Trump-Clinton: vademecum sulle elezioni USA 2016
13 min letturadi Angelo Romano e Andrea Zitelli
Aggiornamento 9 novembre: Donald Trump, il candidato repubblicano, ha vinto le elezioni. Sarà il quarantacinquesimo Presidente degli Stati Uniti.
------------------
Oggi, 8 novembre, si chiuderanno le votazioni per eleggere il nuovo Presidente degli Stati Uniti. Con questo nostro articolo mettiamo a confronto i punti principali dei programmi dei due candidati che si contenderanno la vittoria, la democratica Hillary Clinton e il repubblicano Donald Trump, ripercorriamo gli scandali emersi durante le rispettive campagna elettorali e presentiamo gli ultimi sondaggi a poche ore dalla fine del voto.
Intorno alle cinque di mattina di mercoledì 9 novembre saranno chiusi gli ultimi seggi. "Se a quel punto la situazione sarà chiara, sarà annunciato il nome del nuovo presidente. Potrebbe comunque volerci più tempo, se cioè in alcuni Stati il risultato sarà equilibrato e se ci saranno dei ricorsi", scrive il Post.
L'elezione del Presidente degli Stati Uniti
I programmi di Hillary Clinton e Donald Trump
Gli scandali in campagna elettorale
Cosa dicono i sondaggi
L'elezione del Presidente degli Stati Uniti
Prima di entrare nel merito delle posizioni di Clinton e Trump, è utile capire come viene eletto il Presidente degli Stati Uniti d'America. Trentasette stati su cinquanta hanno già iniziato a votare a fine settembre. Ma, come spiega Le Monde, si tratta di un’elezione indiretta: “saranno infatti i 538 grandi elettori (il collegio elettorale), eletti a loro volta Stato per Stato, che il 12 dicembre eleggeranno il successore di Barack Obama”.
Il Presidente degli Stati Uniti sarà chi, tra i candidati, viene votato dalla maggioranza assoluta del collegio elettorale, cioè da almeno 270 dei grandi elettori.
Gli Stati più popolosi esprimono più grandi elettori degli altri. Scrive infatti Francesco Costa su Il Post: “Alle elezioni presidenziali ogni stato esprime un numero di grandi elettori pari alla somma dei suoi deputati e dei suoi senatori: dato che il numero di parlamentari espressi da ogni stato dipende dalla sua popolazione, lo stesso vale per i grandi elettori”.
In questo modo, la California, che è lo Stato con la popolazione maggiore, avrà 55 elettori, a seguire il Texas con 38, Florida e New York, con 29.
In ogni Stato, a ciascun candidato alle elezioni presidenziali è collegato un listino di grandi elettori. Questi ultimi, specifica ancora Le Monde, di solito vengono selezionati come ringraziamento per il lavoro svolto in favore del partito o del candidato. La modalità di elezione, poi, non è uguale in tutti e cinquanta gli Stati americani: su 48 vige il sistema maggioritario, cioè il candidato alla presidenza che arriva per primo, conquistando un voto in più degli altri, ottiene tutti i grandi elettori espressi dallo Stato, che sarebbero così solo quelli del suo listino.
In due Stati, invece, il Maine e il Nebraska, il sistema è diverso: “un grande elettore viene scelto in ciascuno dei distretti congressuali in base al risultato del voto popolare, mentre due grandi elettori vengono designati in base al risultato globale nello Stato”.
Successivamente, “il primo lunedì dopo il secondo mercoledì di dicembre” (quest’anno il 12 dicembre) i grandi elettori voteranno direttamente il candidato presidente e quello per la vice-presidenza. Quindici giorni dopo a Washington, nel Senato, ci sarà lo spoglio del loro voto e si certificherà ufficialmente il vincitore. Il 20 gennaio 2017, infine, è prevista l’investitura del nuovo presidente degli Stati Uniti d’America.
Costa spiega che esistono due scenari per cui è possibile che nessun candidato ottenga 270 grandi elettori: “il primo è quello del pareggio: dato che i grandi elettori sono un numero pari, è possibile che finisca 269 pari. Il secondo caso è quello in cui ci siano più di due candidati a spartirsi i grandi elettori, e quindi nessuno arrivi alla maggioranza assoluta di 270”.
In questi due casi, l’elezione del presidente e del vicepresidente degli Stati Uniti diventerebbe competenza del Congresso.
