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In Sudan i combattenti violentano donne e ragazze, detenendole come schiave sessuali

20 Dicembre 2024 17 min lettura

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In Sudan i combattenti violentano donne e ragazze, detenendole come schiave sessuali

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di Human Rights Watch

Secondo Human Rights Watch, dal settembre 2023 i combattenti delle Forze di Supporto Rapido (RSF) e le milizie alleate hanno violentato decine di donne e ragazze, anche in un contesto di schiavitù sessuale, nello Stato sudanese del Kordofan Meridionale. I casi di violenza sessuale documentati, che costituiscono crimini di guerra e possono costituire crimini contro l'umanità, sottolineano quanto sia urgente un'azione internazionale significativa per proteggere i civili e fare giustizia.

Una donna di etnia nuba di 35 anni ha raccontato che sei combattenti delle RSF in uniforme beige hanno fatto irruzione nella casa della sua famiglia: “Nuba, oggi è il vostro giorno” ha detto uno dei combattenti. La donna è stata poi violentata in gruppo. “Mio marito e mio figlio hanno cercato di difendermi, così uno dei combattenti delle RSF ha sparato e li ha uccisi. Poi hanno continuato a violentarmi, tutti e sei”, ha raccontato la donna.

“Le sopravvissute raccontano di aver subito stupri di gruppo di fronte alle loro famiglie, o per lunghi periodi di tempo, anche mentre erano tenute come schiavi sessuali dai combattenti delle RSF”, ha dichiarato Belkis Wille, direttore associato per le crisi e i conflitti di Human Rights Watch. “Gli Stati membri delle Nazioni Unite e dell'Unione Africana dovrebbero agire immediatamente per assistere le sopravvissute, proteggere altre donne e ragazze e ottenere giustizia per questi crimini efferati”.

Nell'ottobre 2024, Human Rights Watch ha intervistato 93 persone dal vivo e da remoto. Di queste, 70 provenivano da insediamenti non ufficiali per sfollati nella regione dei Monti Nuba, nello Stato del Kordofan Meridionale, attualmente sotto il controllo del gruppo armato del Movimento di Liberazione del Popolo Sudanese del Nord (SPLM-N). Le Forze di Supporto Rapido, che stanno combattendo contro l'esercito nazionale, le Forze Armate Sudanesi (SAF), per il controllo del paese, hanno ingaggiato le ostilità anche con l'SPLM-N. I ricercatori hanno intervistato sette sopravvissute allo stupro, tra cui una che ha detto di essere stata trattenuta con altre 50 donne e violentata ripetutamente per tre mesi. Human Rights Watch ha intervistato anche 12 persone che hanno visto parenti e amiche violentate, episodi cui hanno assistito direttamente in molti casi.

In totale, le sopravvissute e gli altri testimoni hanno fornito informazioni su 79 ragazze e donne, di età compresa tra i 7 e i 50 anni, che hanno dichiarato di essere state violentate. La maggior parte degli incidenti documentati sono stati stupri di gruppo avvenuti a partire dal 31 dicembre 2023, nella città di Habila e nei suoi dintorni e in una base delle RSF, coinvolgendo anche vittime della città di Fayu, a circa 17 chilometri a sud di Habila, nel Kordofan meridionale.

Secondo le persone intervistate gli aggressori erano tutti membri delle RSF in uniforme, o membri di milizie alleate. Alcuni sopravvissuti hanno detto di conoscere alcuni degli uomini per nome. Nei casi documentati da Human Rights Watch, i combattenti delle RSF hanno violentato 14 donne e ragazze nelle loro case o in quelle dei vicini, spesso di fronte ai familiari. In cinque di questi casi, gli aggressori hanno violentato le donne e le ragazze dopo aver ucciso o minacciato i membri della famiglia.

