Ho avuto la FORTUNA di vedere Shall We Dance? in pullman. È uno di quei film che mettono sulle linee interregionali a lunga percorrenza, e parlo di FORTUNA perché di solito il livello della proposta cinematografica a bordo è "Film con attori comici di quinta fascia utilizzati come attività di riciclaggio di fondi neri". L'ho guardato, non senza pormi delle domande (ci arriviamo). La trama: un uomo d'ufficio (Richard Gere) si innamora di un'istruttrice di ballo (Jennifer Lopez) e pur di conoscerla si iscrive al suo corso. S'instaurerà una catena di buffi eventi che lo porteranno dapprima a nascondere la sua imbarazzante passione per la danza, poi alla plateale e orgogliosa dichiarazione d'amore per la disciplina.

La pellicola riprende il classico schema dei film sul ballo: in un primo momento passione soffocata da ritrosie sociali e pregiudizi, poi l'accettazione personale, la copertura, le diffidenze e lo scherno degli altri, più in generale - infine - il trionfo dell'arte e dell'irrefrenabile voglia di muovere il corpo. È così per Gere, per il più classico dei Billy Elliot, in Flashdance, nella dissidenza di Footloose, Nanni Moretti, persino in Happy Feet (eccetera). Ricorrenze che mi hanno portato a una riflessione: perché proporre continuamente il modello vergogna-passione-avversità-trionfo? Perché la pratica ne è sempre avversata, salvo poi affermarsi come conquista personale e sociale in un'epifania di sorrisi e caraibici improvvisati? E se si trattasse (la butto lì) della macchinazione di una lobby delle scuole di ballo, o un direttorio della danza mondiale che propaganda la sua attività e induce le menti più fragili ad accodarsi al trenino? E a tal proposito, perché non mandiamo in streaming le sessioni d'allenamento? Così: è una questione di trasparenza e ci leviamo il pensiero.

(CIAO A TUTTI è una specie di rubrica talvolta satirica che balla dopo i tre vodka tonic - il pezzo è stato prodotto per inserire le tag "Film" e "Streaming" in chiave SEO).