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L’Italia invia bombe in Arabia Saudita con l’ok del Governo?

20 Novembre 2015 19 min lettura

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L’Italia invia bombe in Arabia Saudita con l’ok del Governo?

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di Angelo Romano e Andrea Zitelli

RWM Italia sospende export bombe verso Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti

Aggiornamento 31 luglio 2019, ore 14:00:

Il 30 luglio 2019, con una nota inviata dal direttore generale ai dipendenti, la RWM Italia ha comunicato la sospensione delle licenze dell'azienda per l'esportazione di bombe d'aereo e componenti verso l'Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti per i prossimi 18 mesi.

“Tale situazione non è dovuta a scelte aziendali, né causata dall’andamento del mercato, è espressione della volontà politica del Parlamento e del Governo e va serenamente accettata, nel rispetto delle leggi dello Stato che ha sempre guidato l’operato dell’azienda”, si legge nel comunicato ripreso da Il Fatto.

Con questa decisione la società, che fa parte del gruppo tedesco Rheinmetall e che ha sede a Domusnovas, in Sardegna, e a Ghedi, in provincia di Brescia, ha recepito l’invito del Parlamento che il 26 giugno scorso, con una mozione di maggioranza votata alla Camera (con 262 voti favorevoli, nessuno contrario e 214 astensioni), ha chiesto al Governo di impegnarsi a bloccare l’esportazione di determinati tipi di armi (bombe d’aereo e i missili) verso i due Paesi impegnati in un conflitto in Yemen in corso da più di quattro anni.

Nel documento si impegna, inoltre, il governo “a proseguire, in tutte le sedi competenti, l'azione volta ad ottenere l'immediato cessate il fuoco e l'interruzione di ogni iniziativa militare in Yemen, continuando a sostenere, in particolare, l'iniziativa dell'inviato speciale delle Nazioni Unite per lo Yemen Martin Griffiths affinché si giunga quanto prima al ritiro delle truppe in campo”, “a proseguire, con i partner internazionali, nell'azione umanitaria coordinata sotto la guida delle Nazioni Unite per alleviare le sofferenze della popolazione yemenita, come stabilito nella terza conferenza dei donatori che si è svolta a Ginevra” e “a continuare ad assicurare un'applicazione rigorosa delle disposizioni della legge 9 luglio 1990, n. 185” sul controllo dell'esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento.

Soddisfazione per la decisione assunta da RWM Italia è stata espressa dal Coordinamento che chiede lo stop dell'invio delle armi in Yemen (di cui fanno parte Amnesty International Italia - Comitato Riconversione RWM per la pace ed il lavoro sostenibile - Fondazione Finanza Etica - Movimento dei Focolari Italia - Oxfam Italia - Rete della Pace - Rete Italiana per il Disarmo - Save the Children Italia) che auspica che un atto ufficiale che dichiari che il Consiglio dei ministri ha concluso lo scorso 12 luglio l'iter per dare indicazione all'UAMA (l'Unità per le autorizzazioni dei materiali di armamento) di bloccare nuove autorizzazioni e contratti e forniture relative a contratti già autorizzati, come annunciato dal vicepresidente del consiglio Luigi di Maio, sia pubblicato al più presto.

Ministro della Difesa Trenta: «Ministero Esteri valuti rispetto della legge su armi italiane ad Arabia Saudita»

Aggiornamento 18 settembre 2018, ore 12:37:

“Davanti alle immagini di quel che accade in Yemen ormai da diversi anni, non posso restare in silenzio. Se lo facessi, sarei un’ipocrita”. Con un post su Facebook, la ministro della Difesa, Elisabetta Trenta, ha annunciato di aver chiesto un resoconto sull’esportazione (o il transito) di bombe e altre armamenti dall’Italia all’Arabia Saudita e chiarimenti al ministero degli Affari Esteri, competente in materia, per “interrompere subito l’export e far decadere immediatamente i contratti in essere”, nel caso in cui si configurasse una violazione della legge 185 del 1990. La legge, infatti, vieta “l’esportazione, il transito, il trasferimento intracomunitario e l’intermediazione di materiali di armamento verso i paesi in stato di conflitto armato, in contrasto con i principi dell’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite, fatto salvo il rispetto degli obblighi internazionali dell’Italia o le diverse deliberazioni del Consiglio dei ministri, da adottare previo parere delle Camere”. La ministro ha dichiarato di aver allertato il ministro degli Affari Esteri, Enzo Moavero, sulla questione.

