Perché Trump vuole prendersi la Groenlandia e il canale di Panama
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Quando nelle scorse settimane è circolata la notizia della volontà di Trump di prendere il controllo della Groenlandia e del canale di Panama, due territori con una loro giurisdizione e che non fanno parte degli Stati Uniti, chissà in quanti hanno pensato a una boutade. E invece è tutto terribilmente serio. E anzi potrebbero essere rappresentative del tipo di politica estera che il neopresidente USA vorrà perseguire.
Col passare dei giorni c’è stato un crescendo fino alle affermazioni di ieri da Palm Beach, in Florida, dove Trump, a pochi giorni dal suo insediamento, ha ribadito l’intenzione di acquisire il controllo di Groenlandia e canale di Panama, non escludendo il ricorso alla forza militare, ha minacciato dazi alla Danimarca (di cui la Groenlandia è parte, pur con ampia autonomia) e al Canada (suggerendo di diventare il 51° Stato degli Stati Uniti), ha annunciato il suo desiderio di cambiare il nome del Golfo del Messico in Golfo d’America. “Come suona bene!”, ha detto Trump.
In quelle stesse ore, mentre il presidente eletto parlava ai giornalisti dalla Florida, suo figlio Don jr. sbarcava in Groenlandia, ufficialmente – stando a quanto da lui dichiarato – per “vedere molte cose, parlare con alcune persone e divertirsi”. E non, dunque, per “l'interesse degli Stati Uniti per la Groenlandia”. In seguito, però, è stato fotografato davanti alla controversa statua di Hans Egede, un missionario danese-norvegese considerato un simbolo del colonialismo danese, dove il suo entourage avrebbe distribuito cappelli con la scritta “Make Greenland great again”.
Quello stesso slogan è stato poi rilanciato poi rievocato da Trump in un post su Truth dove ha scritto: “L'accoglienza è stata ottima. Loro e il mondo libero hanno bisogno di sicurezza, protezione, forza e pace! Questo è un accordo che deve realizzarsi. Rendere la Groenlandia di nuovo grande!”. E non è mancato l’intervento di Elon Musk a sostegno dell’idea: “Se il popolo groenlandese vuole far parte degli Stati Uniti - e spero che lo faccia - è il benvenuto”, ha scritto su X.
La reazione della Danimarca non si è fatta attendere. “La Groenlandia appartiene ai groenlandesi e non è in vendita”, ha dichiarato la premier danese Mette Frederiksen, mentre re Frederik ha cambiato appositamente lo stemma reale per inserirvi i simboli di Groenlandia e isole Faroe. Gli Stati Uniti sono “il nostro più stretto alleato in assoluto”, ha aggiunto Frederiksen, ma tutti devono “rispettare il fatto che i groenlandesi sono un popolo, una popolazione. Solo loro possono definire il loro futuro”.
Simile la posizione del primo ministro della Groenlandia, Múte Egede: “Lasciatemelo ripetere: la Groenlandia appartiene ai groenlandesi. Il nostro futuro e la lotta per l'indipendenza sono affari nostri. I danesi, gli americani e tutti gli altri possono avere delle opinioni, ma non dobbiamo farci prendere dall'isteria e puntare il dito contro gli altri. Perché il nostro futuro è nostro e deve essere plasmato da noi”.
Ad aprile si terranno le elezioni parlamentari che – ha dichiarato Egede – saranno importanti per “creare il quadro per la Groenlandia come Stato indipendente”. Secondo un accordo del 2009 con la Danimarca, la Groenlandia deve tenere un referendum con esito positivo prima di dichiarare l'indipendenza.
“Non voglio essere una pedina nei sogni bollenti di Trump di espandere il suo impero fino a includere il nostro paese”, ha aggiunto Aaja Chemnitz, membro groenlandese del parlamento danese.
Già durante il suo primo mandato Trump aveva espresso il suo interesse per l'acquisto della Groenlandia, ma era stato rapidamente respinto dalle autorità groenlandesi e danesi. E le ragioni sono diverse. La Groenlandia possiede riserve minerarie, di petrolio e di gas naturale, fornisce diverse materie prime richieste per la tecnologia verde, tra cui 25 delle 34 di cui ha bisogno l’Unione Europea, ed è nel bel mezzo dello scioglimento dei ghiacciai artici. E questo la rende appetibile.
In estrema sintesi c’entra il cambiamento climatico ma non per i motivi che ci potremmo aspettare, non per frenare lo scioglimento dei ghiacciai, il conseguente innalzamento del livello dei mari e gli effetti che potrebbe innescare, non per mantenere l’aumento delle temperature globali entro la soglia di 1,5°C dall’era pre-industriale, non per ridurre le emissioni di gas climalteranti.
Le mire di Trump su Groenlandia e Panama sono un riconoscimento indiretto del cambiamento climatico – e questo di per sé sarebbe già una notizia considerato il conclamato negazionismo climatico del neopresidente USA - ma perché la crisi climatica è un’opportunità per ulteriore sviluppo, produzione e consumo di combustibili fossili. Quasi a dire: il pianeta per come lo conosciamo sta morendo per il cambiamento climatico, evviva il cambiamento climatico!
