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La fascinazione per il modello Milei

24 Dicembre 2024 11 min lettura

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La fascinazione per il modello Milei

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A un anno dal suo insediamento alla Casa Rosada, la presidenza di Javier Milei ha raggiunto obiettivi importanti per l’Argentina. Dopo anni caratterizzati da default sul debito e iperinflazione, per ora l’amministrazione Milei sembra aver riportato il paese sulla strada della stabilizzazione: l’inflazione ha raggiunto un tasso di crescita contenuto. Inoltre, per la prima volta dal 2008, l’Argentina incassa più di quanto spende, almeno su base mensile. 

Questo ha portato vari osservatori internazionali e politici a vedere nell’esperimento argentino e nell’ideologia di Milei un modello a cui rifarsi. Il settimanale britannico The Economist ha fatto un bilancio positivo del suo primo anno di governo, pur mettendo in guardia su vari aspetti problematici sia nell’immediato sia sul lungo periodo. Anche a livello politico non sono mancati gli elogi. Milei è stato ospite di Donald Trump e della sua squadra a Mar-a-Lago, in Florida. Elon Musk e il DOGE, il dipartimento voluto dall’amministrazione Trump per l’efficientamento dello Stato, guardano con interesse al modello Milei. Ad Atreju, la manifestazione organizzata da Gioventù Nazione,  Milei è stato l’ospite d’onore internazionale. La Presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha manifestato una vicinanza ideologica nei confronti di Milei, affermando che anche lui sta portando avanti una rivoluzione culturale per combattere la povertà attraverso il lavoro e non i sussidi. 

Ma che cosa si può dire del modello Milei? È davvero il modello vincente? E soprattutto: è esportabile al di fuori dei confini argentini?

Dall’accademia alla politica

Per comprendere il fenomeno Milei e come questo sta diventando un modello spendibile dalla destra radicale è necessario comprenderne l’ideologia. 

La carriera di Milei comincia nell’accademia e nelle istituzioni economiche. Come professore e ricercatore, Milei si è ispirato a quella che va sotto il nome di Scuola Austriaca, una corrente di pensiero che propugna un liberismo estremo. Secondo i suoi principali pensatori, la libertà economica più totale è il fondamento di un’economia florida, trainata dalla capacità degli agenti economici di trasmettere le informazioni e di fare imprese. 

Al contrario, per anni la politica economica dell’Argentina si è rifatta alle politiche di  Juan Domingo Perón, storico Presidente argentino che vedeva nell’intervento dello Stato il motore dell’economia. 

Ma tra gli autori che hanno più influenzato il pensiero di Milei, soprattutto a livello politico, c’è Murray Rothbard. Anche lui esponente della scuola austriaca, Rothbard nell’ultimo periodo della sua vita coniugò la prospettiva libertaria con quella conservatrice, in quello che definì “populismo di destra”: a politiche economiche votate al libero mercato era quindi affiancata una componente più conservatrice. Questo ha influenzato il pensiero di Milei, che per esempio si dichiara contrario all’aborto e nel corso della sua presidenza ha eliminato le iniziative rivolte all’uguaglianza di genere e contro la violenza sulle donne. 

Nel corso dell’ultimo decennio, Milei ha portato le sue idee al di fuori del circolo economico: ha cominciato a presenziare a dibattiti televisivi, scagliandosi contro la casta che governa l’Argentina. I suoi interventi sono stati caratterizzati da un attacco frontale nei confronti degli avversari, in particolari i “collettivisti” e gli esponenti di sinistra, usando epiteti come “sinistrati di merda”. 

Nel 2021, grazie al successo raggiunto nei media e sui social, Milei ha fondato una coalizione politica attorno alle sue idee usando come nome un noto slogan ripetuto durante i suoi interventi e comizi: La Libertad Avanza. 

La vittoria alle presidenziali e l’esperienza di governo

L’ideologia propugnata da Milei ha trovato terreno fertile in un paese come l’Argentina, che viveva da decenni una situazione economica e politica disastrosa. L’enorme deficit del governo era stato finanziato stampando moneta, portando quindi a un aumento vertiginoso dell’inflazione. Con un’inflazione fuori controllo arrivata al 211 per cento su base annua, il potere d’acquisto della popolazione, in particolare quella meno abbiente che dedica una parte più cospicua del proprio reddito a consumi, era andato calando. Quelli che potevano permettersi di risparmiare preferivano farlo in dollari, tanto che secondo alcune stime quasi il 20 per cento dei dollari nel mondo è in Argentina. Allo stesso tempo la classe politica era affetta da una corruzione cronica che andava a discapito delle persone più povere. 

