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Trump vs il mondo: dazi, inflazione e crollo delle borse

6 Marzo 2025 10 min lettura

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Trump vs il mondo: dazi, inflazione e crollo delle borse

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Dopo averli annunciati e poi rinviati, l’amministrazione Trump ha confermato nella giornata di martedì l’introduzione di dazi sui beni provenienti da Canada e Messico, oltre che a un aumento nei confronti della Cina. 

Gli ordini esecutivi di Trump, arrivati dopo il fallimento delle trattative, imporranno dazi del 25 per cento per i beni provenienti dal Messico mentre per il Canada solo i beni energetici, che sono fondamentali per gli Stati Uniti, saranno tassati al 10 per cento. Nel caso della Cina, invece, si assiste a un aumento dal 10 al 20 per cento. Il presidente americano ha poi dichiarato che da aprile i dazi potrebbero essere estesi ai prodotti agricoli, invitando allevatori e agricoltori statunitensi a incrementare la produzione. Qualche giorno dopo, il Presidente degli Stati Uniti ha dichiarato che il settore automobilistico sarà esentato per un mese dalle sanzioni, per i produttori che rispettano gli accordi di libero scambio tra i vari paesi. 

Inoltre presto i dazi potrebbero essere applicati anche all’Europa che Trump ha criticato per il saldo della bilancia commerciale, accusandola di essere nata con l’intento di derubare gli Stati Uniti. 

La risposta del Canada e della Cina

I paesi colpiti dai dazi hanno risposto alle dichiarazioni e alle azioni di Trump, in particolare il Canada. Trump non ha mai nascosto la sua intenzione di annettere il Canada per trasformarlo nel 51esimo Stato americano, dichiarazioni che nelle ultime settimane hanno rivitalizzato il Partito Liberale Canadese nei sondaggi, penalizzando invece il Partito Conservatore, considerato più affine a Trump. Durante un discorso, il dimissionario primo ministro canadese Justin Trudeau si è rivolto direttamente al presidente statunitense. Riprendendo le parole del Wall Street Journal, Trudeau ha definito la guerra commerciale iniziata dagli Stati Uniti contro il loro alleato più stretto “un atto estremamente stupido”. Inoltre, Trudeau ha sottolineato che mentre intentano una guerra commerciale contro il loro alleato più stretto, gli Stati Uniti di Trump parlano di un clima di collaborazione con la Russia di Putin, definito come un dittatore omicida e bugiardo. 

Oltre alle dichiarazioni sui nuovi rapporti tra Stati Uniti e Canada, Trudeau ha annunciato le contro sanzioni per rispondere alla guerra commerciale. Il Canada imporrà dazi del 25 per cento su prodotti americani per un valore, inizialmente, di 21 miliardi di dollari, che saliranno a oltre 100 miliardi di euro nelle prossime settimane, se i dazi saranno ancora in vigore. A rispondere ai dazi di Trump anche Doug Ford, governatore dell’Ontario, la provincia più popolosa del Canada. Già a febbraio, quando Trump aveva annunciato e poi rinviato i dazi contro il Canada, Ford aveva cancellato un contratto dal valore di 100 milioni di dollari canadesi con Starlink di Elon Musk. Inoltre aveva escluso le aziende americane dagli appalti, che hanno un giro d’affari stimato intorno ai 30 miliardi di dollari. 

Nelle scorse ore Ford ha annunciato misure per contrastare l’amministrazione Trump, in particolare con un aumento del 25 per cento sull’elettricità venduta negli Stati Uniti. Secondo le stime, circa 1,5 milioni di abitazioni americane situate negli Stati di Michigan, New York, Minnesota sono alimentate dall’energia proveniente dall’Ontario. Inoltre, il governatore ha vietato la vendita di nickel e altri metalli rari, oltre alla rimozione degli alcolici americani dagli scaffali dei negozi statali. Solo per quel che riguarda il settore degli alcolici, le stime sono di 687 milioni di dollari. 

