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Per contrastare le oligarchie una patrimoniale serve, ma non basta

8 Marzo 2025 10 min lettura

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Per contrastare le oligarchie una patrimoniale serve, ma non basta

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Una delle lezioni che si possono trarre dalla degenerazione degli Stati Uniti in un sistema oligarchico è che la democrazia non è soltanto un insieme formale di leggi. Bisogna tenere conto anche del potere economico e della sua concentrazione nelle mani di pochi. Il legame tra potere politico ed economico porta poi a sistemi di difesa dei privilegi che, in casi estremi, deviano dalle dinamiche democratiche.

Questo è particolarmente problematico in un contesto come quello che stiamo vivendo. Il nostro tempo è infatti contraddistinto da enormi disuguaglianze e, per l’appunto, da un’elevata concentrazione di potere economico nelle mani di pochi. Per porre un freno a questo problema e per garantire un sistema che funzioni per tutti, i partiti di sinistra hanno cominciato a parlare di proposte come un’imposta patrimoniale. Un tempo presente in buona parte dell’Europa, è stata abbandonata in nome di un ambiente più propenso al business e agli investimenti. Oggi però il dibattito si è riaperto, dopo che le promesse di “things can only get better” non si sono realizzate e il divario tra i più ricchi e i più poveri, all’interno della stessa nazione, è andato aumentando. 

Il caso francese: la patrimoniale della maggioranza e dell’opposizione

Un caso emblematico, per quel che riguarda il dibattito aperto sull’imposta patrimoniale, è quanto sta avvenendo in questi mesi in Francia. Da tempo il paese si trova ad avere una situazione delicata sul fronte dei conti pubblici, in particolare dopo la pandemia e l’inflazione. La Francia possiede uno dei debiti più elevati al mondo, con deficit considerevoli e una nuova instabilità politica che rischia di esacerbare la situazione. 

Proprio per questo motivo il governo Barnier, poi decaduto a seguito di una mozione di censura, aveva proposto la reintroduzione di un’imposta patrimoniale sopra il miliardo di euro. Dietro a questa scelta, c’era la necessità di un maggior rigore nei conti pubblici che segnalasse agli investitori l’affidabilità del paese.

Oltre alle motivazioni tecnocratiche, c’è un aspetto politico: la tassazione dei ricchi è diventata un tema su cui buona parte della popolazione si dice favorevole, con percentuali che raggiungono il 67 per cento in Francia. Non è un caso che nel paese il tema sia così dibattuto, proprio durante la perenne crisi di consenso di Emmanuel Macron. Uno dei primi provvedimenti del governo apposto da Macron, infatti, fu la riforma dell’Impôt de solidarité sur la fortune (ISF), l’imposta patrimoniale introdotta negli anni ‘80 dai governi socialisti che andava a colpire tanto il patrimonio mobiliare quanto quello immobiliare. Secondo le stime dell’Istituto Nazionale di Statistica Francese, prima dell’intervento di Emmanuel Macron, portava nelle casse dello Stato circa 4,6 miliardi di euro l’anno. 

A seguito dell’intervento sull’aliquota, il gettito si è considerevolmente ridotto. Un anno dopo, nel 2018, l’ISF è stata riformata introducendo l’Impôt sur la fortune immobilière (IFI), che va a tassare soltanto il patrimonio immobiliare. L’obiettivo della riforma era da una parte liberare il capitale per garantire maggiori investimenti, dall’altro fare in modo che questi non venissero dirottati perlopiù nel settore immobiliare. Il report della Commissione per la Riforma delle Imposte sul Capitale ha infatti evidenziato che l’introduzione dell’IFI non ha portato una ridistribuzione della ricchezza lontano dal settore immobiliare nelle famiglie precedentemente soggette all'ISF. Non solo: sempre il report ha stimato che, per quanto queste stime vanno prese con cautela, il passaggio dall’ISF all’IFI ha portato a un mancato gettito di 4,9 miliardi di euro. 