Per questo motivo molti argentini hanno visto in Milei, soprannominato “El Loco” (il pazzo), uno sprazzo di stabilità economica per contrastare la vecchia politica di destra e di sinistra. In agosto Milei ha vinto a sorpresa le PASO - primarie a cui i partiti che intendono partecipare alle presidenziali presentano uno o più candidati. La sua campagna elettorale si è contraddistinta per i toni fuori dalle righe, anche aggressivi, e per la sua stravaganza: nota è l’immagine di Milei che brandisce una motosega per segnalare la sua volontà di tagliare con la vecchia politica e le spese pazze. Al primo turno Milei è arrivato dietro a Sergio Massa, al tempo ministro dell’economia e candidato per la coalizione peronista, ma ha poi vinto al ballottaggio grazie anche al supporto della destra tradizionale. 

Fin dal suo discorso d’insediamento, Milie ha evidenziato lo stato critico in cui si trovava il paese, riassunto nelle parole “No hay plata” (Non ci sono soldi), diventate poi virali sui social. Serviva quindi un cambiamento drastico per riportare il paese sulla strada della stabilità economica.

Tra i primi provvedimenti dell’amministrazione Milei c’è stata la svalutazione del peso, la moneta locale. Questo ha comportato un aumento dell’inflazione nei primi mesi della sua presidenza, ma allo stesso tempo ha permesso all’export argentino di riprendere slancio, soprattutto grazie alla Cina che ha visto un aumento delle importazioni dall’Argentina del 155 per cento. 

Successivamente i provvedimenti di Milei si sono concentrati su una riduzione delle spese dello Stato e su una liberalizzazione dell’economia. Tra i settori più colpiti ci sono le pensioni. Queste sono legate a un meccanismo di adeguazione rispetto all’inflazione: il governo Milei ha fatto leva sui tempi di adeguazione per risparmiare nei primi mesi dell’anno, quando l’inflazione ereditata dal governo precedente era ancora elevata. Se questo è un tassello importante della strategia di stabilizzazione di Milei, allo stesso tempo preclude a una fascia consistenti di pensionati un accesso ai farmaci e alle cure, che hanno raggiunto prezzi fuori controllo. 

Il congresso aveva in un primo tempo approvato una legge per l’aumento delle pensioni, su cui però Milei aveva posto il veto presidenziale. Per ribaltarlo, sarebbero stati necessari i due terzi dell’assemblea, ma l’Unión Cívica Radical - partito centrista all’interno della coalizione di destra - aveva alla fine votato divisa, non garantendo quindi la maggioranza dei due terzi che avrebbe ripristinato la legge. 

Anche i fondi per la fornitura gratuita di farmaci a malati cronici hanno subito un ridimensionamento, così come le infrastrutture. Secondo Milei, i contratti con le aziende di quest’ultimo settore rappresentano un gigantisco caso di corruzione; ciò ha portato a un ridimensionamento. Il piano di Milei ha infatti paralizzato 4000 lavori pubblici già in corso, andando a pesare maggiormente sulle piccole e medie imprese. 

Questa situazione cela il rapporto complicato tra lo Stato centrale e le amministrazioni locali, che con la presidenza Milei hanno visto un netto ridimensionamento del loro budget. Dietro a questa scelta, oltre alle esigenze di bilancio, c’è un aspetto politico. In Argentina i fondi trasferiti dallo stato agli enti locali si dividono in un contributo necessario e in un altro a discrezione del Presidente. Tra i 24 distretti in cui è divisa l’Argentina, nessuno di questi è governato dalla coalizione presidenziale. Se da una parte ciò riduce gli interventi distorsivi, usati dai precedenti presidenti per ingraziarsi i governatori e garantirne il consenso politico, dall’altro rischia di impoverire le zone già più periferiche del paese. 