Diversa invece la reazione della Cina. Pechino ha varato dazi del 15 per cento su pollo, grano, mais e cotone, del 10 per cento invece su soia, carne di maiale e manzo, prodotti ittici, frutta, verdura e latticini. Inoltre, il Ministero del Commercio cinese ha inserito 15 aziende americane, tra cui il produttore di droni Skydio, in una lista di controllo delle esportazioni. La risposta della Cina è stata più moderata, andando però a colpire quei settori che sono cruciali per il supporto politico di Trump, dichiarano gli esperti. 

Per quel che riguarda il Messico, la Presidente Claudia Sheinbaum ha duramente attaccato i dazi sul proprio paese, pur non fornendo ulteriori dettagli sulle risposte. 

Gli effetti della Guerra Commerciale sull’economia

La guerra commerciale di Trump avrà degli impatti considerevoli, soprattutto sul commercio nordamericano. Non solo: le politiche economiche dell’amministrazione Trump, assieme alle dichiarazioni fuori dalle righe del presidente, causano un’elevata incertezza per gli operatori economici. Questa incertezza ha delle ripercussioni dal punto di vista economico. In un clima di questo tipo, gli investitori sono più restii a immettere denaro nell’economia, causando un rallentamento generale e contraccolpi, ad esempio, sulla dinamica del debito pubblico. 

Questi effetti potrebbero portare a un calo deciso del PIL degli Stati Uniti nel primo trimestre. La Federal Reserve Bank of Atlanta, una delle dodici banche regionali all’interno del sistema bancario federale, ha recentemente aggiornato le stime di crescita del PIL con il suo modello GDPNow. Secondo le nuove stime, il PIL statunitense dovrebbe contrarsi nel primo trimestre del 2,8 per cento, con ulteriori ribassi attesi nei prossimi giorni. Sempre secondo le stime del modello, anche per i  consumi e gli investimenti si assisterebbe a un rallentamento, con una crescita prossima allo zero. 

Gli effetti sulla crescita non sono gli unici negativi: l’introduzione di dazi sui prodotti importati avrà un impatto anche sull’inflazione statunitense. Se è vero che i dazi sono tasse pagate, nella pratica, dalle imprese che esportano i loro prodotti negli Stati Uniti, questo non significa che a risentirne saranno solo le aziende. Come avevamo già spiegato in maniera più estesa in un articolo dello scorso novembre, è necessario infatti chiedersi come l’aumento dei costi dovuto ai dazi si trasmetterà alle imprese statunitensi e ai consumatori. Quello che emerge dalla ricerca scientifica sul tema – che comprende anche i dazi imposti  dalla prima amministrazione Trump – è che le imprese scaricheranno i costi dei dazi sui prezzi, andando a danneggiare i consumatori americani. 

Un esempio proviene dal settore automobilistico. Nei giorni scorsi, John Bozzella dell’Alliance for Automotive Innovation, associazione commerciale che comprende i maggiori produttori di automobili negli Stati Uniti al di fuori di Tesla, ha dichiarato che le nuove sanzioni imposte da Trump su Canada e Messico avranno un effetto devastante sull’industria americana, con un aumento dei prezzi che si farà sentire nell’immediato. Si parla di un aumento del 25 per cento, pari all’intero valore dei dazi. Questo perché la produzione di auto nel Nord America è profondamente interconnessa, una caratteristica che rende le economie estremamente vulnerabili a questo tipo di shock. 

Poiché si tratta, di fatto, di un’imposta sui consumi, a pagarne le conseguenze saranno le fasce più deboli. Infatti, le persone più povere destinano un fetta più importante del proprio reddito ai consumi e per questo imposte come l’IVA e i dazi tendono ad avere effetti maggiori in questa fascia. A confermarlo c’è proprio la guerra commerciale con la Cina cominciata con la prima amministrazione Trump: secondo uno studio, i dazi avrebbero avuto un impatto maggiore dello 0,9 per cento sul 20 per cento più povero rispetto al 20 per cento più ricco. 

Questa strategia rischia di mettere a repentaglio anche il compito della FED di tagliare i tassi di interesse. Negli anni passati, a fronte di un’inflazione fuori controllo, la Banca Centrale Americana aveva, tardivamente, alzato i tassi di interesse, con dei contraccolpi sull’economia americana e in particolare sul sistema bancario.

