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Le proteste degli studenti e la crisi politica: la Serbia riuscirà a liberarsi dell’eredità di Milošević?

3 Febbraio 2025 7 min lettura

Le proteste degli studenti e la crisi politica: la Serbia riuscirà a liberarsi dell’eredità di Milošević?

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Lo stesso giorno in cui decine di migliaia di studenti di Belgrado sono partiti a piedi per raggiungere i loro colleghi e altri cittadini a Novi Sad, il presidente serbo Aleksandar Vučić si è recato nella piccola città di Trstenik per presentare il suo nuovo movimento appena formato, il “Movimento per il popolo e lo Stato”.

La marcia, lunga circa 70 km e accompagnata dallo slogan "Un passo verso la giustizia", è iniziata il 29 gennaio e si è protratta per due giorni. Lungo il percorso, numerosi cittadini hanno atteso gli studenti per sostenerli, offrendo loro cibo e acqua.

La mattina di sabato 1 febbraio, gli studenti di Belgrado, insieme ai loro colleghi di Novi Sad e a migliaia di altri cittadini, provenienti non solo da Novi Sad ma anche da molte altre città, hanno bloccato tutti i ponti principali della città per 24 ore. Un gesto di protesta contro quanto accaduto lo scorso 1 novembre, quando quindici vite sono state perse nel crollo della tettoia della stazione ferroviaria di Novi Sad.  

Questa ultima grande manifestazione, dall'inizio delle proteste in Serbia il 22 novembre, è però anche una forma di protesta contro l'attuale presidente serbo Vučić, che continua a ignorare la grave crisi in corso nel paese. Una crisi che i media occidentali hanno definito la più grande dalla caduta del governo di Slobodan Milošević nel 2000. Un episodio simile si era già verificato il 14 dicembre 1996, quando gli studenti di Novi Sad si erano messi in marcia verso Belgrado per sostenere i loro colleghi e la popolazione in protesta contro il regime di Slobodan Milošević, che si rifiutava di riconoscere la sconfitta nelle elezioni locali di quell'anno.

Il presidente Vučić: “Il paese è sotto minaccia" 

Durante il raduno a Trstenik, il presidente Vučić ha dichiarato che quanto sta accadendo negli ultimi mesi è un tentativo diretto da parte dei servizi di intelligence stranieri di distruggere il paese.

"Il problema non è che vogliono abbattere me o qualcun altro. Il problema è che vogliono distruggere la Serbia", ha affermato Vučić, senza specificare a chi si riferisse.

In un post precedente sul suo profilo Instagram, aveva dichiarato che lo Stato è attaccato sia dall'interno che dall'esterno.

"Chiederemo dialogo e confronto, sapremo proteggere il paese, difenderemo lo Stato e la Serbia andrà avanti", ha aggiunto Vučić.

Già in passato il presidente serbo aveva accusato gli studenti – che da più di due mesi occupano oltre 60 facoltà (su circa 80 in totale in Serbia), dove sono state interrotte tutte le attività accademiche, e che ogni giorno bloccano le strade delle varie città – di mirare a distruggere il paese.

"Nel 2012, quando Aleksandar Vučić è salito al potere, ha semplicemente ripristinato ciò che lui e Milošević avevano costruito insieme fino al 2000”, spiega ad Al Jazeera Balkans Dragan Popović, analista politico del Policy Center di Belgrado (Centar za praktičnu politiku). 

In tutti quegli anni, la popolazione serba è stata costantemente bombardata dalla propaganda e mantenuta in uno stato di emergenza permanente.

"La paura è costante e il potere si fonda proprio su di essa. Ci sono sempre dei nemici, sempre qualcuno che vuole scatenare una guerra, qualcuno che vuole attaccaci. La sopravvivenza dello Stato è sempre messa in discussione, e mai si parla di una vita normale e dignitosa per le persone", afferma Popović.

Dopo la caduta del governo, le proteste continuano

Venerdì 24 gennaio, la Serbia si è fermata per uno sciopero generale, organizzato dagli studenti e sostenuto da molti cittadini. L'iniziativa ha dato vita a una grande manifestazione di disobbedienza civile in tutto il paese. Successivamente, lunedì 27 gennaio, i manifestanti hanno bloccato per 24 ore l'incrocio di 'Autokomanda', il punto nevralgico e più trafficato di Belgrado.

Quel giorno, alcuni studenti che stavano scrivendo dei messaggi sui muri della sede del Partito Progressista Serbo a Novi Sad, il principale partito politico vicino al presidente Aleksandar Vučić, sono stati aggrediti dagli attivisti dello stesso partito. Una delle studentesse è stata gravemente ferita, colpita alla testa con una mazza da baseball, episodio che ha costretto il premier serbo, Miloš Vučević, a dimettersi. Si è dimesso anche il sindaco di Novi Sad, Milan Đurić.