Il ridimensionamento ha colpito l’intero comparto statale, salvo poche eccezioni come l’esercito e l’intelligence. La forza di lavoro statale è diminuita drasticamente nel corso di quest’ultimo anno. Nel periodo dicembre 2023-agosto 2024 il numero di lavoratori federali è sceso da 341 mila a 309 mila. Una sorte leggermente diversa è invece toccata al Welfare State. Pur mantenendo strumenti di lotta alla povertà gestiti a livello statale, Milei si è scagliato contro quei programmi gestiti da cooperative e organizzazioni sociali, accusate di aver fondato un sistema di schiavitù. Tra questi programmi c’è ad esempio quello delle mense popolari e quello del reinserimento al lavoro attraverso cooperative. 

Infine, le politiche di Milei riguardo alla ricerca scientifica preoccupano il futuro dell’università. In un articolo sulla rivista Nature, i ricercatori del paese sottolineano come si stia andando in contro a un collasso del settore con una conseguente fuga dei cervelli. 

Nel complesso, le politiche di Milei hanno contribuito a portare l’inflazione sotto controllo, con aumenti su base mensile attorno al 2-3 per cento. Hanno anche permesso una maggior solitidità finanziaria al paese, che ha visto un surplus di bilancio dopo anni. Tuttavia il paese resta in condizioni economiche estremamente precarie, senza una strategia chiara per la crescita e il rischio di una recrudescenza dell’inflazione nel corso dei prossimi mesi, come fa notare anche il Financial Times

Secondo le stime della Banca Argentina, il tasso di crescita nel 2025 permetterà al paese di recuperare quanto perso durante l’emergenza pandemica. Allo stesso tempo secondo i dati rilasciati dall’INDEC, il tasso di occupazione è salito nel corso degli ultimi mesi, ma non ha ancora recuperato quanto perso da quando Milei si è insediato alla Casa Rosada. Dopo aver stabilizzato l’economia con politiche di austerità massicce che hanno pesato sulle famiglie più povere, l’Argentina di Milei dovrà ora provare di essere in grado di crescere, ridurre il numero di persone in povertà e aumentare il numero di occupati nel settore privato. Il rischio è che gli argentini, come riporta sempre il Financial Times, non si chiedano “non abbiamo già sofferto abbastanza?”. Già oggi infatti i più soddisfatti dell’operato di Milei sono i più ricchi, non tanto le fasce più deboli della popolazione. 

Il modello argentino è esportabile?

La situazione argentina, come abbiamo visto, è più complicata di come viene dipinta, sia dai detrattori sia dagli entusiasti della presidenza Milei. Tuttavia, sulla possibilità di esportare il modello Milei la questione è più chiara. 

Il cuore dell’esperienza Milei in Argentina è infatti una retrazione dello Stato dalla vita pubblica, che deve però essere inserita e giudicata nel contesto in cui è stata implementata. La situazione politica ed economica antecedente a Milei mostrava i limiti della via populista in America Latina: politiche macroeconomiche di redistribuzione e intervento statale che, pur godendo del favore dei cittadini, vanno a peggiorare la situazione delle classi meno abbienti. L’utilizzo della Banca Centrale per finanziare il deficit, un’allocazione delle risorse trainata più dai favori politici che dalle necessità economiche, interventi per calmierare i prezzi utilizzati in maniera massiccia erano la normalità in Argentina e hanno contribuito, assieme ad altri fattori  più strutturali, a creare la situazione di stagnazione economica ed elevata inflazione in cui versava il paese. 

Paradossalmente, l’esperienza Milei dovrebbe essere tenuta in considerazione più dalla sinistra che dalla destra radicale. Politiche a favore delle fasce meno abbienti devono andare di pari passo con un certo livello di prudenza nei conti pubblici, se non si vuole perdere il controllo della situazione. 

Questo non deve però far pensare che lo Stato sia, di per sé, un ostacolo alla crescita e allo sviluppo del paese.  Innanzitutto, lo stato gioca un ruolo centrale nelle fasi di crisi economica. Si tratta della lezione della crisi del 1929 - e non solo - che si rifaceva agli insegnamenti della scuola opposta a quella austriaca. Il suo modello era l’economista britannico John Maynard Keynes. In una crisi, lo Stato deve mettere in atto politiche anti cicliche, facendo debito, per risollevare l’economia del paese. Anche in tempi più recenti questa lezione si è rivelata utile: il pacchetto approvato dall’amministrazione Obama durante la crisi del 2008 ha avuto un’influenza profonda nel risollevare l’economia, secondo l’opinione di vari economisti. Anche i propugnatori di un approccio di austerità in caso di crisi, come il Fondo Monetario Internazionale, hanno poi rivalutato la loro posizione sulla base di dati più solidi. 