Ma, proprio grazie a questo innalzamento dei tassi, l’inflazione stava tornando nel target del 2 per cento pur con una solida performance dell’economia americana. Già nei mesi precedenti si era assistito a un aumento dell’inflazione, seppur più contenuto, che aveva portato la FED a fermare il taglio dei tassi. Un aspetto che sarà importante da comprendere sarà la reazione dell’amministrazione Trump. La politica monetaria, in linea teorica, dovrebbe essere indipendente dall’aspetto politico e agire - nel caso americano - per la stabilità dei prezzi e dell’occupazione (il cosiddetto doppio mandato della FED). Nella prima amministrazione e durante i mesi precedenti Trump aveva minato l’indipendenza della FED con potenziali rischi sistemici sulla stabilità economica. 

Anche le borse hanno reagito in maniera negativa ai dazi di Trump. Non solo Wall Street ha chiuso in negativo nei giorni scorsi, ma addirittura secondo le stime avrebbe perso i guadagni ottenuti dalle elezioni presidenziali di novembre, quando gli investitori vedevano di buon occhio l’agenda pro business del neo eletto presidente americano. L’indice VIX, che misura la volatilità del mercato statunitense, è aumentato quasi del 20 per cento rispetto agli ultimi giorni di febbraio. Non va meglio in Europa, dove i dazi hanno fatto chiudere in negativo le principali borse, a partire da Piazza Affari che nella giornata di martedì ha chiuso con un meno 3,4 per cento. Come conseguenza, sono invece salite le quotazioni dell’oro, considerato come metallo rifugio, che da inizio anno ha avuto una tendenza al rialzo e nei giorni scorsi ha toccato quota 2900 dollari. 

Perché i dazi? E perché le risposte del Canada?

Nel suo discorso al Congresso, Trump ha ribadito l’importanza dei dazi per l’economia degli Stati Uniti che, a suo dire, renderanno gli USA di nuovo grandi, pur ammettendo che nel breve periodo potrebbero causare qualche problema. 

Qual è però la strategia di Trump? Nel corso di questi mesi, il Presidente statunitense ha fatto ricorso a diverse motivazioni per giustidicare l’imposizione di tariffe doganali, di cui due principali. 

La prima riguarda i problemi causati dai paesi confinanti e dalla Cina con gli Stati Uniti, soprattutto per quel che riguarda l’immigrazione e il fentanyl, un oppioide sintetico che ha sostituto l’eroina. Tuttavia, queste motivazioni lasciano il tempo che trovano, soprattutto per la quantità ridicola che coinvolge il Canada e gli sforzi fatti dal Messico per contrastare i cartelli. 

Il secondo, più citato da Trump, riguarda il saldo della bilancia commerciale degli Stati Uniti. Nel corso degli anni, gli Stati Uniti hanno avuto un disavanzo commerciale - cioè un valore delle importazioni superiore rispetto a quello delle esportazioni - che è andato crescendo, raggiungendo i 926 miliardi di dollari nel 2024, quasi 153 miliardi in più rispetto ai 773,4 del 2023. Anche questa tesi presenta due problemi. 

In primo luogo, la bilancia commerciale può essere considerata rispetto ai beni e ai servizi. Se sui beni è vero che gli Stati Uniti importano più di quanto esportano, la bilancia commerciale rispetto ai servizi risulta invece in positivo. 

In secondo luogo, non è chiaro in che modo le idee mercantiliste di Trump dovrebbero andare a rilanciare l’industria americana. La strategia per rilanciare l’industria dell’amministrazione Trump si basa su tagli alle tasse che si sono rivelati meno efficaci del previsto, sia per quel che riguarda i tagli sulle imposte degli individui sia per le aziende

Una spiegazione diversa la fornisce l’economista Fabio Sabatini, professore all’Università Sapienza di Roma. In un suo articolo su Substack Sabatini spiega che dietro alla strategia di Trump potrebbe esserci una motivazione politica: 

“Tuttavia, l’obiettivo più immediato dell’assurda guerra commerciale a cui stiamo assistendo sembra essenzialmente propagandistico. Se i mezzi di disinformazione su cui l’amministrazione ha un ferreo controllo riusciranno a convincere la classe media della bontà delle misure protezionistiche, Trump avrà guadagnato consenso – e gli oligarchi che lo circondano avranno conseguito significativi vantaggi economici – a danno delle categorie sociali meno abbienti, le stesse che sembrano costituire la sua base elettorale.”

