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Zelensky ha dimostrato al mondo che non può fidarsi delle garanzie di Trump

5 Marzo 2025 13 min lettura

Zelensky ha dimostrato al mondo che non può fidarsi delle garanzie di Trump

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14 min lettura

La conferenza stampa tra il Presidente degli Stati Uniti Donald Trump e quello ucraino Volodymyr Zelensky del 28 febbraio è stato un momento tanto storico quanto terribile nella storia delle relazioni internazionali e della guerra in Ucraina. Quella che alla vigilia sembrava essere una formalità precedente la firma di un accordo - e che secondo gli ultimi aggiornamenti potrebbe concludersi a breve -  si è trasformata in una veemente aggressione verbale di Trump e del vicepresidente JD Vance ai danni di Zelensky, durata circa 10 minuti.

La giornalista Christiane Amanpour, tra i volti più importanti della CNN, seguendo la diretta è rimasta scioccata dall’andamento dell’incontro (qui il video integrale). “Nella storia della diplomazia moderna - guerra o pace che fosse - non ho mai, mai, mai visto niente del genere”, ha commentato a caldo. Su The Atlantic l’esperto di sicurezza nazionale Tom Nichols ha definito l’incontro “un agguato” a danno di Zelensky, e non è il solo ad aver usato il termine. Sul conservatore National Review, il corrispondente politico Jim Geraghty ha dovuto constatare un mutamento radicale: “il governo americano è di fatto diventato un alleato di Putin”. Analoga conclusione viene tratta da Politico.

Accanto a queste analisi sull’esito disastroso e senza precedenti dell’incontro, che segna una svolta nelle alleanze internazionali, c’è chi si è concentrato su aspetti comunicativi. Il Washington Post ha persino messo in capo analisti del linguaggio corporeo. Il Corriere in un articolo di Lorenzo Cremonesi cita “ambienti dell’amministrazione ucraina” per dire che l’ambasciatrice negli Stati Uniti rischia il posto per aver lasciato che Zelensky parlasse senza interprete. Notizia che però non trova riscontri sulla stampa estera. Va detto che Zelensky, lo stesso giorno della conferenza stampa alla Casa Bianca, ha retto circa venti minuti di intervista a Fox News

Circa le polemiche su come Zelensky fosse vestito, la BBC ha ricordato lo stile militare adottato da Churchill in un incontro con Roosvelt. Senza dimenticare leader come Fidel Castro o Yasser Arafat, che non sono mai stati troppo in linea con i dress code della Casa Bianca. 

Queste polemiche ci ricordano l’importanza di analizzare un fenomeno partendo dalle domande, come fossero colonne portanti dei nostri edifici argomentativi, o direzioni che orientano il campo visivo. “Cosa ha sbagliato Zelensky?” o “Ci sono stati problemi di comunicazione?” sono domande che prima di tutto sortiscono un effetto. Lasciano fuori le responsabilità politiche di Trump e della delegazione della Casa Bianca, sminuendole a problema tecnico (bastava un interprete!) o rimuovendo del tutto il contesto in cui è avvenuta la comunicazione tra i due leader.

Il contesto è natualmente la negoziazione attorno a un possibile accordo di pace tra Russia e Ucraina, dove quest’ultima è trattata più come un bottino da spartire che come un paese invaso con legittime rivendicazioni, e di cui l’accordo per i minerali tra Stati Uniti e Ucraina rappresenterebbe una tappa. Sortisce analogo effetto anche l’atteggiamento “realista”, che si bea persino di poter dire: “di cosa vi stupite? Gli Stati Uniti sono sempre stati così”. Come se alla fine si dovesse riconoscere a Trump un certo grado di franchezza e di onestà. E fingendo che, se a novembre Trump non avesse vinto, ora si sarebbe nello stesso scenario.

Ecco perché questo tipo di discorso ha trovato larghissimo spazio in Italia, in maniera trasversale. Applica infatti a Trump uno schema che abbiamo visto spesso nel nostro paese, però applicato a Putin. Ovvero “Sì, certo, Putin è un dittatore ma…” e a seguire copiosi ragionamenti volti ad analizzare qualunque cosa, dalla conta dei proiettili dati all’Ucraina fino alle copertine di Vogue. La guerra è responsabilità di tutti, tranne che di uno: in questa mistificazione si finge che l’invasore non abbia un potere di scelta o influenza sul corso delle azioni, ma al tempo stesso c’è la responsabilità univoca di dover “trattare” come alternativa alla guerra. Ora questa finzione viene estesa anche a Trump, che con Putin ha un tratto in comune: il disinteresse per lo Stato di diritto, fino alla volontà di distruggerlo. Mentre si ode un frastuono di crollo per l’alleanza atlantica, già si prepara il nuovo bersaglio di questo collateralismo: “l’Europa del riarmo”. 