Non bisogna però cadere in una visione semplicistica dell’intervento dello Stato. Frange più estreme dell’accademia, che hanno avuto sempre più spazio sui media e nella politica, hanno sposato negli ultimi anni una visione opposta, secondo cui uno stato sovrano non ha alcun limite di spesa, potendo sempre finanziarsi attraverso la banca centrale. Questo è, in sintesi, quanto successo in Argentina, contribuendo alla vittoria di Milei. Per questo motivo, appunto, è necessario coniugare l’attenzione ai conti pubblici in una fase espansiva dell’economia, con un intervento invece più deciso in fasi di depressione. 

Allo stesso tempo il sostegno dello Stato è vitale anche in periodi di crescita, soprattutto nei tempi che stiamo vivendo. Le sfide che ci troviamo ad affrontare, come la transizione ecologica e digitale, richiedono un sostegno reciproco tra lo Stato e il privato per raggiungere gli obiettivi. L’esempio del Next Generation European Union su questo fronte è emblematico, così come le parole di Draghi: un ecosistema tra stato e privato in cui entrambi gli attori lavorano in cooperazione. La questione, quindi, non è “Stato sì o no”, ma come lo si coniuga con il settore privato e con la società. Per questo è necessario valutare, in maniera precisa e con dati e modelli alla mano, quali interventi sono utili e quali invece risultano dannosi. 

Nel vedere in Milei un modello, però, è necessario comprendere che al tema economico si affianca l’elemento ideologico come presupposto politico. Non è un caso che figure come Milei ritengono la crisi climatica un “complotto dei socialisti”. Questa infatti è in contraddizione con la visione della società che ha la destra radicale, fatta di singoli individui lasciati in balia di loro stessi e della loro capacità di iniziativa, e per questo richiede un approccio più globale e complesso: investimenti pubblici e privati per finanziare le tecnologie necessarie così come misure di sostegno al reddito e forme di redistribuzione per non far pagare la transizione alle classi meno agiate. 

Al contrario, la visione della società e dello stato propugnata da Milei e da personaggi come Musk è di una libertà “negativa”, in cui il compito dello Stato è di rimuovere gli impedimenti all’azione dei singoli individui. Si tratta di una visione semplicista, supportata in realtà per proteggere gli interessi economici dei cittadini più ricchi. 

Il modello Milei è un cavallo di Troia

Dietro la fascinazione per il modello Milei non c’è quindi una riflessione ponderata sulle politiche messe in atto dal Presidente Argentino e dalla sua amministrazione, che meritano invece di essere analizzata nel contesto economico e politico in cui si trovava il paese. In maniera più subdola, Milei viene utilizzato come esempio per mostrare i benefici di un’agenda conservatrice che, mentre dipinge lo Stato come un ostacolo al benessere comune, se ne serve per proteggere gli interessi delle classi più abbienti e le rendite di posizione di determinate fasce dell’elettorato. 

D’altronde gli stessi che portano Milei come esempio da seguire, come Trump e Meloni, sono  estremamente distanti dal Presidente argentino su molti aspetti a livello economico. Sia Trump sia Meloni, pur propugnando una maggior libertà in campo economico, non hanno alcun problema a mettere in atto politiche per difendere gli interessi del loro elettorato. Pensiamo alla questione balneari, nel caso del governo Meloni, o ai dazi di Trump. Entrambe queste misure sono ben lontane da un’ideologia di libero mercato. 

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Questa destra radicale e la sua ideologia però hanno implicazione sostanziali su problemi sistemici che ci troviamo ad affrontare. Il caso della crisi climatica, ad esempio, permette di comprendere appieno le implicazioni di questa svolta: per garantire il privilegio di pochi che hanno interesse nel mantenere il “business as usual”, la destra radicale si scaglia contro le politiche volte a una transizione ecologica equa e ambiziosa, additandole a politiche di stampo socialista. Così facendo, però, mette a rischio il benessere delle fasce più deboli della società, più colpite ed esposte, accelerando la crisi. 

(Immagine anteprima: frame via YouTube)

 

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