Si tratta di “dimissioni irrevocabili”, ha specificato l’ex premier Vučević, aggiungendo che il suo governo ha soddisfatto tutte le richieste degli studenti che chiedono la giustizia di quello che è accaduto il 1 novembre a Novi Sad. Secondo quanto riportato dai media locali, il miglior amico del figlio di Vučević è stato tra gli aggressori che hanno picchiato gli studenti con le mazze di baseball. 

Vučević ha esplicitamente affermato che in una Serbia spaccata in due si sta cercando di realizzare uno scenario progettato dall'esterno che mira a una rivoluzione arancione, messa in atto nonostante gli sforzi del governo serbo e del presidente Vučić di dialogare e calmare le tensioni.

Dopo le dimissioni del primo ministro Vučević, il presidente Vučić ha dichiarato che la priorità è consultarsi per la formazione di un nuovo governo. L’alternativa sono nuove elezioni. Dall'altro lato, le opposizioni sostengono che l'unica strada percorribile sia quella di un governo tecnico che permetta di creare le condizioni per elezioni democratiche che vedrebbero, secondo loro, Vučić sconfitto. Tuttavia, il presidente serbo ha rifiutato qualsiasi governo di transizione e ha ripetuto più volte negli ultimi giorni che non ci sarà alcun governo tecnico "finché lui è vivo".

Stiamo assistendo a qualcosa che porterà la Serbia molto presto, tra maggio e giugno, a un bivio, spiega a Valigia Blu Dušan Janjić, il presidente del “Forum per le relazioni etniche”: “Capiremo se la Serbia si sfilerà dal cappotto di Milošević o continuare a indossarlo”. Vale a dire: molto presto sapremo se la Serbia continuerà a essere schiacciata dall’eredità del regime di Milošević o saprà finalmente liberarsene e diventare uno Stato dove i diritti non vengono calpestati.

"Mi auguro che a giugno o luglio si tengano elezioni democratiche che rappresentano l'unica via per una soluzione pacifica e che saranno una verifica di tutto ciò che studenti e cittadini stanno facendo in questo momento", aggiunge Janjić.

Lo spirito di libertà è più forte della paura

Gli studenti invece sono decisi a proseguire fino a quando tutte le loro richieste non saranno soddisfatte. Hanno inoltre annunciato ulteriori proteste in programma nei prossimi giorni.

"Non faremo un passo indietro rispetto alle nostre richieste. Insistiamo affinché le istituzioni competenti facciano il loro lavoro”, afferma Milica Ivković, studentessa di Facoltà di Arti Drammatiche di Belgrado, aggiungendo che questa è la loro lotta e il loro Paese, dove vogliano rimanere e vivere.

In particolare, gli studenti hanno rivolto richieste precise alle autorità, specialmente al Procuratore dello Stato, affinché vengano processati i responsabili delle aggressioni agli studenti e venga resa pubblica tutta la documentazione relativa alla ricostruzione della stazione ferroviaria di Novi Sad. 

Nelle ultime settimane, più volte gli studenti si sono diretti verso l'edificio della RTS (Radio Televisione della Serbia) per esprimere il loro dissenso contro la censura e la mancanza di copertura degli eventi in Serbia da parte dei media del servizio pubblico. 

Il Presidente della Serbia appare quasi quotidianamente sui canali televisivi affiliati al regime, con più di 340 apparizioni in un solo anno; affronta ogni questione, assumendosi autorità su temi ben al di là delle sue competenze presidenziali.

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Qualche giorno fa la RTS ha diffuso una dichiarazione del Partito Progressista Serbo di Vučić che ha accusato l'emittente televisiva di aver ingannato l'opinione pubblica, semplicemente per aver trasmesso la notizia della marcia degli studenti che avevano camminato da Belgrado a Novi Sad. Molti giornalisti della RTS si sono dissociati dalla politica editoriale della loro emittente televisiva e ora sostengono gli studenti. Alcuni dipendenti sono addirittura usciti sul balcone del palazzo, mostrando uno striscione con la scritta: "I lavoratori della RTS sono con gli studenti."

Nella foto: il giornalista Zoran Kesić – Foto di Gavilo Andric

Nei giorni scorsi lo scrittore e drammaturgo Sinisa Kovacevic ha detto che la candidatura degli studenti serbi al Nobel per la Pace 2025, da lui presentata insieme all'avvocata Dijana Stojkovic, è stata accettata dal Comitato per il Nobel. Questa nuova generazione sta combattendo per una società migliore, per una società in cui i politici devono capire che il potere è destinato a essere cambiato, afferma Zoran Kesić, il famoso giornalista e conduttore serbo che, durante le proteste del '96/’97, quando era studente, manifestava contro il governo autoritario di Slobodan Milošević: "Lo spirito della libertà, questa volta, è più forte della paura".

Immagine in anteprima: Tatjana Dordevic

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