Ecco perché per analizzare la conferenza stampa ci concentreremo su una domanda diversa. “Perché Zelensky dovrebbe firmare l’accordo?”. Domanda che tornerà utile quando al suo posto ci sarà un leader politico in giacca e cravatta e con una dizione impeccabile.

L’accordo e il contesto in cui si arriva alla conferenza stampa

Anticipato da alcune testate ucraine il 26 febbraio e formalmente ancora sul tavolo, l’accordo bilaterale prevede la creazione di un Fondo per gli investimenti nella ricostruzione dell’Ucraina. Il fondo dovrà essere gestito congiuntamente da Ucraina e Stati Uniti, e ha come scopo il garantire stabilità economica e sicurezza dell’Ucraina. 

Secondo l’accordo l’Ucraina destinerà al fondo un contributo del 50%, attraverso i “futuri proventi” delle sue risorse naturali, inclusi minerali, idrocarburi, petrolio, gas naturale e infrastrutture strategiche. Gli Stati Uniti forniranno un impegno finanziario a lungo termine, attraveso capitali, strumenti finanziari e altri beni per sostenere la ricostruzione. 

I contributi saranno reinvestiti in progetti per “la sicurezza, la protezione e la prosperità dell’Ucraina”. Entrambe le parti “si riservano il diritto di intraprendere le azioni necessarie per proteggere e massimizzare il valore dei loro interessi economici nel Fondo”. Una volta siglato, l’accordo andrà ratificato dal Parlamento ucraino, in base alla legislazione vigente per i trattati internazionali. 

Le considerazioni preliminari del testo riconoscono “l’impegno degli Stati Uniti” nel fornire “sostegno finanziario e materiale all’Ucraina dopo l’invasione su larga scala dell’Ucraina da parte della Russia nel febbraio 2022”. Viene anche specificato che “gli Stati e le altre persone che hanno agito negativamente nei confronti dell'Ucraina durante il conflitto” non dovranno trarre vantaggio dalla ricostruzione “a seguito di una pace duratura”. 

L’accordo non menziona specifiche garanzie a tutela. La proposta arriva dopo altre richieste a senso unico da parte degli Stati Uniti, e riportate da varie testate, tra cui il Telegraph, che ha definito la bozza datata 7 febbraio una “colonizzazione economica dell’Ucraina da parte degli Stati Uniti". Questi ad esempio, avrebbero avuto “un diritto di prelazione per l'acquisto di minerali esportabili” valido “per tutte le future licenze”. “Sembra un accordo scritto da uno studio di avvocati, non dal Dipartimento di Stato o da quello del Commercio”, scrive il giornalista del Telegraph.

Inoltre, Trump e la sua amministrazione hanno nello stesso periodo più volte ribaltato le cause della guerra, facendo sembrare che la responsabilità di essa fosse sulle spalle dell’Ucraina.

Considerando che almeno formalmente Trump ha dichiarato di voler “mediare” tra Ucraina e Russia per far finire la guerra, persino che Putin ne ha passate di tutte, dichiarazioni e atteggiamenti vanno a influire sul contesto della negoziazione dell’Ucraina, mettendo in discussione anche il quadro legale, cui si somma la condotta degli Stati Uniti durante la conferenza di Monaco, in cui l’Europa e la NATO sono state messe in discussione. Se negoziare significa mettersi attorno a un tavolo, il quadro legale rappresenta la solidità delle gambe del tavolo stesso. Senza, siamo di fronte a una trattativa dove vige nient’altro che la pura forza e la paura che suscita. 

Le richieste di Trump e Zelensky

Casomai ci fossero dubbi, durante la conferenza stampa, Trump fin dall’inizio e in diversi momenti ha evidenziato gli obiettivi dell’accordo. Il primo è di natura economica, il secondo è di arrivare il prima possibile a un accordo con la Russia. Questo secondo obiettivo rende perciò l’accordo bilaterale con l’Ucraina una tappa intermedia, ma come detto sembra più inquadrato in una spartizione del paese tra Stati Uniti e Russia. 