A supporto di questa tesi ci sarebbero, come fa notare lo stesso articolo, le divergenti aspettative riguardo all’inflazione dei dazi. Secondo democratici e indipendenti, l’imposizione di dazi andrà ad aumentare il livello dei prezzi, mentre i repubblicani non sembrano rendersene conto. Questo segnala ancora una volta la natura oligarchica- visto che andrebbe a beneficio del presidente e della cerchia ristretta di chi detiene il potere economico- e propagandista dell’amministrazione trumpiana. 

Ma, se come abbiamo detto i dazi causano danni ingenti ai paesi che li introducono, perché paesi come il Canada e in maniera minore la Cina hanno introdotto delle misure simili? Una delle possibili spiegazioni risiede nel comportamento strategico degli agenti economici, con analogie alla strategia Tit For Tat nella teoria dei giochi. Se i due paesi sono cooperanti, non c’è alcun problema. Ma non appena uno di questi impone delle misure che possono danneggiare l’altro, come i dazi, una delle strategie ottimali è proprio quella di contrattaccare. Se non si reagisce a questo tipo di misura, si diventa un bersaglio facile per ulteriori ritorsioni protezioniste, che danneggiano entrambe le parti. 

Che cosa ne sarà della guerra dei dazi?

Abbiamo visto come la strategia dei dazi di Trump stia portando a un’escalation, con i paesi coinvolti che rispondono a loro volta con dazi su prodotti americani. Una situazione di questo tipo, qualora dovesse prolungarsi, potrebbe andare a modificare profondamente i rapporti commerciali che conosciamo, con la Cina che potrebbe beneficiarne più di altri. Ma queste connessioni all’interno del mercato non possono essere cambiate nottetempo: serviranno mesi, se non anni così come investimenti in infrastrutture e accordi.

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Resta l’interrogativo sulla persistenza di questa guerra commerciale iniziata da Trump. E questo interrogativo non può trovare risposta se non comprendendo qual è il piano dietro a queste sanzioni. Se, come detto in precedenza, in un primo tempo il motivo potrebbe essere puramente propagandistico, contemporaneamente appare chiaro l’intento di logorare i paesi coinvolti. Sono note le ambizioni di Trump sul Canada come 51esimo stato. Ma anche eventuali dazi sui prodotti europei potrebbero essere in realtà il tentativo di indebolire il vecchio continente spartendosi poi le sfere di influenza con la Russia di Putin, in una piena visione neo imperiale come lasciano suggerire le azioni e dichiarazioni di Trump. 

Proprio le sanzioni all’Europa, che sembrano ormai scontate, saranno un capitolo interessante di questa guerra dei dazi, vista la mutua relazione tra i due mercati- testimoniata ad esempio dal fatto che gli Stati Uniti si sono specializzati nel settore servizi e l’Europa in quello manifatturiero. Ma, a differenza di Canada, Messico e Cina, l’Europa non è uno Stato. Bisognerà quindi comprendere se ci sarà cooperazione tra i vari paesi europei nella risposta a Trump o se si punterà invece ad accordi privilegiati con l’amministrazione statunitense. Paradossalmente, una risposta unitaria potrebbe rinforzare il progetto europeo-la cui urgenza è ormai chiara anche ai leader, come dimostrano le intenzioni del leader della CDU, il tedesco Merz. Tuttavia, come ha mostrato la questione ucraina, paesi come l’Italia sembrano non aver ancora scelto da che parte stare. Presto questa posizione diventerà insostenibile.

Immagine in anteprima: frame video The Business Time via YouTube

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