Oggi in Macedonia e domani in Kosovo, ma ci tenevo a comunicarvi una cosa importante.Come sapete sono una persona che...

Pubblicato da Elisabetta Trenta su Lunedì 17 settembre 2018

Per la Rete Italiana per il Disarmo il post del Ministro Trenta “va nella giusta direzione e verso l'unica e sola soluzione ‘sensata e umana’, lo stop di qualsiasi fornitura militare”, mentre il coordinatore di Sardegna Pulita (che organizzato per mercoledì una manifestazione a Roma) ha chiesto che si passi dalla parole ai fatti, “cioè ottemperare alle indicazioni dell’Onu”.

In base all’ultima relazione presentata dall’Unità per le autorizzazioni dei materiali di armamento (UAMA) del ministero degli Affari Esteri, l’Italia ha ricavato più di 10 miliardi di euro dall’export di armamenti all’estero. Nel 2016 erano stati 14,5. Gran parte dei ricavi arrivano da un accordo con il Qatar per la cessione di sette navi militari (quattro corvette multiruolo complete di sistemi da combattimento e munizionamento, una “nave da sbarco” LPD – Landing Platform Dock e due pattugliatori OPV – Offshore Patrol Vessel comprensivi di sistema di combattimento) e di missili da difesa aerea della MBDA Aster 30 Block 1 e VL Mica. Nel 2016 aveva pesato la commessa di 7,3 miliardi di euro per la vendita di 28 Eurofighter al Kuwait. Dopo il Qatar, i principali destinatari delle nostre esportazioni risultano essere il Regno Unito, la Germania, la Spagna e gli Stati Uniti. Ma, se si legge tra le righe del documento, ci si accorge che – nota Giorgio Beretta su Unimondo.org – le armi vendute oltremànica non hanno come “utilizzatore finale” il Regno Unito, ma l’Arabia Saudita. Numerose commesse riguardano paesi del Nord Africa e del Vicino e Medio Oriente, tra cui Turchia, Pakistan, Algeria, Oman, Iraq, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Giordania, Malaysia, Marocco, Egitto, Tunisia, Kuwait, Turkmenistan.

Lo Stockholm International Peace Research Institute (Sipri) ha pubblicato lo scorso marzo un rapporto secondo il quale l’Italia è il nono paese al mondo per import/export di armi. Dopo la fine della Guerra Fredda, in particolare dal 2013 in poi, c’è stato un incremento del commercio di armi che ha interessato in particolare i Paesi del Golfo: in Arabia Saudita del 225%, in Oman del 655%, in Iraq del 118%, in Kuwait del 488%, in Qatar del 166%, negli Emirati del 51%.

“In Yemen bombe prodotte in Italia vengono usate sui civili”. C’è voluta una videoinchiesta del New York Times perché le principali testate giornalistiche nazionali parlassero con la dovuta forza – come sottolineato in un commento su Facebook da Francesco Vignarca, coordinatore dal 2004 della Rete Italiana per il Disarmo – della possibilità che nella guerra in corso in Yemen la coalizione guidata dall’Arabia Saudita stia utilizzando armi prodotte in Italia.

“‘Bombe fabbricate in Sardegna sono state usate dall'Arabia Saudita nella guerra in Yemen, provocando morte e distruzione’. A denunciarlo è una videoinchiesta del New York Times, pubblicata come prima notizia nella homepage del sito Internet del quotidiano americano”, è stato, ad esempio, l’attacco del pezzo di Repubblica.it.