In un rapporto separato pubblicato il 10 dicembre, Human Rights Watch ha documentato uccisioni su larga scala, rapimenti e ferimenti di civili, oltre a saccheggi e incendi diffusi, a Habila, a Fayu e nei dintorni. Gli abusi e le violenze sessuali sono la prova dei diffusi attacchi delle RSF contro i civili nel Kordofan Meridionale.

Una donna di 18 anni ha raccontato che a febbraio i combattenti delle RSF hanno portato lei e altre 17 tra donne e ragazze di Fayu in una base militare, dove sono state detenute insieme a un gruppo di 33 prigioniere già presenti. Sotto il totale controllo dei loro rapitori delle RSF, le donne e le ragazze sono state tenute in condizioni di schiavitù, a volte anche incatenate tra loro. Ogni giorno, per tre mesi, i combattenti hanno violentato e picchiato le donne e le ragazze, compresa la 18enne sopravvissuta, crimini che configurano anche la schiavitù sessuale.

Nessuna delle donne intervistate immagina un modo per  ottenere giustizia. Una ha detto: “Non c'è niente che si possa fare. Posso solo sperare in Dio”.

Il 25 novembre, Human Rights Watch ha condiviso una sintesi delle proprie scoperte e delle relative domande con il generale Mohamed Hamdan Dagalo, comandante delle RSF, senza però ottenere risposta.

Queste scoperte fanno eco a quelle di un recente rapporto della Missione internazionale indipendente di accertamento dei fatti delle Nazioni Unite per il Sudan, secondo cui le Forze di Supporto Rapido stanno commettendo violenze sessuali su larga scala, compresi numerosi episodi di schiavitù sessuale. Human Rights Watch ha documentato lo stupro di decine di donne e ragazze da parte delle RSF in Darfur nel 2023, oltre a diffuse violenze sessuali legate al conflitto da parte delle RSF a Khartoum e nelle città vicine, da quando sono scoppiati i combattimenti con le Forze Armate Sudanesi nell'aprile 2023. Le violenze sono state commesse anche dalle Forze Armate Sudanesi, sebbene in minor numero.

La violenza sessuale legata ai conflitti è una grave violazione del diritto umanitario internazionale, o delle leggi di guerra, e un crimine di guerra. La violenza sessuale può costituire un crimine contro l'umanità se commessa come parte di un attacco diffuso o sistematico contro una popolazione civile. Quando le persone sono tenute in condizioni di schiavitù - quando i loro rapitori esercitano su di loro un controllo simile al diritto di proprietà - e sono soggette a violenza sessuale, ciò costituisce schiavitù sessuale.

Le Nazioni Unite e l'Unione Africana dovrebbero dispiegare con urgenza una missione per la protezione dei civili in Sudan, con il mandato e le risorse necessarie per affrontare la violenza sessuale, compresa la prevenzione, la documentazione e la fornitura di servizi completi a tutti i sopravvissuti. Gli Stati membri dell'ONU dovrebbero anche rafforzare il sostegno alla missione d'inchiesta delle Nazioni Unite, come raccomandato dal Segretario generale, per contribuire a spianare la strada verso una significativa assunzione di responsabilità.

“Questa ricerca mette in evidenza ciò che sentiamo da tempo sull'entità delle violenze sessuali in Sudan, con le RSF che entrano nelle case e stuprano donne e ragazze in continuazione”, ha detto Wille. “Eppure, finora, le vittime sudanesi hanno avuto a malapena accesso ai servizi, per non parlare dei risarcimenti o degli sforzi significativi per fermare questi crimini orribili”.

Altre aree del Kordofan Meridionale sono sotto il controllo delle SAF, mentre le RSF controllano la città di Dibeibat e i suoi dintorni. Alcune zone restano senza controllo. Le RSF si sono alleate milizie prevalentemente arabe, e hanno brutalizzato alcuni gruppi etnici, tra cui massalit e nuba, uccidendo, ferendo, torturando, detenendo e violentando la popolazione civile di quelle comunità, distruggendo le case e saccheggiando i beni.