Perché la Groenlandia
A causa del riscaldamento delle temperature, si stima che negli ultimi tre decenni si siano sciolti 11.000 chilometri quadrati di lastre di ghiaccio e ghiacciai della Groenlandia, con implicazioni enormi per il mondo intero. Secondo la NASA, se il ghiaccio si sciogliesse completamente, la Groenlandia potrebbe provocare un innalzamento del livello del mare fino a 6 metri.
Inoltre – e qui arriva l’interesse di Trump (e non solo: anche Cina e Russia stanno pensando a una collaborazione su quest’area) – il ritiro dei ghiacci della Groenlandia potrebbe aprire aree per la trivellazione di petrolio e gas e per l'estrazione di minerali critici. Secondo un recente rapporto del Consiglio Artico, il traffico navale nell'Artico è aumentato del 37% nell'ultimo decennio, mentre il ghiaccio marino è diminuito. Un ulteriore scioglimento potrebbe aprire ancora più rotte commerciali, aumentando anche il rischio di disastri ambientali, come spiega al New York Times Amanda Lynch, docente della Brown University che ha studiato i cambiamenti climatici nell'Artico per quasi 30 anni.
“Le rotte nell'Artico stanno cambiando a causa dei cambiamenti climatici”, ha dichiarato in un'intervista Jose W. Fernandez, sottosegretario del Dipartimento di Stato per la crescita economica, l'energia e l'ambiente. “È un aspetto a cui stiamo dedicando sempre più attenzione e che ogni nuova amministrazione dovrà affrontare in futuro”, ha dichiarato a Fox News. “La Groenlandia è un'autostrada che parte dall'Artico e arriva fino al Nord America, agli Stati Uniti. “È strategicamente molto importante per l'Artico, che sarà il campo di battaglia critico del futuro perché, man mano che il clima si riscalda, l'Artico sarà un percorso che forse ridurrà l'uso del Canale di Panama”.
E questo ci porta a Panama.
Perché Panama
Il Canale di Panama collega l’oceano Atlantico e quello Pacifico ed evita alle navi di dover percorrere oltre 11 mila chilometri in più per aggirare Capo Horn, sulla punta meridionale del Sud America. È stato costruito tra il 1907 e il 1914 dopo una sommossa, appoggiata dagli Stati Uniti, che portò Panama (all’epoca parte della Colombia) all’indipendenza, sotto la tutela americana. Gli USA ottennero l’affitto della zona del Canale poi restituito a Panama, in base a un accordo firmato dal presidente democratico Jimmy Carter negli anni Settanta.
Nelle dichiarazioni delle ultime settimane, Trump ha accusato Panama di applicare delle tariffe eccessive alle navi statunitensi che transitano attraverso il Canale e ha minacciato di riprenderne il controllo. Secondo il neopresidente americano, gli USA “dovrebbero riprendersi il Canale perché è fondamentale per il commercio statunitense e per il rapido dispiegamento della Marina in caso di emergenza per la sicurezza”, insinuando che “potrebbe finire in cattive mani”. Il riferimento è alla Cina che attualmente controlla due dei cinque porti adiacenti al Canale. Il presidente di Panama, José Raúl Mulino, entrato in carica a luglio, ha risposto a Trump dicendo il Canale “non ha alcun controllo, diretto o indiretto» né della Cina, né di qualsiasi altra potenza e che «ogni metro quadrato del Canale appartiene a Panama”.
Nel 2023, una lunga siccità ha provocato gravi disagi al canale. Il livello dell'acqua del lago Gatún, la principale riserva idrologica del canale, è sceso a livelli storicamente bassi e le autorità hanno ridotto le spedizioni attraverso il canale per conservare l'acqua dolce del lago. Le conseguenti file di navi in attesa per settimane di attraversare il canale hanno rischiato di innescare un effetto domino sulle catene di approvvigionamento.
Il cambiamento climatico sta colpendo il canale da diversi punti di vista, ha dichiarato Kevin Trenberth, ex responsabile dell'analisi climatica presso il National Center for Atmospheric Research. Il suo sistema di chiuse sta affrontando anche le crescenti minacce dell'innalzamento del livello del mare, che potrebbe causare inondazioni ed erodere gli argini del canale. E così l'autorità del Canale ha proposto un progetto da 1,6 miliardi di dollari per arginare il vicino fiume Indio e garantire l'acqua dolce.
L’interesse di Trump per il Canale di Panama e per la Groenlandia è “una sorta di riconoscimento indiretto” del fatto che il cambiamento climatico è reale e sta creando nuove sfide globali, ha commentato Chris Field, direttore del Woods Institute for the Environment dell'Università di Stanford. “È interessante notare che Trump pensa di affrontare il cambiamento climatico, controllando questi luoghi. Ma la sfida dovrebbe essere un’altra, frenare la crisi climatica. Così la componente del cambiamento climatico non scompare”.
Sempre interessi economici e industriali guidano, infine, l’intenzione di cambiare il nome al Golfo del Messico, un bacino su cui si affacciano diversi stati del sud degli Stati Uniti oltre che naturalmente il Messico. Nel Golfo del Messico gli Stati Uniti hanno circa metà dei propri impianti di lavorazione e raffinazione del petrolio, e ricavano circa il 40% del pesce utilizzato per scopi alimentari: Trump ha detto di voler cambiare il nome del Golfo del Messico “perché lì facciamo la maggior parte del lavoro ed è nostro”.
Immagine in anteprima: frame video BBC via YouTube