I programmi di Hillary Clinton e Donald Trump
Quali sono le posizioni politiche dei due maggiori pretendenti alla presidenza degli Stati Uniti su alcuni dei più importanti temi dibattuti durante la campagna elettorale? Abbiamo cercato di riassumerle, partendo dai lavori di BBC, Washington Post, Wall Street Journal e Politico.
(Qui potete trovare il programma politico di Hillary Clinton, candidata del Partito Democratico. Qui, quello di Donald Trump, candidato del Partito Repubblicano)
Clinton
Aumentare le tasse ai ricchi per fronteggiare la disuguaglianza economica tra gli americani: ad esempio, una sovrattassa del 4% sui redditi oltre i 5 milioni di dollari e l’aumento della tassa sull’eredità. Contemporaneamente i democratici hanno chiesto per le famiglie della classe media americana maggiori agevolazioni fiscali per assistenza sanitaria e istruzione.
Hillary, per rilanciare la crescita, ha presentato politiche di investimenti su tanti campi, come le infrastrutture, la ricerca scientifica e l’energia pulita. L’impegno è anche quello di aumentare il salario minimo federale per portarlo sopra i 10 dollari all’ora, dagli attuali 7.25 dollari.
Trump
Diminuire le fasce di reddito, passando da sette a tre, tagliare le tasse alle imprese ed eliminare quelle di successione. Il programma di Donald Trump prevede anche di ridurre le regolamentazioni, rinegoziare gli accordi commerciali e investire nel campo della difesa e delle infrastrutture. Anche Trump sembra posizionato ad aumentare il salario minimo federale (in un’intervista di fine luglio aveva parlato di 10 dollari all’ora), anche se ha specificato più volte che preferisce che la decisione non spetti al governo, ma ai singoli stati.
Clinton
Creare posti di loro investendo nei settori della tecnologia, dell’energia rinnovabile, delle piccole imprese. Inoltre, con parte dei soldi ottenuti dalle entrate fiscali dei ricchi, Clinton prevede di aumentare i corsi di formazione per i disoccupati.
Trump
Ridurre le tasse alle imprese, passando dall’attuale tasso del 35% al 15%. Inoltre con gli investimenti in infrastrutture, il taglio del deficit commerciale, la riduzione delle tasse e la rimozione di regolamentazioni rilancerà la creazione di posti di lavoro.
Clinton
Continuare ed estendere l’azione politica di Barack Obama legalizzando la condizione degli immigrati privi di documenti, residenti da lungo termine, e le loro famiglie. È prevista, inoltre, una riforma complessiva, che consenta anche per gli immigrati senza documenti di ottenere un soggiorno permanente ed, eventualmente, anche la cittadinanza americana.
Riguardo i rifugiati, è previsto un aumento negli Usa del numero di persone provenienti dalla Siria, passando dalle attuali 10mila annuali a 65mila. Il trasferimento dovrà avvenire sotto un attento controllo.
Trump
Costruire lungo il confine (circa 2mila miglia) tra Stati Uniti e Messico un muro per impedire il passaggio di immigrati irregolari. Trump chiede anche una riduzione dell’immigrazione legale negli Usa.
Il candidato repubblicano sostiene che consentire l’ingresso in America di rifugiati provenienti da certi paesi – come quelli del Medio Oriente, o più in generale a maggioranza musulmana – presenta un serio rischio per la sicurezza nazionale. Ha inoltre chiesto di sospendere il reinsediamento dei rifugiati, fino a quando non siano attuati “controlli estremi”, compresi test ideologici per escludere gli estremisti.
Clinton
Clinton sostiene il Patient Protection and Affordable Care Act (anche conosciuta con il nome di Obamacare è una delle più importanti riforme di Obama che ha esteso la copertura sanitaria a più di 13 milioni di persone che prima non erano assicurate) e punta a introdurre sussidi maggiori per le famiglie della classe media.
Trump
Trump vuole abrogare l’Obamacare e sostituirlo con un nuovo piano per la salute ancora da definire.
Clinton
Ci devono essere controlli più stringenti sulla vendita delle armi e devono essere vietate quelle di assalto.
Trump
Donald Trump, contrario a una restrizione della vendita delle armi, ha dato la colpa per alcune sparatorie dei mesi scorsi a una legge troppo morbida sul tema, dicendo che se ci fossero state persone armate sarebbero potute intervenire salvando delle vite.
Clinton
La candidata del Partito Democratico si è schierata contro i tentativi di proibire l’aborto dopo 20 settimane di gravidanza. Clinton si oppone anche alla legislazione statale che aumenta la regolamentazione dei centri che praticano l’aborto. È inoltre favorevole a consentire finanziamenti per le organizzazioni senza scopo di lucro che forniscono questi servizi per le vittime di stupro in zone di guerra.