Nel 2017 Human Rights Watch ha documentato l'ostruzione dell'assistenza umanitaria durante il conflitto nei Monti Nuba da parte sia delle SAF che dell’SPLM-N, impedendo anche a donne e ragazze di accedere all'assistenza sanitaria riproduttiva, compresa l'assistenza ostetrica d'emergenza. Human Rights Watch ha precedentemente rilevato che anche uomini e ragazzi sono stati sottoposti a violenze sessuali, anche durante la detenzione.

I giudici della Corte penale internazionale (CPI) hanno emesso una serie di mandati di arresto dopo aver indagato sui crimini commessi in Darfur negli anni 2000. Questi includono mandati contro l'ex presidente sudanese Omar al-Bashir, che rimane un latitante della CPI. Solo un caso è stato portato a giudizio, quello di un ex leader della milizia Janjaweed, Ali Muhammad Ali Abd-Al-Rahman (Ali Kosheib). Le dichiarazioni conclusive del caso sono state rese alla CPI tra l'11 e il 13 dicembre 2024.

Schiavitù sessuale

(I nomi delle persone intervistate sono stati omessi o modificati per proteggere la loro identità.)

Hania, 18 anni, ha raccontato che le RSF hanno attaccato Fayu una notte di febbraio, quando il paese era sotto il controllo dell'SPLM-N. Lei era incinta di tre mesi. I combattenti delle RSF sono entrati in casa sua e l'hanno afferrata, insieme a una ragazza di 17 anni sua vicina di casa. Un combattente ha detto: “Abbiamo perso molti dei nostri figli, dobbiamo rimpiazzarli”. Altri hanno esultato, gridando “Matrimonio libero”, e hanno sparato proiettili in aria. I combattenti si sono allontanati a bordo di circa 10 veicoli con Hania, la sua vicina, e altre 16 ragazze dagli 11 anni in su. Un'altra residente di Fayu ha confermato di aver visto i combattenti delle RSF portare via gruppi di donne e ragazze, tra cui Hania, quella mattina.

I combattenti si sono diretti verso una grande base militare a Dibeibat, a circa 85 chilometri a nord di Fayu. Secondo Hania là si trovavano almeno 100 combattenti, già in possesso di altre 33 donne e ragazze di Habila, tra i 13 e i 28 anni. Nei tre mesi successivi, ha raccontato, i combattenti “venivano a gruppi di tre ogni mattina per prendere alcune ragazze, violentarle e riportarle indietro. Poi, la sera, un altro gruppo di tre persone veniva a prendere altre ragazze e a violentarle”.

I combattenti davano alle donne e alle ragazze solo un po' di farina di sorgo e acqua come sostentamento, che spesso le faceva vomitare. Hania ha raccontato che il gruppo ha cercato di fuggire due volte. Dopo la seconda volta - a circa un mese e mezzo di prigionia - i combattenti hanno costretto le prigioniere a inginocchiarsi e le hanno incatenate:

Hanno creato una struttura simile a un recinto con fili e rami d'albero, come quelle in cui si tengono gli animali. Eravamo legate con catene, 10 ragazze su una catena. Se dovevamo andare in bagno, ci lasciavano libere solo per un minuto, non c'era abbastanza tempo per fare nulla, avevi solo questo minuto, dovevi correre e tornare subito.

Hania sta ancora facendo i conti le conseguenze fisiche di questa esperienza: “Soffro di dolori alla schiena. Le mie gambe diventano molto rigide, se sono seduta non posso allungarle. Se dormo con le gambe tese, non riesco a muoverle senza l'aiuto delle mani”.

Quando una volta Hania ha opposto resistenza a un combattente che cercava di violentarla, “lui ha iniziato a picchiarmi con una frusta con la punta di metallo”. Poi, ha raccontato la donna, "altri due uomini sono arrivati e lo hanno aiutato a picchiarmi”. Hania ha perso molto sangue ed è finita in ospedale per 20 giorni, dopodiché un combattente, che secondo lei era un comandante, l'ha riportata alla base e l'ha incatenata di nuovo.

