Dall’Italia alla California, la storia di Elena e Francesca: “L’immaginazione può cambiare il mondo”
9 min letturaQuesto è il racconto di due ragazze ribelli, che partendo dall'Italia sono riuscite a realizzare il loro sogno, facendo della propria esperienza una storia di favola.
Partiamo dall'ultimo capitolo.
C’era una volta un libro di fiabe che non erano fiabe. Quelle che Elena Favilli e Francesca Cavallo vogliono raccontare in Good Night Stories for Rebel Girls non sono infatti opere tramandate dalla cultura popolare né invenzioni fantastiche di romanzieri per bambini: sono invece le storie di vita di cento donne che si sono distinte nel mondo per coraggio, curiosità e determinazione, narrate con parole e immagini da altre donne di valore.
Le pagine di questo libro, che ancora non è stato stampato ma che ha già raccolto, tramite crowdfunding, 305mila dollari, rappresentano la sintesi del lavoro di Elena e Francesca: due ragazze che, come le giovani lettrici (e lettori) cui si rivolgono, con la forza dell’immaginazione possono cambiare il mondo quanto le protagoniste del volume, un inno all’incontro tra magia e realtà, tra storia e fantasia, tra sogno e cambiamento.
Una delle parole che meglio spiega l’impegno delle due ideatrici di questo volume è infatti incontro: «il motore fondamentale di quel che succede», spiega Francesca, aggiungendo che un incontro, per dare frutti, deve provenire da diverse direzioni, partendo da sguardi differenti sulla realtà. E così è stato per loro due.
C'era una volta...
Elena Favilli studia prima semiotica all’Università di Bologna, poi vince una borsa di studio per il New Media Program della Berkeley Graduate School of Journalism. In occasione di ReUniOn, il raduno degli alunni dell’Università di Bologna, racconterà di quell’esperienza: «a Berkeley, imparai che quello che studiavo poteva avere un impatto concreto sulla realtà, che il mio lavoro poteva decidere che forma avrebbe avuto un pezzetto di futuro».Dopo questi studi, il lavoro non le manca: un’agenzia di comunicazione, poi una rivista, più tardi un giornale. Francesca, che legge gli articoli di Elena prima ancora di conoscerla di persona, nota la sua capacità «di raccontare questioni molto complesse con una grande semplicità e un grande rispetto per il lettore, quindi senza mai imporre un’opinione, ma cercando di presentare i fatti nel modo più chiaro e onesto possibile».
Francesca Cavallo, invece, inventa storie da rappresentare sul palco. Studia regia all’accademia Paolo Grassi e fonda la compagnia teatrale Kilodrammi. E incontra i bambini. Nei corsi teatrali ai giovanissimi cerca l’autenticità di emozioni e relazioni, riconoscendo che anche i più piccoli hanno una dignità di persona che spesso gli adulti trascurano.
I bambini ammirano gli adulti e questo è qualcosa di cui gli adulti approfittano: si propongono come supereroi oppure in molti casi si propongono in modo violento e si impongono ai bambini; oppure cercano di far fare ai bambini cose che divertono, quindi li trattano come degli intrattenitori forzati, come delle specie di scimmiette addestrate, sostanzialmente sprecando l’opportunità di incontrare un bambino, cioè di incontrare una persona, diversa da te, ma comunque una persona.
Ma Francesca non si limita a proporre percorsi per bambini e scrivere testi teatrali: torna a esercitare la sua creatività nel suo paese d’origine, in Puglia, a Lizzano, animando Sferracavalli, il festival internazionale di immaginazione sostenibile.
L’immaginazione è infatti una costante della vita di Francesca: nella provincia di Taranto, in un contesto con risorse limitate, è proprio la mancanza che diventa lo stimolo per creare.
Sono ossessionata dall’idea di guardare la realtà per il suo potenziale, più che per i suoi limiti.
Questo tipo di immaginazione, racconta, le è stato trasmesso in famiglia, dal padre: fu lui a decidere di acquistare il cinema abbandonato che sarebbe divenuto la sede di Sferracavalli.
La prima edizione, sulla quale è stato girato anche un documentario, partiva proprio dall’analisi della situazione di Lizzano, che si caratterizzava per una forte presenza di immigrati dalla Romania, percepiti soltanto per il loro mestiere: nient'altro che operai a basso costo o badanti.
Nel luglio del 2011, per capovolgere questa percezione, Lizzano diventa un osservatorio sul teatro contemporaneo rumeno, costituendo un’occasione di incontro tra la realtà del paese pugliese e il luogo di origine dei migranti che vi lavorano.
La contaminazione culturale che nasce dal contatto tra diversi popoli è un interesse coltivato da tutti i membri del gruppo fondatore (oltre a Francesca, Marco Lupoli, Valerio Chionna, Antonella Cavallo, Pietro Pagano, Francesca Martemucci) che avevano vissuto un'esperienza di studio all'estero durante l'università.