Trump
Nel marzo scorso il candidato repubblicano ha detto che gli aborti dovrebbero essere illegali, sostenendo la necessità di "una qualche forma di punizione" per le donne che lo praticano. Tuttavia durante la sua campagna elettorale questa posizione è cambiata: la legittimità delle procedure deve essere lasciata ai singoli Stati, con eventuali sanzioni riservate solo al medico che esegue l’interruzione di gravidanza. Infine, Trump considera legittime solo alcune tipologie di aborto, cioè quelle per stupro, incesto e se è a rischio la vita della madre.
Clinton
La candidata democratica, che appoggia il consenso scientifico sul fatto che i combustibili fossili stiano riscaldando la temperatura del pianeta, approva l’adesione degli Stati Uniti all’Accordo di Parigi sul clima – entrato ufficialmente in vigore il 4 novembre scorso –, e il Clean Power Plan (sospeso a febbraio scorso dalla Suprema Corte degli Stati Uniti) di Obama per tagliare in particolare le emissioni di anidride carbonica delle centrali elettriche americane, del 32% entro il 2030.
Trump
Donald Trump, che nel 2012 aveva definito il riscaldamento globale un’invenzione (per poi affermare anni dopo che stava scherzando) e nel 2014 una “bufala”, ha promesso di ritirare l’appoggio degli Stati Uniti dall’accordo raggiunto a Parigi durante COP21 e di affossare il Clean Power Plan.
Clinton
Sostenere il ruolo degli Stati Uniti nella NATO (Organizzazione del Trattato dell'Atlantico del Nord), anche per contrastare il potere della Russia. Per quanto riguarda guerre e conflitti in Medio-Oriente, Hillary Clinton, durante la presidenza di Barack Obama, ha promosso una campagna aerea statunitense in Libia, ha richiesto che Stati Uniti avessero un ruolo più ampio nella lotta contro il cosiddetto Stato Islamico in Siria, come ad esempio l'imposizione di una no-fly zone e l’armamento dei ribelli siriani. Per quanto riguarda l’Afghanistan, vuole mantenere una presenza militare americana in quei territori.
Trump
Trump ha chiesto rapporti più stretti tra gli Stati Uniti e la Russia del presidente Vladimir Putin e ha rimarcato che la politica estera degli Stati Uniti debba sempre privilegiare gli interessi americani.
Nei confronti dell’ISIS, Trump ha sostenuto una politica militare dura, anche con l’utilizzo di truppe di terra. Inoltre, riguardo la guerra al terrorismo in Medio Oriente, la NATO dovrebbe fare di più in quanto gli Usa pagano già troppo il conto per l'Alleanza. Gli alleati, inoltre, secondo il candidato repubblicano, dovrebbero spendere di più per la propria protezione.
Gli scandali in campagna elettorale
Durante la campagna elettorale non sono mancati scandali, accuse e colpi di scena che hanno ristretto o incrementato il divario dei consensi tra i due principali candidati. Le tasse e le accuse di abusi sessuali, per quanto riguarda Trump, l’indagine dell’FBI sulla gestione della posta elettronica da parte di Hillary Clinton quando era segretario di Stato, sono stati i temi più discussi.
Tasse, abusi sessuali, razzismo e corruzione: le accuse a Donald Trump
Diversi rilievi sono stati mossi a Donald Trump nel corso della campagna presidenziale. Le posizioni razziste, la misoginia, episodi di presunta corruzione sono state analizzati nei minimi dettagli da parte dei media statunitensi.
In particolare, però, sono due i temi su cui si è concentrata maggiormente l’attenzione pubblica: la mancata dichiarazione dei redditi e le accuse di abusi sessuali.
La mancata dichiarazione dei redditi
Negli ultimi 40 anni, ogni candidato alla Casa Bianca ha reso pubblica la propria dichiarazione dei redditi prima delle elezioni. Hillary Clinton ha rilasciato ogni dichiarazione sua e di suo marito da oggi fino al 1977. Donald Trump non l’ha fatto. Gli unici suoi dati a disposizione sui pagamenti delle tasse federali risalgono a più di venti anni fa. Non si sa nulla dei suoi guadagni, dei contributi di beneficenza, dei suoi rapporti finanziari nazionali ed esteri, delle sue dichiarazioni dei redditi. Il New York Times è riuscito a ottenere le dichiarazioni tra il 1991 e il 1993 archiviate negli Stati del Connecticut, New Jersey e New York: Trump ha avuto perdite per 916 milioni di dollari, che potrebbero avergli consentito di non pagare le imposte federali sul reddito per più di 18 anni.