Fawzia, l'amica di Hania, anche lei 18enne, è rimasta incinta durante la prigionia. Un combattente delle RSF ha avuto pietà delle due donne incinte e le ha aiutate a fuggire tre mesi dopo il rapimento e un mese e mezzo dopo essere state incatenate. Hania ha detto che alla fine lei e Fawzia hanno trovato le loro famiglie e hanno cercato cure mediche. I medici hanno detto che Hania era malnutrita, ma il suo bambino non ha avuto problemi di salute alla nascita. Non sa cosa sia successo alle donne e alle ragazze rimaste nella base di Dibeibat.

Hania e due familiari di Fawzia hanno confermato ai ricercatori che Fawzia è stata rapita, è rimasta incinta ed è fuggita. La stessa Fawzia era nascosta e irraggiungibile quando Human Rights Watch ha incontrato i suoi familiari perché, ha detto suo zio, un parente aveva minacciato di ucciderla come punizione per “essere stata con le RSF rimanendo incinta”.

Hania avrebbe sentito i combattenti delle Forze Armate Speciali di Dibeibat dire che altri gruppi di donne e ragazze erano detenuti in altre due basi note nella regione. Un'altra donna dell'area di Fayu, Jamila, 22 anni, ha detto di essere stata prigioniera per 15 giorni in una fattoria vicino a Fayu a gennaio, dove i combattenti dell'RSF hanno minacciato di portarla a Dibeibat in diverse occasioni.

Stupri nelle abitazioni di civili

La mattina del 31 dicembre 2023, dopo le ostilità che hanno portato le Forze di Supporto Rapido a sottrarre il controllo della città di Habila dalle Forze Armate Sudanesi, i combattenti delle Forze di Supporto Rapido e gli affiliati si sono mossi tra le abitazioni, dove vivevano perlopiù persone di etnia nuba. Hanno ucciso molti civili, violentato donne e ragazze e saccheggiato i beni delle famiglie, tra cui trattori, carri, denaro, gioielli e mobili.

Dieci combattenti in uniforme delle RSF sono entrati nella casa di Dana, 35 anni, e di sua figlia Leila, 21 anni, e hanno ucciso otto uomini della famiglia, tra cui il marito di Dana, il marito di Leila e almeno altri sei parenti. Dana e Leila hanno raccontato che i combattenti sono poi entrati nella loro casa, dove si trovavano le donne e i bambini, e hanno violentato entrambe, oltre ad altre cinque donne: un'altra figlia di Dana, una vicina di casa e tre parenti, tra cui una ragazza di 16 anni.

"Mentre ci violentavano, si dicevano tra loro: 'queste nuba sono le nostre schiave, possiamo fare tutto quello che ci pare'”, ha raccontato Dana. La donna è stata violentata da due uomini, mentre Leila ha raccontato di essere stata violentata da un combattente.

Secondo il racconto di Intisar, 27 anni, una volta che i combattimenti erano finiti e le RSF avevano il controllo di Habila, un gruppo di combattenti armati, tutti in uniforme beige tranne uno, è arrivato nella loro strada. L'uomo in abiti civili è entrato nella casa di Intisar, dove ha puntato la pistola contro di lei e l'ha violentata davanti alla madre e al suocero.

Nesrin, 35 anni, si trovava con il marito e i cinque figli nella loro casa di famiglia quando sono entrati sei combattenti delle Forze di Supporto Rapido in uniforme.“Nuba, oggi è il vostro giorno”, ha detto un uomo. Poi l'hanno forzata a terra, violentandola in gruppo:

Mio marito e mio figlio hanno cercato di difendermi, così uno dei combattenti dell'RSF ha sparato e li ha uccisi. Poi hanno continuato a violentarmi, tutti e sei. Mi dicevano: “Nuba, violenteremo te e i tuoi mariti”.