La sfida è stata quella di portare il nostro paese in Erasmus. Un Erasmus a domicilio! Era il 2010 e uscì il bando Principi Attivi all'interno dell'azione Bollenti Spiriti che in Puglia ha dato voce e forma a una generazione di innovatori sociali e – per la prima volta – ha stabilito un contatto diretto tra la Regione (un'entità che fino ad allora mi era sembrata del tutto astratta e poco interessante) e dei cittadini con la voglia di cambiare le cose.
L'incontro tra Elena e Francesca: nasce 'Timbuktu'
Ma che cosa c’entra l’immaginazione delle esperienze, teatrali e non, di Francesca, con la semplicità e l’onestà del racconto giornalistico di Elena? Entrambi i percorsi si caratterizzano per la medesima ricerca di autenticità, nei fatti e nelle emozioni, oltre che nella relazione con il proprio pubblico, di lettori o spettatori. E infatti Francesca, che esercita la sua immaginazione e lavora con i bambini, non può che entusiasmarsi di fronte all’idea di Elena, che partecipa a Working Capital con il progetto di un magazine su iPad per bambini. È così che nasce Timbuktu.
Decisi di chiamarla Timbuktu, come un luogo che è così lontano da sembrare quasi immaginario. Ma che in realtà esiste. Perché quello era il mio sogno. Creare uno spazio nuovo, in cui i bambini potessero conoscere la realtà attraverso l’immaginazione.
E la chiave del cambiamento sta proprio nell’immaginazione, che rappresenta anche il fulcro della mission di Timbuktu: 'Promote imagination as a tool to know the world'. (Promuovere l'immaginazione come strumento per cambiare il mondo)
Questo sforzo non può infatti essere slegato dalla realtà: per questo, appassionare i bambini al mondo è una delle scommesse di Timbuktu, che propone progetti, a cominciare dall’originario magazine per iPad (mensile in lingua inglese). Subito dopo nasce Timbuktu Colors, progetto di riqualificazione degli spazi urbani che coinvolge bambini e comunità locali nel trasformare luoghi abbandonati in spazi di divertimento e socializzazione, e che ha ottenuto una menzione all’edizione 2014 della Biennale di Architettura di Bordeaux.
Lo sforzo di Timbuktu è di appassionare i più giovani a un racconto della realtà che li esponga «alla bellezza dell’eroismo delle persone reali e anche alle qualità da ricercare in un eroe umano, in carne e ossa», perché possano sviluppare «una certa sensibilità a riconoscere la magia che c’è nel mondo, il potere che hanno gli umani di trasformare la realtà».
Questo impegno passa anche dalla costruzione di un senso critico che smonti gli atteggiamenti prevaricatori che anche la comicità per bambini spesso propone: fare il bullo con qualcun altro, su Timbuktu, non fa ridere perché la saggezza non passa dal cinismo e l’ironia non si può tramutare in meschinità.
In realtà, all'inizio del percorso della loro start-up, Francesca ed Elena avrebbero potuto cedere al pessimismo: nonostante l’enorme potenziale dei loro progetti, dimostrato dall’attuale successo (oggi più di due milioni di bambini, da venti diversi paesi, giocano con i prodotti di Timbuktu Labs), in Italia ottengono solo premi e riconoscimenti, ma nessuno si decide a investire. Altrove, invece, il valore delle loro idee viene riconosciuto: la vittoria del concorso Mind the Bridge permette loro di volare a San Francisco, dove, nel giro di un mese, riescono a ottenere il primo investimento per 'Timbuktu'.
'Le storie della buonanotte per ragazze e ragazzi ribelli'
Mentre l’app per bambini si distingue per qualità e i progetti si moltiplicano, il legame dell’immaginazione con la realtà spinge Elena e Francesca a interrogarsi anche sulla loro condizione di donne, verificando come ostacoli e stereotipi siano spesso radicati anche nell’editoria per bambini: secondo una ricerca del dipartimento di sociologia dell’Università della California, la maggior parte dei libri per bambini dell’ultimo secolo continua a proporre un eroismo perlopiù maschile, anche nel numero dei personaggi.
Questa narrazione influisce sulla realtà, anche se spesso le donne non se ne rendono conto se non da adulte, specie se durante l’infanzia ci si confronta con esempi femminili positivi, come è accaduto alle due ideatrici di Timbuktu.
Sia la mia mamma che la mamma di Elena sono state dei modelli, in modi molto diversi, di grande indipendenza e di grande libertà: hanno cercato di metterci addosso il meno possibile tutta una serie di limiti che invece di solito vengono imposti alle ragazze.
Entrambe restano quindi sorprese di fronte a una realtà che frustra immaginazione ed entusiasmo delle giovani donne: le ragazze appassionate e meritevoli che hanno incontrato durante i loro percorsi universitari sembrano essere sparite dai luoghi di lavoro. E anche sui palchi degli eventi le donne sono una minoranza: pochissime relatrici, un’esigua parte di pubblico, diverse hostess.
