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Vogliamo parlare della Calabria senza democrazia?

11 Ottobre 2012 4 min lettura

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Vogliamo parlare della Calabria senza democrazia?

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Se facessimo una tristissima comparazione fra le pagine di giornale su problemi giudiziari, politici, economici o sociali a livello locale, e le regioni italiane, la Calabria avrebbe certamente la sproporzione più notevole: la porzione di territorio più problematica dell’intero Paese è, allo stesso tempo, quella meno raccontata. In qualche modo è ritenuto legittimo aprire giornali e telegiornali sui diversi scandali locali, per tematizzare l’argomento 'cattiva politica', urlare la parola 'casta', condurre santissime battaglie giornalistiche, raccontare la grande cronaca giudiziaria delle grandi regioni. Ma non per la Calabria.

E non che manchi materia per le sette colonne – questa settimana, per dire, c’è della Calabria anche sul New York Times: nell’arco di pochi giorni, solo per citare gli ultimi, il capoluogo di provincia più importante, Reggio, è stato sciolto per mafia. Primo capoluogo da quando li si può sciogliere. La giunta regionale, a Catanzaro, è stata iscritta al registro degli indagati con l’accusa di abuso d’ufficio. Tutta. Giuseppe Scopelliti, che del capoluogo sopracitato è stato sindaco e simbolo della cosiddetta rinascita, quel 'modello Reggio' che ora gli rinfacciano come se qualcuno gli avesse davvero dato retta, avesse realmente creduto a un modello funzionante e lodevole da imitare, è presidente regionale. E indagato. E primo fra gli ultimi, al quale nessuno ha mai chiesto o chiede nulla su operato politico e questioni giudiziarie. Come avesse avuto in sorte di governare una specie di porto franco.

«La Calabria non fa notizia» è un titolo così facile e vero che non farebbe notizia. E un editoriale che qualsiasi direttore di giornale, in Calabria, ha già scritto. O un interrogativo che a giro torna a percorrere le coscienze delle redazioni nazionali sotto forma di editoriale-ammenda, quando la 'ndrangheta tocca le regioni da prima pagina. Ma poi, ce la cagheremo abbastanza la Calabria?. Passerebbe inosservato, quanto i dati – pessimi e infiniti – che la relegano agli ultimi posti di qualunque classifica. Ultimi in tutto e inutilmente fieri - tanto da diventare oggetto delle vecchie campagne comunicative dei nomi grossi del settore – vittime di emarginazione da ciucci della classe, quella classe che ormai s’è allargata all’Europa intera e che avvicina i suoi voti a quelli che si prendono dall’altra parte dello Ionio.

La competizione politica che presto chiederà al Paese di scegliere un nuovo parlamento e un nuovo governo porterà inevitabilmente gli aspiranti premier, gli onorevoli candidati, i personaggi delle primarie e i relativi trenini di giornalisti e addetti stampa a scendere in Calabria e a raccontare dei fallimenti altrui, dei grandi progetti di riqualificazione, di una regione produttiva e turistica come «la locomotiva» che non è mai stata. E lì troveranno i notabili locali pronti a vestire la giacca nuova e ad accomodarsi al volo sull’ultimo treno. E i curiosi del luogo che alla fine non decideranno nulla.

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Troveranno il vuoto che hanno creato e quello che non hanno mai notato, quello che è cresciuto in mezzo alla gente nel disinteresse – e mi sto immaginando un grosso cactus verde scuro che spunta dall’asfalto della piazza della mia città natale* e sale fino a diventare gigantesco e sormontare tutto il paesaggio, i centri commerciali e i multisala ai piedi delle colline spaccate a metà, dipinte di giallo e di verde e del nero degli incendi estivi, le villette bifamiliari fra gli ulivi e il posto auto alle porte dell’area urbana, a ridosso del precipizio, le gru lampeggianti dei palazzi in costruzione lungo al scia del fiume, il buio alle finestre di quelli già in piedi, tanti, recenti e vuoti. Un cactus enorme a metà strada fra i due grandi alberi di Natale cittadini, equidistante fra il comune e la grossa piazza-parcheggio – lì dovrebbe andar bene – e un terzo più in là nel desolante centro storico, di fronte al vecchio teatro, addobbato coi colori della squadra di calcio.

Nessuno ha voglia di inventarsi un hashtag arguto e salvifico per chiedere le dimissioni di Scopelliti, chiedere qualcosa, ridare la voce a elettori che in sostanza non ne hanno quasi mai avuta – democrazia è una bellissima voce da Treccani, talvolta, di quelle con la «D» miniata. Nessuno che domandi, perché la Calabria è proprio e solo questa, perché non si sa da dove cominciare, perché non ne vale la pena, perché è il primo che muore negli horror, perché è il concorrente di X Factor che viene inquadrato di meno per non far che fra lui e gli spettatori a casa si crei troppa empatia. Se è stato davvero deciso passate a dirglielo.

foto via Saffir J.

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