Per invertire la rotta, appoggiandosi a un’opinione pubblica sempre più favorevole a far pagare ai ricchi la loro giusta quota, Éva Sas e altri parlamentari dei Verdi hanno presentato un progetto di legge per la reintroduzione di un’imposta patrimoniale in Francia. La proposta, estremamente dettagliata, andrebbe a colpire i cittadini che detengono un patrimonio netto di oltre 100 milioni di euro, con un’aliquota minima del 2 che andrebbe poi a salire. Si tratta di una minoranza di super ricchi, stimata attorno a 4000 persone. Secondo i proponenti, il gettito sarebbe tra i 15 e i 25 miliardi. 

Ribattezzata “Legge Zucman”, la legge si ispira ed è stata supportata dall’economista francese Gabriel Zucman, professore di economia all’UC Berkeley. Negli ultimi anni, assieme al collega Emmanuel Saez, Zucman ha riaperto il dibattito nella comunità accademica e dei policy maker riguardo la tassazione dei grandi patrimoni. Di particolare importanza c’è quello sull’implementazione della policy, per evitare la fuga dei contribuenti, e sulla base imponibile, ovvero l'insieme dei beni e delle risorse che vengono considerati per calcolare l'importo dell'imposta. 

Proprio su questo tema si è incentrata la battaglia politica del blocco centrista, in particolare attraverso l’esenzione dei “beni professionali”. Durante il dibattito i parlamentari di Reinassance, la coalizione che sostiene il presidente della Repubblica, avevano infatti proposto di eliminarli dalla base imponibile dell’imposta: si tratta di quei beni utilizzati nell'esercizio di un'attività lavorativa che permettono di produrre reddito e svolgere l’attività economica. Come spiega però Zucman un tale provvedimento avrebbe finito per escludere dal calcolo dell’imposta anche i prodotti finanziari detenuti da personaggi come Bernard Arnault, magnate che controlla due terzi del mondo della moda.

Il problema risiede infatti nella distribuzione della ricchezza tra le persone normali e i super ricchi. Se il patrimonio di una persona è formato da beni immobiliari come un’abitazione, per i super ricchi la ricchezza è concentrata negli asset finanziari che, sotto certe condizioni, possono rientrare proprio nella definizione di beni professionali, andando così a diminuire la quota dovuta dai super ricchi e svuotando la proposta. 

Dopo un lungo dibattito, la proposta è passata con 116 voti a favore e solo 34 contro. Tuttavia, è improbabile che dopo questo primo passo la proposta della sinistra vada in porto. Il senato, a maggioranza liberal-conservatrice, è particolarmente ostile e non la confermerà. Il dibattito però è aperto anche nella maggioranza presidenziale allargata, visti i continui contatti tra i partiti centristi che sostengono Bayrou e i socialisti. In particolare, Bayrou ha promesso che combinando l’imposta sul reddito, quella sul patrimonio immobiliare e un nuovo strumento per tassare il patrimonio, ci sarà una soglia minima che i super ricchi si troveranno a pagare. Questo nuovo strumento promesso dal governo dovrebbe vedere la sua introduzione entro il 2026. Ma, come sostiene Le Monde, si tratterebbe di una versione all’acqua di rose. L’aliquota sarebbe intorno allo 0,5 per cento, garantirebbe un gettito di 2 miliardi di euro e non andrebbe a tassare determinati asset finanziari. 

Nonostante la vittoria della sinistra possa sembrare simbolica, in Francia si è aperta una discussione su un’imposta sui super ricchi che, secondo Zucman, va nella giusta direzione.