Nesrin ha detto di aver visto gli uomini violentare in gruppo anche le figlie dei suoi vicini, di 13 e 15 anni. Human Rights Watch aveva già rilevato che anche uomini e ragazzi sudanesi sono stati sottoposti a violenze sessuali, nei rastrellamenti e durante la detenzione.

Selma, 30 anni, ha raccontato di aver visto lo scorso 2 gennaio quattro combattenti delle Forze di Supporto Rapido in uniforme irrompere nell'abitazione del vicino. Attraverso la recinzione tra le due case Selma ha visto i combattenti puntare le armi alla testa di due sorelle, entrambe di circa 30 anni. Due uomini le hanno violentate, poi hanno detto loro di andarsene o sarebbero state uccise. Dopodiché si sono allontanati. Selma ha detto che una delle due donne sanguinava molto; nessuna delle due poteva alzarsi o camminare.

Il 5 gennaio, sei combattenti delle RSF in uniforme sono entrati nella casa di Hasina, 35 anni, e di suo marito. Hanno sparato e ucciso l'uomo appena questi ha ripetuto loro di non prendere il bestiame della famiglia. Poi i combattenti hanno rubato il bestiame e il carro della coppia e tutti i loro soldi.Non avendo i mezzi per partire, Hasina è rimasta a casa con i suoi sei figli.

I combattenti sono tornati tre giorni dopo:

Uno ha detto: “Vogliamo te. Cosa ne pensi?”. Ho detto: “Non vi voglio”. Lui ha risposto: “Se ci vuoi o meno non importa. Ce la prendiamo da soli”. ... Tutti e tre mi hanno violentato, poi se ne sono andati. La sera stessa, altri tre sono tornati, mi hanno violentata di nuovo e mi hanno detto di restare a casa mia”.

Hasina ha raccontato che gruppi di combattenti sono venuti a casa sua e l'hanno violentata in gruppo quasi ogni giorno per il mese successivo, fino a quando il Movimento di Liberazione del Popolo del Sudan - Nord ha preso il controllo di Habila, dopodiché è fuggita.

A febbraio Sara, 36enne di di Fayu, ha ricevuto la visita di quattro uomini del posto il giorno in cui i combattenti delle RSF hanno preso Hania e Fawzia. I quattro indossavano un uniforme delle Forze di Supporto Rapido, e Sara ha riconosciuto tre di loro. La figlia di 15 anni si è nascosta sotto il letto. Un combattente ha detto al marito: “Nuba, ti strapperemo gli occhi”, mentre tre degli uomini afferravano la nipote sedicenne di Sara e la spingevano in una camera da letto; il quarto si era messo sulla porta, bloccandola.

Una volta usciti dalla stanza, i combattenti hanno chiesto al marito di Sara dove fosse la figlia. Quando ha risposto che non lo sapeva, uno di loro ha sparato, uccidendolo. Quando se ne sono andati, Sara si è precipitata nella stanza dove si trovava la nipote e l'ha trovata a terra, sanguinante. La ragazza ha raccontato di essere stata stuprata da due combattenti, mentre il terzo non l'ha fatto, dopo averla vista sanguinante. “Se non temessi Dio, ti massacrerei” le ha detto l'uomo. Sara è fuggita insieme alla figlia, lasciando la nipote con un parente. In seguito ha saputo che la nipote era incinta.

Zahra, 32 anni, viene da Dilling, una città sotto il controllo delle SAF dove le RSF hanno effettuato incursioni regolari dalla fine del 2023. Nel settembre 2023, durante una di queste incursioni, Zahra ha visto gruppi di combattenti delle RSF entrare in città in moto e attaccare la base della Forze Armate Sudanesi. Durante l'attacco, due combattenti sono entrati nella casa dei suoi vicini, dove hanno violentato una bambina di 10 anni.

