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Perché la proposta di legge sulla diffamazione è sbagliata (e ammazza i blog)

26 Giugno 2013 6 min lettura

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Perché la proposta di legge sulla diffamazione è sbagliata (e ammazza i blog)

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Riduzione del contenzioso e tutela dei diritti di rilevanza costituzionale. Questo è l'obiettivo dichiarato del recente disegno di legge n. 1165 presentato il 6 giugno, in materia di reati commessi con il mezzo della stampa o con altri mezzi di diffusione, nonché di diffamazione e di ingiuria. La proposta di legge si inserisce, quindi, nel solco delle precedenti proposte che mirano a sostituire alla pena della reclusione, prevista per i casi più gravi di diffamazione a mezzo stampa, la sola pena pecuniaria.
Se tale intento può ritenersi meritorio, le modalità di attuazione fanno sorgere non poche perplessità, anche sulla tecnica redazionale.

Le modifiche in questione, si dice nella relazione, “appaiono oggi più che mai necessarie, soprattutto a seguito delle condanne alla pena della reclusione che hanno colpito noti giornalisti e direttori di testate nazionali”. Il riferimento ai “direttori” parrebbe relativo alla condanna per diffamazione di un noto direttore, da cui la conseguente “necessità” della riforma perché “in quasi tutti gli Stati occidentali la pena per i reati di opinione è solo di carattere pecuniario”. In tal modo si accomunano erroneamente diffamazione e reati di opinione che non sono identica cosa, come pure un legislatore dovrebbe sapere!

E non è l'unica “mancanza” del legislatore di turno che mira ad introdurre in Italia gli “standard europei” (Quali, quelli in materia di diffamazione o quelli in materia di reati di opinione?) per raggiungere un “equilibrio tra la libertà di stampa e la tutela della reputazione dei singoli”.

Il legislatore del caso ha spiegato che si tratta di ridurre il contenzioso (ma quante sono le cause per diffamazione in Italia?), di tutelare i cittadini che hanno il diritto di non vedersi diffamati su “internet”, e di vedere la rettifica come un'”opportunità” per le testate e i blog: “la potenza (nota: da intendersi in negativo) dei blog e di internet” non può essere negata! “Internet” e “blog” emergono, quindi, come le chiavi di volta per comprendere meglio la direzione del DDL, che altrimenti sarebbe apparsa alquanto oscura.

Stiamo parlando di valorizzare il momento della rettifica estendendola “ai siti informatici, ivi compresi i blog”. Qui la tecnica redazionale lascia alquanto a desiderare perché blog è una definizione del gergo di internet, e così applicata porterà sicuramente gravi incertezze nell'applicazione della norma. Quando si è in presenza di un blog?

L'estensione della rettifica comporta l'applicazione di un onere tipico dei giornali, gestito da una redazione, ai “blog” di ogni tipo (compreso quello delle ricette della nonna) che spesso hanno una gestione unipersonale che mal si adatta a tali incombenze burocratiche. Così la norma prevede la pubblicazione obbligatoria della rettifica “nella sua interezza”, in testa alla pagina e prima dell'articolo che ne forma oggetto. La rettifica dovrà essere pubblicata senza commento, senza risposte e senza titolo, con l'indicazione “rettifica dell'articolo [titolo] del [data] a firma di [autore]”. E il tutto va fatto entro le 48 ore.

Il primo dubbio riguarda, quindi, l'individuazione del momento in cui comincia a decorrere il termine: quando viene inviata la richiesta di rettifica o quando è ricevuta?

Supponendo che la richiesta venga inviata per mail, se si considera il momento dell'invio è palese che il gestore del blog non potrà mai allontanarsi dal suo “potente” blog per più di 48 ore, pena una multa fino a 16.000 euro. Nel caso opposto il termine rimane legato ad un evento, la ricezione o lettura, fin troppo incerto.

Per fare un esempio pratico, se Nonna Gina pubblica sul suo “Blog di ricette” la ricetta dei tortellini alla nutella della Zia Concetta, denigrando aspramente le fantasie culinarie della parente, e quest'ultima si rizela dell'articolo e ne chiede la rettifica, Nonna Gina dovrà pubblicare tale rettifica, nel termine di 48 ore non si sa bene a partire da quando, in testa all'articolo, senza repliche e anche se la rettifica è molto più lunga dell'articolo stesso.