Il dibattito in Italia

Possiamo chiederci, visti gli sviluppi in Francia, se anche nel nostro paese la patrimoniale potrebbe essere uno strumento importante. Dal punto di vista politico, una parte considerevole dell’opposizione ha manifestato l’intenzione di implementare un’imposta di tipo patrimoniale una volta al governo, nonostante le differenze. In un convegno sull’equità dei sistemi fiscali tenutosi presso Istituto dell'Enciclopedia Italiana Treccani, Elly Schlein, Giuseppe Conte e Nicola Fratoianni hanno concordato sulla possibilità di un’introduzione di un’imposta patrimoniale, ma con le dovute differenze. 

Alleanza Verdi Sinistra, di cui Fratoianni è leader insieme ad Angelo Bonelli, aveva nel programma per le elezioni europee del 2024 l’introduzione di un’imposta patrimoniale. Nelle intenzioni di AVS, questa proposta servirebbe innanzitutto come semplificazione delle varie imposte di tipo patrimoniali presenti in Italia: andrebbe quindi accompagnata all'abolizione dell’IMU e del bollo sugli investimenti. Per sostituire queste “micro-patrimoniali”, AVS propone quindi un’imposta unica e progressiva che gravi su beni sia immobili sia mobili. La soglia sarebbe fissata a 5 milioni di euro e l’aliquota crescerebbe fino al 2 per cento per patrimoni di 50 milioni di euro. Durante il convegno Fratoianni ha ribadito la sua proposta. 

Di diverso tenore, nonché più vaghe, le dichiarazioni di Conte e di Schlein. La segretaria del Partito Democratico ha sottolineato come l’elevata concentrazione di ricchezze metta a repentaglio le democrazie e il benessere delle nostre società. Per questo la patrimoniale “non può più essere un tabù”, ha dichiarato Schlein, aggiungendo però che è necessaria un’implementazione coordinata in Europa per ridurre la volatilità dei capitali. 

Più sfumata ancora è la posizione di Conte. Il Presidente del Movimento 5 Stelle si è detto preoccupato per il livello di concentrazione delle ricchezze che si è raggiunto nel mondo, con un “capitalismo parassitario” che riduce la politica a un ruolo ausiliario. Ma, riguardo l’imposta patrimoniale, ha dichiarato che servirebbe un’implementazione su scala globale o quantomeno europea. 

Al contrario, i partiti centristi dell’opposizione non vedono di buon occhio la patrimoniale. Il leader di Azione Carlo Calenda ha sostenuto che non bisogna concentrarsi su proposte di questo tipo, ma su politiche di offerta come Industria 4.0 e sul caro bollette. 

Ma oltre alla volontà politica, che cosa ci dicono i dati? Il rapporto Oxfam del 2024 ci restituisce un panorama sulla distribuzione della ricchezza nel nostro paese. Queste stime, aggiornate alla metà del 2024, mostrano un quadro chiaro e preoccupante della distribuzione della ricchezza in Italia. Gli squilibri tra i diversi segmenti della popolazione sono profondi, evidenziando una società sempre più polarizzata tra i super-ricchi e una larga fascia di cittadini che faticano ad accumulare risorse economiche, con una classe media che va sempre più assottigliandosi e impoverendosi. A livello di dati il 10 per cento più ricco delle famiglie italiane detiene quasi tre quinti della ricchezza netta nazionale, possedendo oltre otto volte le risorse finanziarie della metà più povera delle famiglie. Se si restringe l’analisi al 5 per cento più ricco, emerge che questa fascia detiene il 47,7 per cento della ricchezza totale, una quantità superiore di quasi il 20 per cento rispetto a quella posseduta dal restante 90 per cento della popolazione. Dall’altro lato, la metà più povera degli italiani possiede appena il 7,4 per cento della ricchezza nazionale.

Si tratta però di un fenomeno che ha radici profonde. Infatti, negli ultimi 14 anni, la quota di ricchezza detenuta dal 10 per cento più ricco è aumentata di oltre sette punti percentuali. Nello stesso periodo, la metà più povera della popolazione ha visto la propria quota di ricchezza ridursi di quasi un punto percentuale. 