Violenze sessuali dopo che i civili sono fuggiti dalle abitazioni

A gennaio, poche settimane prima di essere presa prigioniera, Hania è fuggita da Fayu quando le RSF hanno preso il controllo dell'area. Lei e altri civili si sono rifugiati per settimane nella boscaglia, fuori dalla città. Un giorno, Hania ha visto un gruppo di circa 12 uomini armati arabi, che aveva visto in precedenza operare a fianco delle RSF, avvicinarsi a un gruppo di donne che conosceva e che si erano rifugiate nelle vicinanze. Gli uomini hanno attaccato e violentato due ragazze, la più giovane di 12 anni, e quattro donne, la più anziana di 50 anni. Gli stupri sono avvenuti più volte, nell'arco di tre ore. Alla fine, tre uomini in uniforme beige sono arrivati con moto e carri e hanno portato via le due ragazze e una donna di 19 anni, che Hania non ha più rivisto.

Jamila, che i combattenti delle RSF hanno trattenuto in una fattoria vicino a Fayu, ha detto di essere scappata dopo 15 giorni e di essere fuggita a Qardud, un villaggio vicino. Le RSF hanno effettuato diverse incursioni nell'area alla fine di gennaio. Secondo Jamila, combattenti in uniforme sono arrivati a Qardud e in tre occasioni, nell'arco di 15 giorni, hanno violentato in gruppo una ragazza di 15 anni e tre donne di età compresa tra i 18 e i 26 anni, che si erano rifugiate lì da Habila e Fayu. Dopo il terzo attacco, Jamila, le altre donne e la ragazza sono fuggite insieme verso il territorio controllato dall'SPLM-N, dove si sono separate.

Hiba, 22 anni, è fuggita alla fine del 2023 dalla sua casa di Kadugli, anch'essa colpita dai combattimenti. Mentre la sua famiglia stava attraversando la periferia di una città vicina, alcuni membri delle RSF in uniforme li hanno avvicinati e costretti a inginocchiarsi a terra, ordinando poi alla famiglia di seguirli. La famiglia di Hiba si è rifiutata, così i combattenti hanno iniziato a sparare, uccidendo il padre, la madre e il marito:

Hanno detto: “Dove state andando? Ti useremo e poi ti scaricheremo”. Ero sdraiata sul pavimento e tutti e cinque mi hanno violentata, uno dopo l'altro. I miei figli erano accanto a me, guardavano e piangevano. Hanno detto ai miei figli di fare silenzio e poi hanno violentato anche mia sorella.

Impatto sulle sopravvissute

Tutte le sopravvissute intervistate hanno dichiarato di avere difficoltà ad addormentarsi e di essere perseguitate dai ricordi. Tutte hanno dolori fisici quotidiani, in particolare alla schiena, che non avevano prima degli attacchi.

“Ogni volta che cerco di dormire, vedo come sono stati uccisi i miei genitori e mio marito e ricordo tutte le cose che mi hanno fatto. È una tortura per me” ha detto Hiba.

Hania ha detto:

La mia testa è piena di brutti pensieri... Sono diventata distratta. Non riesco a funzionare normalmente, a volte penso di aver perso la testa. Non riesco a portare a termine nemmeno i compiti più semplici... Dopo tutte le uccisioni, lo spargimento di sangue e ciò a cui ho assistito, non credo che starò bene. Ogni giorno mi sento molto depressa e piango.

Servizi per le sopravvissute

Nessuna delle sopravvissute ha potuto cercare assistenza medica subito dopo gli stupri, perché costrette a fuggire dalla zona o perché tenute in condizioni di schiavitù. Una volta arrivate in città dove si sentivano più sicure, sei delle sette sopravvissute intervistate hanno cercato assistenza medica.

Dopo averle visitate, imedici hanno detto alle sei donne che stavano “bene”. In quasi tutti i casi, le donne hanno detto che i medici hanno dato loro qualche tipo di farmaco prima di dimetterle, anche se non erano sicure del tipo. Nessuna è stata curata in un ospedale in grado di effettuare il test dell'HIV. In due casi, i medici hanno prelevato campioni di urina e di sangue, ma non hanno spiegato chiaramente per cosa stessero facendo il test.