Andando a ritroso, scrive sempre il New York Times, i documenti a disposizione consentono di appurare soltanto che nel 1971 il candidato dei Repubblicani alla Casa Bianca ha pagato tasse federali per 71mila dollari su un reddito di 218mila dollari guadagnati in quegli anni. Inoltre, dati dello Stato mostrano che nel 1984 Trump non aveva pagato tasse federali.
Questo è stato possibile perché il sistema fiscale degli Stati Uniti consente alle società di dedurre le spese sostenute nell’anno precedente dai profitti di quello successivo. Inoltre, scrive Vox, società come quelle di Trump consentono di distribuire i guadagni tra gli azionisti. In questo modo, egli potrebbe aver utilizzato le perdite della propria società per abbassare il reddito individuale e riuscire a non pagare le tasse per diversi anni.
Signing a recent tax return- isn't this ridiculous? pic.twitter.com/UdwqF4iZIZ
— Donald J. Trump (@realDonaldTrump) 25 febbraio 2016
Incalzato da Hillary Clinton durante la campagna elettorale, il magnate americano ha detto di non essere tenuto a rendere pubblica la propria dichiarazione dei redditi perché sotto controllo dell’Internal Revenue Service. Ma l’agenzia ha fatto sapere che non vi è alcun obbligo per il contribuente di mantenere il segreto sui propri redditi durante le fasi di verifica.
Le accuse di abusi sessuali
Durante la campagna elettorale diverse donne hanno dichiarato di aver subito negli anni abusi sessuali da Donald Trump.
L’accusa più inquietante di tutte è la denuncia depositata nel giugno del 2016 alla corte di New York da una donna identificata con lo pseudonimo Jane Doe, che ha affermato di essere stata brutalmente legata a letto e violentata quando aveva 13 anni nella casa del finanziere Jeffrey Epstein. Era il 1994. Il giudice della corte distrettuale di New York ha inviato un ordine di apparizione per gli avvocati di Trump, Epstein e Jane Doe per il 16 dicembre. Nel caso in cui fosse eletto, Trump sarebbe il primo presidente degli Stati Uniti chiamato in un tribunale federale per rispondere dell’accusa di stupro di una minorenne.
Alcune accuse risalgono a fatti avvenuti decenni fa, altre sono più recenti. In molti casi Trump ha chiesto alla donne di ritrattare il racconto o ha negato quanto contestato. Di seguito riportiamo quelle che hanno destato maggior scalpore.
Jessica Leeds says she was groped by Donald Trump, he says it's "total fabrication" https://t.co/nOIDNMId8k https://t.co/4Bh0I2ni53
— BBC News (World) (@BBCWorld) 13 ottobre 2016
La prima è stata Jessica Leeds, ora 74enne, che ha dichiarato al New York Times, che circa 30 anni fa, durante un volo di 45 minuti, Trump le ha afferrato il seno e ha tentato di infilargli una mano sotto la gonna. Gli avvocati di Trump hanno chiesto una ritrattazione della storia, definendola calunniosa. Secondo il New York Times, la donna aveva raccontato ad almeno 4 persone a lei vicine tutto quanto.
Anche la sua prima moglie, Ivana, durante le pratiche di divorzio, ha descritto condotte molto violente nei suoi confronti quando erano sposati, alla fine degli anni ‘80.
La makeup artist Jill Harth, che stava lavorando con Trump nel 1997, ha dichiarato di aver subito un tentativo di stupro. Sempre quell’anno, Temple Taggart McDoweel, ex miss Utah, allora 21enne, ha detto di essere stata baciata sulla bocca mentre era concorrente. All’epoca Trump era sposato con la sua seconda moglie, Marta Maples.
Anche Rachel Crooks ha dichiarato al New York Times di essere stata baciata ripetutamente sulla bocca nel 2005 mentre lavorava per il gruppo immobiliare Bayrock Group alla Trump Tower.
Sempre in quell’anno, Natasha Stoynoff, reporter del magazine People, ha affermato di aver subito un violento approccio da parte di Trump mentre stava facendo un reportage sul primo anniversario di nozze con Melania. Il candidato repubblicano ha respinto le accuse.