Un dato particolarmente significativo riguarda l’origine di questa ricchezza: il 63 per cento della fortuna dei miliardari in Italia è frutto di eredità, un indicatore chiaro di come la disuguaglianza si perpetui di generazione in generazione.

A contribuire a questa dinamica, secondo i lavori di ricercatori della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa e dell’Università Milano Bicocca, c’è il sistema fiscale italiano. In un loro primo studio, era emerso come il sistema fiscale italiano, preso nel suo complesso, fosse solo debolmente progressivo. Non solo: per il 5 per cento più ricco diventa addirittura regressivo. 

Stime ulteriori hanno mostrato come questa regressività è ancora più pronunciata. Dietro a essa si cela una maggior incidenza dei redditi da capitale sul patrimonio dei più ricchi: si parla ad esempio di rendite finanziarie, affitti e altri rendimenti di investimenti. 

Per correggere questa distorsione, gli autori e l’autrice sostengono che potrebbe essere utile l’introduzione di un’imposta patrimoniale. Il gettito addizionale di un’imposta patrimoniale potrebbe arrivare fino a 25 miliardi di euro, secondo le stime dello studio, permettendo un calo della pressione fiscale per il 93 per cento della popolazione lavoratrice. 

La patrimoniale non è abbastanza

Per quanto il dibattito sulla patrimoniale si sia riacceso,  permangono varie critiche alla proposta. La più importante tra queste riguarda l’evasione dell’imposta.

Secondo i critici, l’introduzione di un’imposta patrimoniale, soprattutto in un contesto di elevata mobilità dei capitali finanziari, porterebbe i più ricchi verso paradisi fiscali, non garantendo quindi il gettito promesso. Una posizione simile è stata recentemente riproposta dall’Istituto Milton Friedman, che ha avvertito come la proposta francese rappresenti un rischio per l’economia del paese. In realtà, come sostiene l’OECD, l’idea che un’imposta patrimoniale spinga i contribuenti a emigrare si basa più sull’aneddotica che sulla statistica. Tutto dipende da come è implementata la proposta, tanto che sempre l’OECD ha evidenziato quali siano gli accorgimenti per limitare al minimo casi di evasione fiscale dell’imposta. 

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Se la critica riguardante l’evasione risulta, appunto, limitata, ce n’è un’altra invece da prendere più sul serio. Il problema della patrimoniale è che interviene ex post, quando il processo di accumulazione delle ricchezze è già avvenuto. Questo quindi non va ad influire su come si forma la ricchezza all’interno del sistema economico. Il problema è stato correttamente individuato dal Premio Nobel per l’Economia Daron Acemoglu in un suo articolo del 2020. Se riteniamo che la distribuzione delle risorse sia iniqua e agiamo soltanto con la redistribuzione, non stiamo andando a toccare tutti quei fenomeni che hanno portato alla situazione in cui ci troviamo oggi. La redistribuzione diventerebbe quindi come salvare una barca che sta affondando svuotandola con un secchiello. Per questo motivo, misure di redistribuzione come la patrimoniale devono essere accompagnate con misure di predistribuzione in grado di modificare il sistema economico, garantendo maggior potere e salari ai lavoratori. A questo vanno aggiunte politiche  di antitrust - su cui bisognerà procedere per trial and error in un contesto come quello dominato dai giganti del web - che impediscano la creazione di giganti globali che, oltre ad avere un gigantesco potere economico, si fondono con quello politico. 

La patrimoniale rappresenta quindi uno strumento importante per aumentare il gettito degli Stati e limitare l’accumulazione delle ricchezze. Allo stesso tempo, però, vanno accoppiate con politiche di predistribuzione che da tempo la sinistra ha abbandonato. Queste sono in grado di andare effettivamente a cambiare il processo di produzione e accumulazione ex ante, andando ad esempio ad aumentare la quota salari, che da decenni è in calo nei paesi occidentali contribuendo a concentrare le risorse nelle mani di pochi.  

Immagine in anteprima via econopoly.ilsole24ore.it

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