Trump lo dice fin da subito, l’interesse primario è di tipo economico e legato allo sfruttamento delle terre rare (ma non solo):

Non vediamo l'ora di far partire l’accordo e scavare, scavare, scavare, e lavorare per ottenere alcune terre rare. Ciò significa che saremo presenti sul territorio [ucraino], ed è un grande impegno da parte degli Stati Uniti, e apprezziamo molto la collaborazione con voi e continueremo a farlo.

Più avanti ripete lo stesso concetto (“scavare, scavare, scavare”) rispondendo a una domanda di una giornalista. Quanto alla volontà di chiudere l’accordo, i fattori evidenziati sono due. Il primo è la tempistica, ovvero il bisogno di disimpegnare il prima possibile gli Stati Uniti dalla guerra in Ucraina. Il secondo è legato all’immagine che vuole dare rispetto ai suoi predecessori Biden e Obama, cui più volte si compara, denigrandoli e magnificando sé stesso. “Obama vi ha dato lenzuola, io missili javelin”, dice a Zelensky mentre gli punta il dito contro e alza la voce. Ma anche prima, si hanno passaggi di questo tipo, dove evidenzia l’importanza di un trattamento giusto per gli Stati Uniti, poiché ora riceveranno qualcosa in cambio per gli aiuti. Rispondendo a una domanda sull’invio di armi dopo l’accordo, Trump dice:

Ci auguriamo di finire in fretta. Non siamo impazienti di inviare molte armi. Non vediamo l'ora di finire la guerra per poter fare altre cose, apprezziamo molto l'accordo perché ci serviva quello che ha l’Ucraina, e stiamo trattando, e ora il nostro paese è trattato in modo equo. Biden non ci era riuscito, Biden non sapeva cosa diavolo stava facendo. Non sarebbe mai dovuto accadere, non sarebbe mai dovuto iniziare.

Ciò diverge totalmente dalle richieste di Zelensky, ossia garanzie per la sicurezza, per le infrastrutture ucraine e per il mantenimento di qualunque cessate il fuoco o accordo di pace stipulato con la Russia. Zelensky, infatti, appena inizia a parlare, pone la questione. Oltre a ciò, inquadra la guerra in un modo che risuoni con l’opinione pubblica ucraina e con lo status di paese aggredito:

Spero davvero che questo primo documento sia il primo passo verso reali garanzie di sicurezza per l'Ucraina. Il nostro popolo, i nostri figli ci contano molto e naturalmente contiamo sul fatto che l'America non smetterà di sostenerci. [...] Voglio discuterne con tutti i dettagli e durante la nostra conversazione, e naturalmente parlare le infrastrutture o le garanzie di sicurezza. Perché a oggi so cosa l'Europa è pronta a fare. E, naturalmente, voglio discutere con voi di ciò che gli Stati Uniti saranno pronti a fare. E conto davvero sulla vostra forte posizione per fermare Putin. Avete detto "basta alla guerra", penso sia molto importante dire queste parole a Putin dall'inizio, dall'inizio della guerra, perché è un assassino e un terrorista. Ma spero che insieme riusciremo a fermarlo, per noi è molto importante salvare il nostro paese, i nostri valori, la nostra libertà, la democrazia, e naturalmente non c'è nessun compromesso con l'assassino sui nostri territori.

A Trump tuttavia questo aspetto non interessa per niente, e diventa chiaro che non offre alcuna garanzia di questo tipo. 

Non credo che avrete [voi ucraini] bisogno di molta sicurezza. Penso che una volta concluso l'accordo sia finita. La Russia non vorrà tornare indietro, nessuno vorrà tornare indietro.

Al limite, dice in un altro momento, ci penseranno Francia e Regno Unito alla sicurezza dell’Ucraina.

Zelensky chiede garanzie perché sa che non può fidarsi di Putin. Dal memorandum di Budapest fino all’accordo sul grano durante il conflitto in corso, senza dimenticare la mancata collaborazione con l’OSCE per le accuse alla Russia di trasferimento forzato e deportazione di minori. O il cessate il fuoco tra Russia e Ucraina del 2019, firmato alla presenza dello stesso Trump. Ma Zelensky sa anche che non può fidarsi di Trump stesso. Trump subì il primo impeachment da Presidente per un episodio legato all’Ucraina. Nel 2019 telefonò infatti a Zelensky facendo leva sugli aiuti militari che il paese riceveva dagli Stati Uniti, minacciando di toglierli se il Presidente ucraino non avesse fatto partire un’inchiesta sul figlio di Joe Biden, Hunter, all’epoca membo nel consiglio di amministrazione di una delle principali compagnie ucraine di gas naturale. Trump voleva del fango su di lui da usare durante la campagna presidenziale che lo vedeva contrapposto al padre.