Al 2013 risalirebbe l'ultimo episodio nei confronti di Cassandra Searle, ex miss Washington, all’epoca concorrente per miss Stati Uniti.
Le email di Hillary Clinton
L’FBI ha svolto delle indagini sulla gestione della posta elettronica da parte di Hillary Clinton negli anni in cui è stata Segretario di Stato (l’equivalente del nostro ministro degli Esteri L’FBI) per verificare se Clinton avesse nascosto qualcosa e capire se l’uso di una casella di posta privata avesse creato problemi per la sicurezza nazionale. Tra il 2009 e il 2013, Clinton ha, infatti, utilizzato un server privato di posta elettronica, situato nella propria abitazione a New York, anche per comunicazioni di lavoro. In base a quanto previsto dalle norme dell’epoca, poteva farlo. Tuttavia, la candidata dei democratici alla Casa Bianca ha ammesso di aver commesso un errore.
La cosa non è stata mai notata fino all’estate del 2014 quando il Dipartimento di Stato, per rispondere a una richiesta di documenti da parte del Congresso degli Stati Uniti, ha scoperto che nell’indirizzo governativo di Clinton non c’era nemmeno una email.
Nel novembre 2014, il presidente degli Usa, Barack Obama, ha esteso la definizione di “documenti federali” anche alle comunicazioni via dispositivi elettronici.
Nel dicembre 2014, su richiesta del Dipartimento di Stato, Hillary Clinton ha consegnato 30.940 email inviate o ricevute dal suo indirizzo privato, tenendo per sé altre 31.830, ritenute personali.
L’inchiesta inizia nel 2015 e al termine delle indagini, nel luglio scorso, il direttore dell’FBI James Comey ha concluso che Clinton non aveva commesso reati e non aveva intenzioni criminali, che non voleva nascondere nulla al governo e che non c’erano prove certe che la sua gestione della posta elettronica avesse messo a rischio la sicurezza nazionale.
Tuttavia, aveva aggiunto Comey, la condotta dell’ex Segretario di Stato e dei suoi assistenti era stata “estremamente superficiale” e «qualsiasi persona ragionevole nella sua posizione o in quella di chi corrispondeva con lei avrebbe dovuto sapere che quell’indirizzo email non era adatto a inviare o ricevere quelle informazioni».
Lo scorso 28 ottobre, c’è stato un ulteriore colpo di scena. Il direttore dell’FBI ha dichiarato di aver trovato, nell’ambito di un’inchiesta per abusi sessuali nei confronti di Anthony Weiner (ex politico ed ex marito di Huma Abedin, assistente di Hillary Clinton), un blocco di 650mila email che potevano essere pertinenti all’indagine chiusa a luglio su Clinton.
Le dichiarazioni del direttore dell’FBI hanno ulteriormente incattivito la campagna elettorale, con i supporter di Trump che hanno scandito a ogni incontro lo slogan, rivolto a Hillary Clinton: “In galera!”
Cento ex funzionari e pubblici ministeri del Dipartimento di Giustizia, sia repubblicani che democratici, hanno firmato una lettera criticando la decisione di Comey, responsabile, secondo loro, di aver rotto una lunga pratica consuetudinaria che evita possibili interferenze da parte di pubblici ufficiali nel corso delle campagne elettorali.
Richard Painter, avvocato delle questioni etiche alla Casa Bianca dal 2005 al 2007, ha detto di aver depositato una denuncia contro l’FBI per la possibile violazione del Hatch Act, un atto del 1939 che impedisce alle persone che abbiano potere politico di abusare delle proprie posizioni.
Dopo poco più di una settimana, domenica 6 novembre 2016, il direttore dell’FBI, ha comunicato ai leader del Congresso che anche in questa occasione le indagini non hanno ravvisato condotte criminali da parte di Hillary Clinton. Una portavoce della candidata dei Democratici ha affermato che Clinton era «felice che tutto si sia risolto per il meglio», mentre Trump ha reagito con rabbia alla notizia, mettendo in dubbio l’operato dell’FBI: «Non è possibile controllare 650mila email in soli 8 giorni», ha dichiarato il candidato dei Repubblicani.
Cosa dicono i sondaggi
La candidata del partito democratico, Hillary Clinton, in base alla media degli ultimi sondaggi, sarebbe avanti Donald Trump del Partito Repubblicano di circa 3 punti percentuali. In questo lavoro del New York Times è possibile vedere anche chi sarebbe in testa tra Clinton e Trump negli Stati cruciali per la vittoria.
Foto di anteprima via Clarín