Il problema non è solo numerico, ma anche di comunicazione, di energia, di condivisione.
Quando qualcuno racconta qualcosa, sceglie delle parole per farlo. E le parole che sceglie derivano dall’esperienza personale che ha di un tema, di un argomento, di qualsiasi cosa che poi si tramuta in un’app, in uno spettacolo, in un libro. Quello che accade è che a causa di questa disparità numerica nelle stanze in cui si prendono le decisioni, spesso il tuo messaggio non arriva all’altra persona, perché chi hai davanti non riconosce le parole con cui racconti il progetto, perché quelle parole non fanno parte del suo vissuto, della sua esperienza personale.
Ma se sul lavoro una donna si vede superata da uomini con progetti magari meno virtuosi, ma che risuonano con più efficacia in una comunità essenzialmente maschile, il rischio è che cominci lei stessa a ritenersi inadeguata e irrilevante. Per questo, spiega Francesca, un libro come Good Night Stories for Rebel Girls è necessario: perché le ragazze devono capire che la propria visione, anche se spesso ignorata o sminuita, «è un punto di vista che può cambiare il mondo, che lo sta già cambiando e che l’ha già cambiato».
Good Night Stories for Rebel Girls vuole essere il racconto di un modello diverso, ma reale, di donna: protagonista, coraggiosa, determinata. Ognuna delle cento donne descritte nel libro è vissuta o vive davvero: da Elizabeth I, regina d’Inghilterra, a Serena Williams, passando per le sorelle Bronte e Frida Kahlo.
Il racconto, pur basandosi sui fatti, si snoda come una fiaba, con parole semplici accompagnate dalle illustrazioni di cento artiste, come le statunitensi Eleanor Davis e Cori Johnson, la sudafricana Thandiwe Tshabalala, Ana Galvan dalla Spagna, Helena Morais Soares dal Portogallo, la brasiliana Debora Kamogawa e l’italiana Elisabetta Stoinich.
Elena e Francesca le hanno scelte sfogliando libri illustrati che erano rimasti particolarmente impressi, guardando manifesti pubblicitari per strada, valutando i portfolios che ricevono. Inoltre, la ricerca di nuove artiste avviene anche tramite segnalazioni sulla pagina di campagna di crowdfunding su Kickstarter.
Le storie contenute nel libro costituiscono un messaggio di speranza per le giovani lettrici, ispirandosi all’esempio delle protagoniste del volume, come Mae Jemison, prima astronauta afroamericana, dottoressa e attrice, la cui figura è accompagnata da una citazione che suona come un invito: «Mai limitare se stessi per la limitata immaginazione altrui».
L'immaginazione diventa collettiva: il crowdfunding per il libro
Questo libro non sarebbe stato possibile senza la comunità di 'Timbuktu'. Ed è proprio a essa che Elena e Francesca decidono di rivolgersi per finanziare il progetto tramite crowdfunding: un cambio di paradigma nella storia dell’industria, spiega Francesca.
È rendere possibile un processo in cui l'avviamento di una produzione su scala industriale di un oggetto non venga da chi ha il capitale prima, ma da chi vuole che quel prodotto esista.
Il crowdfunding costituisce infatti un’opportunità straordinaria, che rispecchia «il cambiamento che Internet ha portato alla produzione di beni e servizi, cioè il fatto che le cose vengano sempre di più costruite insieme alle persone»: l’immaginazione, da individuale, diventa collettiva.
La partecipazione della comunità garantisce anche l’indipendenza artistica del progetto, che non deve più rispondere a singoli investitori, ma si basa su un rapporto diretto con la comunità, che «riproduce, crea il calore di una relazione». L’energia della community emerge dai risultati finora ottenuti: l’obiettivo iniziale di 40mila dollari è stato raggiunto nel giro di trenta ore e, al momento, quando mancano due settimane alla chiusura del crowdfunding, il contatore segna più di 305mila dollari. Il risultato non arriva per caso ma dopo un serio lavoro di community building, spiega Francesca: «Elena ha cominciato un anno fa e ha costruito piano piano una comunità di persone con le quali siamo arrivati a questa campagna».
La scelta del finanziamento partecipativo risponde anche alla necessità di accordare i mezzi ai fini, perché «riteniamo che il processo sia importante quanto il risultato». Coinvolgere la comunità rappresenta inoltre un grande esercizio di umiltà: questa fase si caratterizza infatti per l’apertura al dialogo, «non solo con quelli che sono entusiasti, ma anche con quelli che non lo sono».
Dunque, tornando al principio, c’era una volta un libro di fiabe che non erano fiabe. Ma non sono le fiabe o un libro finanziato con il crowdfunding i protagonisti di questa storia: l’eroismo è quello delle ragazze ribelli, che siano lettrici, personaggi storici o creatrici di start-up, cioè coloro che, con competenza e immaginazione, possono davvero cambiare il mondo.