quelle signore anziane, inconsapevoli maestre di vita, il cui carattere e carisma è peculiare nell’Europa dell’Est.

Nel libro il tempo si restringe, e solo talvolta, quando l’autrice fa riferimenti espliciti alle notizie di attualità e del fronte nel suo primo anno - quello in cui la resistenza si scopre prima possibile, e poi eroica, conducendo alla liberazione di Kyiv, Chernihiv, Sumy, Charkiv e Kherson - si riesce a intuire in quale fase della guerra ci si trovi.

In quello che è un viaggio in costante evoluzione e ricalibramento nel profondo dell’Ucraina meridionale e orientale non occupata dai russi, la dimensione geopolitica è solo un orpello, utile al più a contestualizzare le storie delle persone comuni, quelle che Putin proclamava di difendere e da cui si aspettava accoglienza e riconoscenza, piuttosto che bombe molotov e fughe di massa verso l’Ovest.

Nella prima parte di La neve di Mariupol’ prendono vita le sensazioni delle prime settimane di guerra, che molti ucraini rivivono (e rivivranno) in questo periodo proprio ogni anno, ripensando a cosa facessero, dove si trovassero, durante l’alba insonne del 24 febbraio. In questi giorni quelle emozioni sono per molti riaffiorate, ben più del solito. Senza accorgersi si è arrivati al terzo anniversario, e portare la testa a quella prima settimana è oggi ancora più straniante di prima. Oggi che Kyiv deve guardarsi le spalle non più solo da Mosca, ma da Washington stessa, da quando Donald Trump è diventato Presidente degli Stati Uniti.

Come accennato, il libro è soprattutto una raccolta di testimonianze, storie simili a quelle di milioni nei territori occupati che da anni non hanno più orecchie ad ascoltarle, né una penna libera nel registrarle. Una delle pochi immagini della Storia, quella scritta dai maschi forti a capo delle principali potenze mondiali, che ritorna nel libro, è appunto l’immagine dell’uomo con la cravatta color vinaccia, un ovvio riferimento al presidente russo mentre pronuncia il suo cinico discorso che annuncia l’invasione della Russia in Ucraina e centinaia di migliaia di morti sul suolo ucraino, al momento occupato per quasi il 20% da Mosca.

Oggi che Perosino ritorna in Ucraina l’immagine che si accumula nei pensieri e nelle analisi è di un altro maschio alfa con una cravatta dal rosso ben più acceso. Il colore simbolo dei Repubblicani negli Stati Uniti e indossato da Trump mentre tentava di umiliare il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, per convincerlo ad ammettere che la distruzione in Ucraina è in fondo colpa di una mancanza di arrendevolezza e condiscendenza del suo leader politico. Perosino cita Zelensky poche volte nel suo libro. Al centro del suo viaggio ci sono le persone, soprattutto quelle che cambiano opinione sui rapporti storici tra russi e ucraini, sull’Europa, su Mosca e sé stesse.

“Ho attraversato steppe innevate, vite altrui, pensieri, ricordi, paure di persone mai incontrate prima e poi le ho raccontate al ritmo di una al giorno. Una vita intera, a volte più di una, schiacciate in centro righe spedite al giornale per cui lavoro. È un esercizio faticoso, perché sai che per quanti sforzi tu faccia, di quelle vite non ne hai colto che un bagliore,” scrive Perosino in uno dei primi capitoli, prima di introdurre Nina, che prepara khachapuri georgiani a Dnipro ed è malinconicamente convinta di essere “una persona semplice inseguita dalla guerra”. 

In effetti la sua parabola è una descrizione perfetta di come Putin evolve in seguito alla celebre conferenza sulla sicurezza di Monaco del 2007: il suo pellegrinaggio inizia nell’agosto del 2008, dopo l’invasione della Georgia. Si tratta del primo segnale, mettendo fra parentesi la Cecenia, delle intenzioni a lungo termine dell’autocrate russo. Ammirato in prima istanza dal suo omonimo ucraino, di Charkiv, Vladimir, “il cui nome significa colui che possiede il mondo”, marito della sagace professoressa Nataliya, che a Perosino racconta: “io sono russa, Charkiv è la mia patria, e amo l’Ucraina”. Un cortocircuito per chi, anche tre anni dopo, confonde ancora russofili e russofoni in Ucraina.

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Vladimir dimostra che pure i pensieri più radicali sono passeggeri e dipendenti dal contesto. La sua fascinazione per Putin, figlia di una nostalgia per l’Urss in cui Vladimir era all’apice di energia vitale e bellezza, svanisce nell’arco della prima settimana di distruzione in Ucraina e, oggi che vive in Repubblica Ceca, “è proprio lui che mostra rancore e odio verso Putin e i russi, ben più della moglie, filoucraina ben prima di lui,” ci racconta Perosino, rimasta in contatto con la maggior parte delle persone reali dietro le storie raccontate in questo mosaico dell’Ucraina sud-orientale.

Oggi che Monica è di nuovo in Ucraina, nel momento più decisivo degli ultimi tre anni, viene naturale chiederle: cosa aspettarsi dall’Ucraina stravolta dall’avanscoperta cinica e criminale dell’amministrazione statunitense? Cosa succederà di questo mosaico nelle prossime settimane, ma pure nei prossimi anni?

“In 24 anni in cui faccio questo mestiere, ho capito che sebbene sia importante partire con un’idea e un piano, non succede una singola volta che io non ritorni a casa con sorprese e prospettive inaspettate. Ovviamente, mi aspetto di vedere una popolazione civile e militare stremata dalla guerra, ma non ancora pronta a cedere - di certo non arresa alla legge del più forte. Tutti vogliono la pace, soprattutto gli ucraini, ma nemmeno in Donbas le babushke nostalgiche dell’Unione Sovietica mi hanno fatto trasparire cedimenti netti,” ci spiega Perosino. “Vedo ancora fortissimi questi valori di giustizia e libera scelta nelle persone, sebbene, come visto con Trump, a volte la realtà sia un rullo compressore anche per le convinzioni e i principi più forti”.

(Immagine in anteprima: via Flickr)

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