Inoltre Trump, durante il primo mandato, ritirò le truppe americane dal confine turco-siriano, lasciando le milizie curde alleate alla mercé dell’ISIS, della Siria, della Turchia e della Russia. Una decisione analoga, l’accordo di Doha, aprì la strada al ritiro definitivo delle truppe americane dall’Afghanistan e all’avanzata dei talebani durante la presidenza Biden. Per quell’accordo Trump scavalcò direttamente il governo afghano sostenuto dagli Stati Uniti e si accordò direttamente con i talebani.

Non bisogna poi dimenticare i tentativi di interferenza russa documentati nelle elezioni del 2016 per far vincere Trump, l’influenza attestata di Putin su Trump e come dal 2019. Né come, per un altro contesto di guerra, Trump sia arrivato a sostenere apertamente la pulizia etnica a Gaza. Insomma, non solo Zelensky non ha garanzie da Trump, ma non può nemmeno fidarsi della sua amministrazione, del Partito Repubblicano o di figure chiave come Elon Musk

Le diverse leve negoziali e le diverse prospettive sull’accordo

You play the man, non the ball”, ovvero “punta all’uomo, non alla palla”. Questa massima viene dal film The apprentice, e viene rivolta al giovane Donald Trump dall’avvocato Roy Cohn, vero e proprio mentore del futuro Presidente. Forte di questa massima, Trump conduce le trattative come uno squalo della finanza, senza alcun esercizio di persuasione o mezze misure.

Trump e Vance iniziano ad aggredire verbalmente Zelensky in mondovisione proprio dopo che Vance ha suggerito di tentare con Putin la strada della “diplomazia”, invece di fare i duri e “battersi il petto” come accaduto con Biden. A questo punto Zelensky chiede di poter fare una domanda, e torna di nuovo sulla richiesta di garanzie, ricordando per l’appunto come Putin non abbia mai mantenuto gli impegni presi, in particolare dall’occupazione della Crimea. “Di quale diplomazia parli?”, chiede quindi a Vance. Che immediatamente punta il dito e attacca Zelensky, poi assistito da Trump.

La scena evidenzia su cosa può fare leva Trump attraverso il ricatto. “Senza di noi non hai carte da giocare”, con Vance che ricorda anche i problemi ucraini nell’arruolamento. Questa leva è diventata palese sia durante la conferenza, sia martedì, quando a seguito della mancata firma è arrivata la decisione della Casa Bianca di sospendere l’invio di aiuti all’Ucraina. Nonostante i proclami da “pacificatore”, Trump ha agito come un boss di quartiere, solo davanti alle telecamere.

Zelensky da parte sua ha tre leve: la prima viene dalle risorse dell’Ucraina, il “business”. La seconda è costituita dal diritto internazionale, poiché il suo paese è vittima di un’aggressione illegittima, e validarla attraverso i negoziati metterebbe a repentaglio altri paesi perché creerebbe il più pericoloso precedente dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. Questa leva è tuttavia molto debole con Trump, la cui cultura politica e mentalità si muove senza alcuna considerazione per lo Stato di diritto, se non in misura di ostacolo o di opportunità d’affari.

La terza è costituita dalla pressione dell’opinione pubblica, americana e internazionale. Trump è un autocrate in divenire che non ha il consenso della maggioranza dell’opinione pubblica, né lo ha certo della comunità internazionale. Ecco perché in un certo senso la conferenza stampa è stata una scelta sbagliata per Trump e Vance. Trump ha usato lo stesso atteggiamento della telefonata con il governo danese in cui ha fatto pressioni per avere la Groelandia, ma di fronte alle telecamere. Mentre Zelensky, pur in posizione debole, ha massimizzato per come ha potuto questa leva. 

Anche per questo motivo si spiega la volontà di parlare in inglese, benché imperfetto: la mediazione di un interprete avrebbe differito la comunicazione di Zelensky, senza arrivare direttamente al pubblico, e senza portare in primo piano il linguaggio corporeo. Zelensky infatti, mentre viene aggredito verbalmente, tiene perlopi una posizione dimessa o a braccia incrociate, di chi sta sulla difensiva perché a disagio. Ciò ha messo ancora più in risalto l’aggressività di Trump e Vance.

