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Le bugie di Zuckerberg sul fact-checking

17 Gennaio 2025 7 min lettura

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Le bugie di Zuckerberg sul fact-checking

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6 min lettura

di Alexios Mantzarlis

Martedì scorso, il CEO di un social network nato per votare le studentesse universitarie più sexy ha annunciato di volerlo riportare alle sue origini “ripristinando la libertà di espressione”.

Il Free Speech Plan™ di Mark Zuckerberg prevede il trasferimento forzato dei dipendenti del settore Trust & Safety in Texas e consente un po' più di misoginia e omofobia. Inoltre, il piano elimina la scansione algoritmica dei contenuti dannosi, che porterà a un maggior numero di abusi contro gli utenti di Meta.

Ma l'annuncio più importante, quello con cui Zuckerberg ha esordito perché sapeva che avrebbe ottenuto la risposta che desiderava dal presidente eletto degli Stati Uniti, è stato quello di porre fine a una partnership di lunga data per combattere la disinformazione.

Il programma paga progetti di fact-checking per esaminare affermazioni virali e potenzialmente false attraverso uno strumento dedicato. Quando etichettano qualcosa come falso, quel contenuto vede ridotta la sua portata. Inoltre, al post viene aggiunta un'etichetta di fact-checking che fornisce agli utenti il contesto con un link alla verifica dei fatti, come da immagine: 

Una schermata di come apparivano le etichette di fact-checking (dopo aver cliccato) su Instagram e Threads il 7 gennaio 2025

Lanciato per la prima volta nel 2016 in risposta alle critiche sul dilagare delle fake news, il programma è cresciuto fino a diventare un affare multimilionario che coinvolge 90 partner in 130 paesi. (Questo è un buon momento per ricordare che, in qualità di direttore dell'associazione dei fact-checkers dal 2015 al 2019, ho sostenuto Meta nella lotta alla disinformazione e sono stato strettamente coinvolto in alcune discussioni chiave che hanno dato forma al programma).

Nel corso degli anni Facebook ha ripetutamente sbandierato questa funzione come un segno del suo essere un social network molto responsabile. Nel marzo 2021, Zuckerberg ha testimoniato di fronte a un gruppo di membri del Congresso degli Stati Uniti, definendo il programma di fact-checking “senza precedenti”. Il suo intervento scritto lo ha definito invece “leader del settore”.

Ora non più. Ora i fact-checker sono cattivi e censori. Ecco l'assurda dichiarazione di Zuck sull'argomento. nella sua interezza:

Per prima cosa, ci sbarazzeremo dei fact-checker e li sostituiremo con Community Notes simili a X, a partire dagli Stati Uniti. Dopo l'elezione di Trump nel 2016, i media tradizionali hanno scritto senza sosta di come la disinformazione fosse una minaccia per la democrazia. Abbiamo cercato in buona fede di rispondere a queste preoccupazioni senza diventare gli arbitri della verità. Ma i fact-checker si sono dimostrati troppo politicamente di parte e hanno distrutto più fiducia di quanta ne abbiano creata, soprattutto negli Stati Uniti. Per questo motivo, nei prossimi due mesi introdurremo gradualmente un sistema di Community Notes più completo.

Ci sono così tanti ragionamenti in malafede in queste 100 parole che è difficile sapere da dove cominciare. Ma andiamo con ordine.

Meta ha 8 anni di dati per dimostrare che il programma di fact-checking è stato influenzato da pregiudizi. Zuckerberg non ne ha condiviso nessuno. Invece, ha scelto di ignorare la ricerca che dimostra che gli interventi politicamente asimmetrici contro la disinformazione possono derivare da una condivisione politicamente asimmetrica della disinformazione. Come si può vedere nel grafico sottostante, i conservatori americani tendevano a condividere su Twitter un maggior numero di url di siti web di notizie false anche quando la definizione di “notizie false” era lasciata al voto di un gruppo bipartisan di non addetti ai lavori piuttosto che di fact-checker professionisti.

Nel 2016, lo staff di Zuckerberg ha cercato disperatamente un sistema di verifica indipendente per i potenziali partner del programma di fact-checking che non potesse essere sfruttato da attori palesemente scorretti come Alex Jones. Il codice di principi dell'International Fact-Checking Network (IFCN) lo ha fornito; per quanto imperfetto, ha requisiti di trasparenza rigorosi che vengono rivisti annualmente da un valutatore esterno.

Il codice si è rivelato abbastanza apartitico da consentire la certificazione della rivista conservatrice The Weekly Standard, che all'epoca era tutt'altro che incontrastata. Tra i partner di Meta per il fact-checking negli Stati Uniti c'è anche Check Your Fact, un progetto legato al Daily Caller, un sito web co-fondato dalla nota icona liberale... *controlla gli appunti*... Tucker Carlson.