Il filmato – a cura dei giornalisti Malachy Browne e Barbara Marcolini – traccia il percorso del commercio delle armi prodotte dall’azienda RWM dalla Sardegna verso l’Arabia Saudita, fa vedere bombardamenti che hanno coinvolto anche civili (e in particolare una famiglia di sei persone uccisa da una bomba), mostra le immagini delle visite ufficiali a Riad dei Presidenti di diversi paesi, come la Premier britannica Theresa May, il Presidente degli Usa Donald Trump, il Presidente del consiglio italiano Paolo Gentiloni e il Ministro della Difesa Roberta Pinotti, a testimonianza di come più Stati commerciano armi con l’Arabia Saudita e dei buoni rapporti tra l’Italia e il paese arabo.

Incrociando video su Facebook e Twitter e immagini satellitari, gli autori dell’inchiesta sono riusciti a individuare tracce di bombe vendute dalla RWM in almeno cinque attacchi in Yemen, identificando lo stesso numero di matricola, A4447. Secondo l’inchiesta l’Italia ha fornito armi, bombe e munizioni all’Arabia Saudita dal 2015 e nel 2017 ci sarebbe stato un “aumento massiccio” di queste esportazioni. L’azienda avrebbe ottenuto una licenza che consente loro di vendere armi “per quasi 500 milioni di euro, di cui oltre 400 milioni per le bombe vendute a Riad e rinvenute in Yemen”. Già lo scorso anno, di questi tempi, l’Istat aveva registrato tra giugno e settembre del 2016 un forte aumento dell’export di “armi e munizioni” dalla Sardegna all’Arabia Saudita per un totale di 20,6 milioni di euro. Un incremento del 400% rispetto allo stesso periodo del 2015, commentava Sardinia Post.

Per i trattati internazionali, sottolinea il New York Times, è proibito esportare armi a paesi impegnati in operazioni militari non riconosciute dall’Onu e in situazioni di violazione dei diritti umani, come documentato dalle immagini dei bombardamenti in Yemen. Nonostante questo, l’Italia vende armi all’Arabia Saudita.

Fonti del Ministero degli Esteri hanno fatto sapere che “l’Italia osserva in maniera scrupolosa il diritto nazionale ed internazionale in materia di esportazione di armamenti e si adegua sempre ed immediatamente a prescrizioni decise in ambito Onu o Ue”, sottolineando che “l’Arabia Saudita non è soggetta ad alcuna forma di embargo, sanzione o altra misura restrittiva internazionale o europea”.

Quanto riportato dal New York Times non costituisce una novità, come fatto notare proprio dal Ministero degli Esteri: “È una vicenda già nota, sulla quale il governo ha fornito chiarimenti più volte nel corso della legislatura, anche in sede parlamentare”.
A settembre la Camera aveva respinto le mozioni presentate da Sinistra Italiana, Movimento Cinque Stelle e Forza Italia che chiedevano di vietare la fornitura di bombe italiane verso l’Arabia Saudita, nonostante un provvedimento di embargo fosse stato esplicitamente richiesto dal Parlamento europeo.

Già da due anni, alcune associazioni (come Rete Italiana per il Disarmo, Opal e Amnesty International) si battono per fare luce sull’esportazione delle armi verso l’Arabia Saudita. Alcune testate (come Vita.it, Famiglia Cristiana, Nuova Sardegna), e trasmissioni TV come Le Iene (con i servizi di Dino Giarrusso), hanno seguito la vicenda, e i parlamentari Cotti, Pili e Marcon (e i rispettivi gruppi politici, Movimento 5 Stelle, Forza Italia, Sinistra Italiana - Possibile) hanno presentato interrogazioni parlamentari e chiesto chiarimenti al governo.