La collocazione specifica (“in testa alla pagina”) della rettifica ha un suo scopo spiegato nella relazione della legge, perché “chiunque abbia frequentazione e conoscenza delle dinamiche di lettura online sa che le pagine internet vengono lette prevalentemente nella parte iniziale”. Quindi, al fine di evitare l'“ulteriore” danno della collocazione alla fine della pagina, dove non tutti gli internauti si spingono, si obbliga il posizionamento della rettifica in testa con il risultato che “prevalentemente” verrà letta la sola rettifica.

L'ovvia conseguenza è che qualsiasi tentativo di fare informazione online, volendo potrà essere “tarpato” semplicemente inviando una richiesta di rettifica. E questo perché la rettifica non ha nulla, o quasi, a vedere con la veridicità o la documentabilità di una notizia, né è esclusivamente demandata alla tutela da diffamazione o altri reati (per i quali esistono le procedure giudiziarie comprese le misure cautelare e i sequestri preventivi -per i siti non costituenti testata editoriale-). La rettifica, invece, è legata ad una valutazione puramente soggettiva ed insindacabile da parte del presunto offeso (Cassazione n. 10690 del 24 aprile 2008: “l’esercizio del diritto di rettifica… è riservato, sia per l’an che per il quomodo, alla valutazione soggettiva della persona presunta offesa, al cui discrezionale ed insindacabile apprezzamento è rimesso tanto di stabilire il carattere lesivo della propria dignità dello scritto o dell’immagine, quanto di fissare il contenuto ed i termini della rettifica”).

È evidente, quindi, che l'estensione della rettifica ai siti informatici, ivi compresi i blog (a parte i detti problemi di definizione) comporterà l'obbligo da parte del gestore di un blog di cedere una parte del proprio spazio web, correttamente pagato di tasca sua, ad un soggetto privato terzo, che gratuitamente potrà scrivere sullo spazio web altrui quello che gli pare e piace (a patto che non costituisca reato) anche se non si tratta di circostanze vere. Con buona pace delle statuizioni sulla proprietà privata di cui all'art. 42 Cost.

E tale aspetto diventa fondamentale anche in relazione alla recente sentenza (43206/07 del 03/04/2012) della Corte europea dei diritti dell'uomo che ha censurato l'automatismo dell'obbligo di rettifica legato all'insindacabile giudizio del soggetto presunto leso anche in assenza di violazione di norme. I giudici nazionali, dice la Corte, devono contemperare i diritti in gioco e verificare che la rettifica non comprima la libertà di espressione.

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In sintesi la rettifica si può ritenere legittima solo in quanto applicata a casi eccezionali, ma nel momento in cui viene estesa ai siti informatici compreso i blog, ed è legata ad una valutazione soggettiva del presunto offeso e non invece alla commissione di un reato, perde il suo carattere di eccezionalità e finisce per essere in contrasto con la Convenzione dei diritti dell'uomo.

In conclusione il risultato dell'attuazione della normativa in questione sarà di impedire o quanto meno limitare fortemente l'attività giornalistica online (su siti non testata editoriale). A fronte della riduzione delle pene per la diffamazione a mezzo stampa si avrà, di contro l'applicazione di oneri burocratici pesanti ai blog e siti informatici, senza però estendere nessuna delle prerogative dei giornali che fanno da contraltare all'onere della rettifica, così alla pubblicazione di una notizia semplicemente “fastidiosa” si potrà contrapporre per legge la pubblicazione di una contronotizia anche falsa, senza possibilità di repliche e posta prima della notizia, facendo scadere l'informazione online a contrasto tra mere opinioni, laddove la notizia principale, essendo posta in basso, “prevalentemente” sarà un'opinione di secondo piano.

Il DDL si iscrive, quindi, nel recente orientamento che mira alla privatizzazione della tutela dei diritti, lasciando al singolo privato che si “sente” in qualche modo offeso, un'arma per depotenziare la fonte dell'offesa anche in assenza di reati, e in quell'orientamento oggi molto di moda il quale ritiene che il miglior modo per tutelare i diritti degli individui è limitarli!

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