Tra l'altro, sono tutte cose che l'amministratore delegato di Meta conosce personalmente. Alla domanda di Alexandria Ocasio-Cortez su Check Your Fact in un'altra udienza del Congresso, Zuck ha risposto che l'IFCN ha “uno standard rigoroso per chi permette di servire come fact-checker”.

Oltre ad adottare una posizione estremamente di parte sui bias dei media, Zuckerberg non ha nemmeno menzionato il fatto che gran parte dei contenuti segnalati dai fact-checker non sono discorsi politici. Si tratta invece di clickbait spammoso di bassa qualità che le piattaforme Meta hanno mercificato trasformando Zuckerberg in un miliardario che indossa orologi da 900 mila dollari.

PolitiFact, uno dei partner di Meta per il fact-checking con sede negli Stati Uniti, raccoglie in un unico post tutte i contenuti falsi che ha etichettato come parte del programma. Ne ho esaminati più di 100 e ho scoperto che solo il 21% circa riguardava post politicamente sensibili - sui tagli alla sicurezza sociale o sull'impeachment di Trump. Una percentuale simile era costituita da bufale a tema politico confezionate per diventare virali: riguardavano le condizioni di salute di Mitch McConnell o Kash Patel che definisce l'FBI “gay”. La maggioranza relativa (45%) non era costituita da contenuti politici, compresi discorsi estremamente delicati sugli arbitri della NFL sospesi o su una nave che finge di essere il Titanic. Anche durante il giorno delle elezioni presidenziali, i post che venivano etichettati avevano la stessa probabilità di riguardare le irregolarità del voto o di essere falsi su Trump che diceva di odiare il SNL, o su Melania Trump che appoggiava Kamala Harris.

Suddivisione per argomento dei fact checking di PolitiFact sui contenuti etichettati come parte della partnership con Meta (ultimi 100 fact checking).

Zuckerberg ha giustificato l'interruzione di questo programma come una difesa della libertà di parola ed è particolarmente irritante se si considera che le etichette del fact-checking non hanno portato alla rimozione dei post sottostanti. Meta ha (giustamente) adottato l'approccio del fact-checking come intervento contestuale che riduce la portata di un post ma non impedisce agli utenti di continuare ad accedervi. Non sono un esperto di Primo Emendamento, ma mi sembra un'applicazione corretta dell'esortazione del giudice Louis Brandeis a combattere le falsità con “più parole”.

Il programma di fact-checking non era perfetto e i fact-checker hanno senza dubbio commesso errori in una certa percentuale delle loro etichette. Il rapporto di trasparenza di Meta suggerisce che il tasso di errore nell'UE potrebbe essere pari a circa il 3%, un ordine di grandezza inferiore rispetto al tasso di errore per altri contenuti declassati (fonte: European Fact-Checking Standards Network).

Meta aveva tutto il diritto di rescindere il contratto. Ma sbarazzarsi dei fact-checker in questo modo è una questione di politica, non di regolamenti.

Tipicamente per Meta, è anche una scelta di politica americana. Nel 2016, Facebook ha lanciato il programma di fact-checking una volta dopo essersi trovato in acque agitate con gli stakeholder nazionai; i precedenti avvertimenti delle Filippine erano stati ignorati. Oggi, i partner di Meta per il fact-checking non statunitensi sono lasciati nell'ipotesi alquanto incerta che il programma sia terminato a livello globale. I requisiti di cui agli articoli 34 e 35 del Digital Services Act potrebbero far sì che Meta mantenga o riduca gradualmente la sua partnership nell'UE.

Veniamo dunque all'alternativa proposta da Zuckerberg ai fact-checkers censori.

È insolito vedere un CEO dire che emulerà il prodotto di un'altra piattaforma, soprattutto dopo aver minacciato di fare a pugni con il suo proprietario.

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Ma supponiamo che Zuckerberg sia sinceramente impegnato in uno sforzo di collaborazione dal basso per combattere la disinformazione in modo imparziale e a tutela della libertà di espressione.

Probabilmente dovrebbe leggere le ricerche che suggeriscono che gli utenti di Community Notes sono motivati dalla faziosità e tendono a sopravvalutare gli avversari politici. Dovrebbe anche sapere che il 90% delle note della comunità non viene mai visualizzato su X. E tutto questo sarebbe in nome della libertà di espressione?

Gestivo progetti di fact-checking in crowdsourcing molto prima che Zuckerberg entrasse nella sua crisi di mezza età. Quindi, in linea di principio, non mi oppongo ai fact-checking degli utenti (ne riparleremo la prossima settimana). Ma la qualità di un progetto in crowdsourcing dipende dalle strutture di incentivo della folla sottostante. Nella storia di Meta c'è ben poco che faccia guardare con fiducia a questi incentivi.

Articolo pubblicato sulla newsletter Faked Up e tradotto con il permesso dell'autore.
(Immagine in anteprima: frame via Facebook)

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