Il premio Nobel Lech Walesa, insieme a 38 ex prigionieri politici del regime comunista, ha condannato il trattamento riservato a Zelensky da parte di Vance e Trump, paragonandolo agli interrogatori della polizia segreta comunista

Zelensky ha dimostrato di avere sempre avuto ragione sulla guerra

Dopo l’incontro alla Casa Bianca è diventato evidente il pericolo rappresentato dalla Casa Bianca per l’Europa, in un modo che è molto difficile negare (a meno che non siate Il Fatto Quotidiano, ovviamente). Da alleati in posizione di forza dell’Alleanza Atlantica gli Stati Uniti si stanno rivelando un paese con una pericolosa transizione autoritaria al proprio interno, pronto ad allearsi con la Russia in chiave anti-ucraina e anti-europea. 

Da questo punto di vista, Zelensky è uno statista molto sottostimato, ma guardiamo alle conseguenze pratiche di un incontro dove non aveva praticamente spazio di manovra. Mai come prima d’ora è diventato evidente quanto dice dal 2022: se cade l’Ucraina, toccherà all’Europa. Questa guerra è sempre stata anche nostra, solo che ora siamo in una fase in cui diventa ancora più difficile negarlo: ciò resterà vero anche se Zelensky dovesse cadere domani, o se dovesse firmare l’accordo così com’è perché messo alle strette dai ricatti di Trump e dall’andamento della guerra. 

Se ne sono accorti i principali leader europei, in particolare Francia, Germania e il Regno Unito post- Brexit che si stanno unendo in prima istanza per fronteggiare un pericolo comune. Ciò rappresenta un passo importante, perché parte della strategia di Trump prevede il dividi et impera, anche sostenendo le forze politiche più distruttive e anti-europeiste. Gli Stati Uniti rischiano di essere accontentati proprio nei desideri di isolazionismo dei MAGA.

Ma, per assurdo, Trump sta avverando i sogni della sinistra campista che negli ultimi anni ha chiesto di uscire dalla NATO, o di cessare l’invio di armi all’Ucraina come strategia per forzare una “pace”. Così come di quel fronte che ha sempre trovato il tempo per innalzare il vessillo della pace, ma poco o nulla per fare sit-in davanti all’ambasciata russa (come avviene regolarmente altrove). Il problema con cui questa parte dovrà fare i conti, è come mai la sua agenda e i suoi desideri vengano incarnati da un fascista imperialista: ma siamo certi troveranno il modo di aggiustare i fatti perché combacino con le opinioni. 

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Forse bisognerebbe imparare proprio da quei paesi nello spazio post-sovietico dove ci si mobilita innalzando la bandiera europea come auspicio di un futuro migliore, mentre noi ci permettiamo di giudicarli come ingenui, o illusi, o manovrati, o non abbastanza di sinistra. E dove si è cercato il più possibile l’ombrello di una difesa sovranazionale comune come mezzo di difesa e deterrenza. Come scriveva nell’estate 2022 il socialista ucraino Taras Bilous, “Il mondo diventerà ancora più ingiusto e pericoloso se i predatori imperialisti non-occidentali approfitteranno del declino statunitense per normalizzare le loro politiche aggressive”. Scriveva ancora Bilous:

Più questo orribile conflitto in Ucraina va avanti, più rischia di crescere il malcontento popolare nei paesi occidentali, per via delle difficoltà economiche causate dalla guerra e dalle sanzioni. Il capitale, che non ama perdere profitti e vuole tornare al «business as usual», potrebbe cercare di sfruttare la situazione. Così come potrebbero sfruttarla i populisti di destra che non si fanno problemi nel condividere le sfere di influenza con Putin. Ma per i socialisti usare lo scontento popolare per chiedere meno aiuti all’Ucraina e minori pressioni alla Russia significherebbe rinnegare la solidarietà verso gli oppressi.

(Immagine anteprima: frame via YouTube)

2 Commenti
  1. MB

    La difesa comune potrebbe essere necessaria, ma gli 800 miliardi subito... non stiamo solo acquistando munizione, le stiamo donando alle destre sovraniste che vogliono sgretolare quell'unione, e che domineranno le elezioni in tutta Europa nel momento in cui i servizi essenziali subiranno tagli su tagli per una guerra che diranno essere stata "imposta" dall'UE. E vorrei capire quali sono le alternative.

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