Uno dei due autori della video-inchiesta del New York Times, Malachy Browne, aveva già pubblicato una lunga inchiesta sul commercio di bombe italiane in Arabia Saudita nel giugno del 2015 per il sito Reported.ly (qui la traduzione integrale dell’articolo a cura de Il Post). Nel 2016, il giornalista aveva parlato delle sue inchieste in un panel del Festival Internazionale del Giornalismo di Perugia dal titolo “Yemen: the silent war”, organizzato da Laura Silvia Battaglia e al quale avevano partecipato altri esperti del conflitto yemenita come Iona Craig,  corrispondente del Guardian in Yemen e Medio Oriente sin dal 2010, e Sara Ishaq, inglese-yemenita, regista, finalista agli Oscar categoria documentari nel 2015 con "Karama has no walls".

Come Valigia Blu abbiamo iniziato a seguire la vicenda più di due anni fa, a novembre 2015, partendo dalle inchieste su Reported.ly di Malachy Browne, dagli articoli pubblicati dalle testate italiane che si sono interessate, dalle voci delle associazioni e dei parlamentari che si sono occupati della vendita di armi da parte dell’Italia all’Arabia Saudita e del loro utilizzo nel conflitto in Yemen, e aggiornando di volta in volta l’articolo.

Leggi anche >> Yemen, una guerra “ignorata” e la peggiore crisi umanitaria al mondo

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Dalla Sardegna all'Arabia Saudita

Giovedì 19 novembre 2015 due articoli pubblicati su Vita.it e La Nuova Sardegna hanno denunciato che alle 21 di mercoledì 18 novembre all’aeroporto civile di Cagliari-Elmas è atterrato un aereo utilizzato per trasportare bombe MK-80, prodotte nel comune di Domusnovas in Sardegna dalla RWM Italia, costola della Rheinmetall Defence, colosso tedesco degli armamenti, destinate all’Arabia Saudita (dove sarebbero arrivate “poco prima delle 10”).

Le armi, «anche se non ci sono conferme», scrive il giornale sardo, verranno utilizzate dalla monarchia assoluta islamica nello Yemen, stato travolto da una guerra civile e dove da mesi è partita un'operazione militare guidata proprio dall’Arabia Saudita con l’obiettivo di fermare l’avanzata dei ribelli sciiti houthi nel paese.

«Le Nazioni Unite – racconta Sara De Carli su Vita.it – da tempo riferiscono che in Yemen è in corso una “catastrofe umanitaria", con oltre 6mila morti di cui più della metà tra la popolazione civile, 21 milioni di persone, pari all’80% della popolazione, che necessitano di aiuti umanitari e 6 milioni di persone bisognose di assistenza di primo soccorso immediata».

Lunedì 16 novembre il Consiglio europeo ha espresso le sue “gravi preoccupazioni” per quanto riguarda quello che sta accadendo nello Yemen dove si registrano «attacchi indiscriminati contro le infrastrutture civili, in particolare le strutture sanitarie, le scuole e gli impianti idrici, i porti e gli aeroporti, nonché per l'uso di edifici civili a scopi militari”. Una situazione di instabilità che, continua la nota del Consiglio, viene sfruttata a proprio vantaggio dai “gruppi estremisti e terroristici, quali Al-Qaeda nella Penisola arabica (AQAP) e Da'esh nello Yemen».

I rapporti commerciali tra Italia e Arabia Saudita e l'inchiesta di Reported.ly

Non è la prima volta che materiale militare prodotto in Italia parte in direzione dell’Arabia Saudita. Nel maggio scorso c’è stata una spedizione via mare, da Genova, tramite la nave Jolly Cobalto, di componenti militari costruiti in Sardegna dalla RWM Italia.

Un fatto emerso in seguito a un attacco hacker, avvenuto a giugno, al ministero degli Esteri dell'Arabia Saudita, con la conseguente diffusione in Internet di almeno 500mila documenti.

