Svolta repressiva in Spagna: sorveglianza digitale contro attivismo e libertà di parola
3 min letturaSpagna, 1 luglio 2015, entrano in vigore la Ley Mordaza (consigliamo la lettura di questo articolo sulla Legge di Sicurezza Cittadina, la normativa anti-protesta più soffocante d’Europa) e la riforma del Codice Penale, criticate ampiamente dalla principali ONG internazionali, tra cui Amnesty International, Save the Children, Rights International Spain, Caritas e la Federazione Internazionale dei Diritti Umani.
Neanche l’aspro giudizio dell’ONU è riuscito a persuadere il governo di Mariano Rajoy ad abbandonare un progetto legislativo che pregiudica gravemente il diritto al dissenso e alla protesta pacifica. E allo scoccare della mezzanotte circa 200 manifestanti hanno accolto l'entrata in vigore di queste leggi con una protesta silenziosa davanti al Congresso dei Deputati. Da oggi la Spagna è un paese differente.
Con le nuove norme, che secondo il New York Times rappresentano un “ritorno preoccupante agli oscuri giorni del regime franchista”, arrivano anche i moderni strumenti di repressione. I due colossi informatici Indra e Accenture si contendono la creazione del futuro software governativo per il controllo online dei cittadini. Il Ministero degli Interni esige all’impresa aggiudicataria dell’appalto lo sviluppo di un programma capace di captare informazioni dai seguenti social network: Twitter, Google Plus, Linkedin, Tumblr, Instagram, Flicker (curiosamente non è menzionato Facebook), ma anche da forum online, blog personali, piattaforme video (YouTube, Vimeo e LiveLeak) e motori di ricerca (Google, Bing, Yahoo e Duck Duck Go).
Non è ancora chiaro che tipo di contenuti sarà in grado di intercettare, ma stando alle direttive del Ministero il software dovrà raccogliere metadati, dati di registrazione degli utenti e contenuti generati. Tutte queste informazioni saranno indicizzate e memorizzate in una banca dati permanente che le autorità potranno consultare in qualsiasi momento. Il pretesto? Quello di sempre: la lotta al "terrorismo".
E in attesa che il Prism spagnolo, come lo chiamano alcuni, sia pronto, diamo un ripasso alle nuove proibizioni che riguardano Internet: quattro articoli che cambieranno per sempre la maniera con cui gli spagnoli usano la rete.
1. Twittare informazioni su una protesta potrebbe costarti caro
In questo momento TT spagnolo è #volvemos26s. I cittadini vogliono radunarsi nuovamante davanti al 'Congreso' questa sera. #25S #26S
— Marco Nurra (@marconurra) September 26, 2012
Questo mio tweet del 2012 oggi sarebbe illegale. La nuova legge punisce allo stesso modo chi organizza/convoca una protesta non autorizzata e chi diffonde online informazioni sulla manifestazione. L’articolo 30.3 della Legge di Sicurezza Cittadina precisa infatti che sono “ragionevolmente” considerati “organizzatori o promotori” coloro che, per via orale o scritta, online o stampata:
- Pubblicano informazioni su una futura protesta non autorizzata.
- Creano o sottoscrivono una petizione online a sostegno di una manifestazione non autorizzata.
- Aderiscono pubblicamente alle ragioni di una protesta non autorizzata.
- Esortano a partecipare a una manifestazione non autorizzata.
- Utilizzano sui propri profili slogan, bandiere o altri simboli che rimandano a una protesta non autorizzata.
Le multe vanno dai 30.001 ai 600.000 euro, senza passare per il giudice (è considerata un’infrazione). Dopo aver pagato la sanzione sarà possibile presentare un ricorso amministrativo.
2. Il cyber-attivismo sarà sinonimo di terrorismo
Il riformato articolo 573 del Codice Penale si rivolge principalmente agli attivisti online e alle azioni che (a partire da oggi) sono considerate "atti terroristici". Rientrano nella categoria terroristica gli hacker, ma anche tutti coloro che su Internet "destabilizzino la pace pubblica" o "il funzionamento di un organizzazione internazionale".
Promuovere su Twitter una manifestazione non autorizzata davanti alla Camera dei Deputati potrebbe essere inteso come un atto terroristico. Così come bloccare la pagina web di un ente governativo o del Fondo Monetario Internazionale, per esempio.
3. Consultare siti di propaganda farà di te un terrorista
Non sarà condannata solamente la diffusione o l’apologia del terrorismo, ma anche l’accesso ripetuto a siti che contengano informazioni illegali. L’articolo 575.2 del nuovo Codice Penale punisce con una pena tra 1 e 5 anni di carcere l’accesso abituale a tali contenuti online.
E sebbene il Ministro dell'Interno abbia chiarito che i giornalisti non corrono il rischio di essere incriminati (questo punto in realtà non è ancora chiaro), è necessario ricordare che, facendo un esempio, un blogger che esercita la professione giornalistica senza essere collegiato potrà essere accusato di terrorismo in seguito all'accesso periodico a un portale di reclutamento dell’ISIS.
4. 600.000 euro di multa per la pubblicazione di una foto della Polizia
Pubblicare e diffondere un video come questo (girato tre anni fa nella stazione di Atocha di Madrid, quando la Polizia sparò con fucili a salve contro i manifestanti, ad altezza d'uomo, dentro la metro) è un’infrazione grave alla Legge di Sicurezza Cittadina, secondo l’articolo 36.26. Poco importa che i poliziotti ripresi stiano compiendo un reato: il fatto di denunciare pubblicamente una condotta irregolare o un abuso di potere non è considerato un’attenuante. In realtà scattare una semplice foto a un agente di polizia immobile, durante una manifestazione, è punibile con una multa fino a 600.000 euro.
La repressione passa, nella maggior parte dei casi, per l’assegnazione di nuovi significati alle parole. La parola “terrorismo” in Spagna è stata svuotata dal senso che conoscevamo ed è diventata il contenitore indefinito di una serie di azioni che fino a oggi consideravamo un diritto.
Se vivete da queste parti fate molta attenzione: un passo falso su Internet e nel migliore dei casi dovrete pagare 30.001 euro di multa. Nella peggiore delle ipotesi sarete processati per terrorismo.
(Illustrazione: Manel Fontdevila per eldiario.es)