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Perché Erdogan apre alla causa dei curdi

27 Novembre 2024 4 min lettura

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Perché Erdogan apre alla causa dei curdi

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Quando a fine ottobre il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha dichiarato che “turchi e curdi dovrebbero amarsi”, in molti non hanno creduto alle loro orecchie. Era da più di trent’anni che il governo di Ankara non dimostrava una tale apertura verso la questione curda, apertura che è risultata ancora più evidente quando il principale alleato nazionalista del presidente Erdogan, Devlet Bahceli, ha chiesto di rilasciare il leader del Pkk curdo Abdullah Ocalan, chiuso in un carcere di massima sicurezza dal 1999, in cambio dell’annuncio dello scioglimento del suo partito. Nei giorni successivi, Ocalan ha ricevuto la visita della sua famiglia per la prima volta dopo 43 mesi.

I curdi sono il più grande gruppo etnico al mondo senza un proprio Stato: secondo le stime, più di 12 milioni vivono in Turchia, circa sei milioni in Iraq e altrettanti in Iran, e poco meno di tre milioni in Siria. Il leader di estrema destra Devlet Bahceli, che si è sempre distinto per le sue ideologie contro le minoranze – tra cui anche quella curda – ha parlato di “un’opportunità storica” e della necessità di una “mossa coraggiosa”, riferendosi a questa nuova apertura. Alcuni giorni prima aveva stretto la mano ai rappresentanti del Partito per l’Uguaglianza e la Democrazia dei Popoli (Dem), considerato il fronte del movimento curdo legato al Pkk. Il presidente Erdogan ha commentato affermando che “lo Stato appartiene a tutti i cittadini”, chiedendo un “abbraccio nazionale”.

In contemporanea, però, il governo turco sta lanciando nuove operazioni militari nelle zone curde dell’Iraq settentrionale e della Siria nordorientale, annunciando di voler colmare le “lacune di sicurezza” ai confini meridionali della Turchia. Allo stesso tempo, i politici curdi subiscono continui attacchi: a fine ottobre Ahmet Ozer, sindaco del distretto Esenyurt di Istanbul, è stato arrestato per presunti legami con il Pkk. Pochi giorni dopo, tre sindaci curdi del sud-est della Turchia sono stati sostituiti da funzionari fedeli a Erdogan. È successo anche ad Ahmet Turk, un veterano della politica curda, che per tre volte è stato eletto e destituito come sindaco della città di Mardin.

E allora perché Erdogan sembra cercare un dialogo con il Pkk? Le vere ragioni di questo (apparente) cambio di rotta potrebbero essere molto lontane dalla volontà di stabilire una reale convivenza pacifica. Gli osservatori concordano sul fatto che il presidente turco sia intenzionato a ricandidarsi, ma per ottenere un quarto mandato sarebbe necessario modificare la Costituzione. Al momento, però, Erdogan non ha la maggioranza necessaria in Parlamento. Gli analisti ritengono che il suo piano possa essere quello di utilizzare l'approccio “del bastone e della carota”, per così dire, ossia trovare una sponda tra i curdi e il partito Dem filo-curdo offrendo concessioni, come l'ammorbidimento della condanna di Ocalan agli arresti domiciliari o la possibile interruzione della pratica di imporre funzionari statali nelle regioni curde.

Arzu Yilmaz, politologa dell'Università del Kurdistan Hewler nella città irachena di Erbil, ritiene invece che i motivi di questo spostamento siano altri. “In primo luogo, bisogna tener presente la situazione instabile in Medio Oriente e la decisione del governo statunitense di ritirare i soldati americani dall'Iraq e dalla Siria entro il 2026”, ha dichiarato. “Considerata la rielezione di Donald Trump, questo potrebbe avvenire anche prima del previsto”. Circa 2.500 soldati statunitensi sono ancora in Iraq e circa 900 in Siria, dove collaborano con le milizie curde locali. “L'equilibrio di potere in Medio Oriente si sta spostando: nonostante le sue ambizioni, la Turchia non è un attore importante”, ha detto Yilmaz, secondo cui Ankara potrebbe voler ribaltare questa situazione.

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Bese Hozat, co-presidente dell'Unione delle Comunità del Kurdistan, un'organizzazione che tiene insieme diversi partiti del Kurdistan tra cui il Pkk, ha un’opinione simile: “La posizione geopolitica della Turchia e la sua influenza nella regione si stanno gradualmente indebolendo”, ha dichiarato. “Questo sta causando il panico nel governo turco”. A suo avviso, è questo che avrebbe spinto Erdogan a cercare di strumentalizzare il leader curdo Ocalan per i propri scopi.

Rispetto alle nuove operazioni dell’esercito turco in Iraq e Siria, Arzu Yilmaz ritiene che i curdi iracheni non abbiano motivo di preoccuparsi per il futuro, poiché lo status di minoranza è tutelato dalla loro Costituzione. Ad essere più incerto è il futuro della regione curda autogestita nel nord-est della Siria: resta da vedere cosa accadrà dopo il ritiro delle truppe statunitensi. Un fattore chiave sarà il modo in cui i curdi delle varie regioni coopereranno tra loro: “Questo determinerà se i curdi alla fine usciranno da questa crisi più forti o più deboli”, afferma Yilmaz. Fonti vicine al Pkk hanno confermato che a novembre a Bruxelles si è svolto un primo incontro tra i partiti curdi di Iraq, Iran, Siria e Turchia, ma non sono trapelate notizie sull’esito di questo primo dialogo.

Immagine in anteprima: World Economic Forum, swiss-image.ch/Photo by Andy Mettler, CC BY-SA 2.0, via Wikimedia Commons

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