Nessuna delle sopravvissute intervistate ha avuto accesso ad alcuna forma di supporto psicologico o sociale. Il medico che ha visitato Hiba le ha detto che doveva sentirsi grata per essere ancora viva, e le ha suggerito di “concentrarsi sulla crescita dei figli”.

I ricercatori hanno parlato con quattro operatori sanitari, tra cui medici, che lavorano in strutture che forniscono assistenza alle vittime di violenza sessuale e che hanno detto di essere in grado di effettuare test per la sifilide e la gonorrea, che hanno tassi elevati nella popolazione, così come per la gravidanza e la clamidia. Solo un ospedale dei Monti Nuba è in grado di effettuare il test per l'HIV. Alla domanda se le sopravvissute potessero accedere ai servizi di aborto, gli operatori sanitari intervistati hanno risposto di no.

L'accesso alle cure per l'aborto è un diritto umano e, secondo la legge internazionale sui diritti umani, gli Stati dovrebbero fornire un accesso effettivo nei casi di violenza sessuale, rimuovendo le barriere che impediscono alle donne di esercitare questo diritto.

I paesi donatori dovrebbero aumentare le risorse per garantire che le sopravvissute a violenze sessuali provenienti dal Sudan ricevano un'assistenza significativa, sia che si trovino ancora in Sudan sia nei paesi limitrofi, compresa l'assistenza d'emergenza post-stupro. La gestione del caso post-stupro dovrebbe affrontare l'intera gamma di esigenze di salute fisica: profilassi post-esposizione per prevenire l'HIV e altre infezioni sessualmente trasmissibili, trattamento di ferite o lesioni e infezioni sessualmente trasmissibili, contraccezione d'emergenza, accesso all'aborto e altre cure ginecologiche, nonché supporto emotivo o mentale immediato e a lungo termine. Vanno aiutate anche le sopravvissute che desiderano ottenere un risarcimento contro i responsabili.

Ulteriori raccomandazioni

Il procuratore della Corte Penale Interanzionale sta indagando presunti crimini commessi dall'aprile 2023 in Darfur, ma la sua giurisdizione in Sudan, che non è membro della CPI, è limitata a quella regione in base a un rinvio del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite del 2005.

Nel settembre 2024, la missione d'inchiesta delle Nazioni Unite ha raccomandato al Consiglio di Sicurezza di votare per espandere la giurisdizione della CPI in modo da "coprire l'intero paese”. La missione ha inoltre raccomandato agli Stati membri dell'ONU di prendere in considerazione altri percorsi di giustizia “in tandem e complementarietà” con la CPI, come l'istituzione di un tribunale speciale per il Sudan per perseguire i crimini internazionali, incoraggiando i funzionari giudiziari di altri paesi a indagare e perseguire i presunti responsabili, anche attraverso l'esercizio della giurisdizione universale. La missione ha anche chiesto la cooperazione del Sudan con la CPI.

Gli Stati dovrebbero sostenere con urgenza l'indagine in corso della Corte penale internazionale nel Darfur e adoperarsi per l'attuazione delle raccomandazioni della missione d'inchiesta sulla responsabilità, al fine di controllare il ciclo di impunità in tutto il Sudan che ha alimentato continue violazioni dei diritti, ha dichiarato Human Rights Watch.

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Il Segretario generale dell'ONU e i membri del Consiglio di Sicurezza dovrebbero fare pressione sulle parti in conflitto per porre fine all'ostruzione intenzionale delle forniture umanitarie e del personale, anche eliminando immediatamente le restrizioni burocratiche in corso. Dovrebbero inoltre condannare il saccheggio di aiuti e forniture mediche da parte delle RSF.

(Immagine anteprima: frame via YouTube)

 

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