Partendo anche dall’analisi di questi file, il sito di giornalismo Reported.ly, in un’inchiesta del giugno scorso «ha scoperto – si legge su Il Post che ha riproposto in italiano il lungo articolo – che le bombe costruite con questi componenti sono state usate in Yemen».

via Reported.ly
via Reported.ly

Inoltre, dall'inchiesta emerge che:

Oltre alle spedizioni di parti necessarie a comporre le bombe MK82 E MK84, Reported.ly ha anche confermato che dal 2012 al 2014 RWM Italia ha esportato un altro tipo di bombe, le MK83, alcune delle quali possono essere direttamente rintracciate in Yemen. Ole Solvang, un ricercatore della ONG Human Rights Watch, ha fotografato questo specifico modello di bomba in Yemen, con il marchio di RWM Italia.

Il secondo episodio, come documentato sempre da Reported.ly, si è verificato invece la notte del 29 ottobre scorso, questa volta però dall’aeroporto civile di Cagliari.

Le iniziative parlamentari: da chi sono state presentate e cosa chiedono

Il 18 novembre 2015, l'onorevole Mauro Pili, venuto a conoscenza dell’imminente spedizione, ha informato le reti che si occupano di questi temi e presentato un ordine del giorno in Parlamento, che stava esaminando il decreto di proroga delle missioni internazionali.

L’odg non è stato accettato dal Governo e, sottoposto a votazione, è stato bocciato con 221 voti contrari e 103 a favore. «Hanno votato a favore tutte le opposizioni, mentre il Governo ha dato parere contrario e quindi è stato bocciato», ha spiegato Pili.
«Chiedevo di non autorizzare il trasbordo in base al fatto che l’Italia non è stata coinvolta da nessun organismo internazionale in Yemen e che anzi questo conflitto è avversato dall’Onu».

Questa non è stata l’unica iniziativa parlamentare intrapresa dall’onorevole sardo. All’indomani della spedizione del 29 ottobre, Pili aveva, infatti, presentato un’interrogazione alla IX Commissione Trasporti, Poste e Telecomunicazioni in cui chiedeva al Ministro di fornire chiarimenti sulle operazioni militari svolte nell’aeroporto civile di Cagliari: quali sono state le procedure di sicurezza adottate e le norme seguite per consentire un volo cargo in un aeroporto civile? Verranno assunte iniziative per impedire e vietare l’utilizzo di aeroporti civili per il trasporto di materiale bellico?

Contestualmente Pili aveva chiesto all'ENAC (Ente Nazionale per l'Aviazione Civile) se il volo cargo fosse autorizzato a trasportare materiale bellico. In una nota ENAC riferiva che «si trattava di un volo di natura commerciale regolarmente autorizzato nel contesto delle previsioni normative internazionali tecniche che disciplinano il trasporto di tali materiali».

Negli stessi giorni, inoltre, veniva presentata in Senato un'interrogazione di Roberto Cotti (M5Stelle), che chiedeva chiarimenti su quanto avvenuto all'aeroporto di Cagliari la sera del 29 ottobre.

In precedenza, erano state presentate altre quattro interrogazioni parlamentari tra luglio e settembre. Il 9 luglio, Giulio Marcon (SeL) ha chiesto al Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale chiarimenti sull’utilizzo di ordigni fabbricati in Italia nell’operazione «Tempesta di fermezza» guidata dall'Arabia Saudita e da Egitto, Giordania, Emirati arabi uniti, Kuwait, Qatar, Bahrain, Marocco e Sudan, appoggiata logisticamente da USA, GB e Francia e avviata senza alcuna autorizzazione da parte dell'ONU e il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, e sull’eventuale autorizzazione del governo delle esportazioni effettuate dalla RWM Italia in Arabia Saudita, come mostrato dall’inchiesta di Reported.ly.

Il 3 agosto, Silvana Amati (PD) ha presentato un’interrogazione in Senato per sapere se le esportazioni effettuate dall’Italia, sempre alla luce dell’inchiesta di reported.ly, abbiano rispettato gli obblighi previsti dal Trattato sul commercio delle armi (adottato a New York il 2 aprile 2013, ratificato in Italia nel settembre 2013 ed entrato in vigore a dicembre 2014) e se la documentazione relativa al carico partito da Genova con la nave Jolly Cobalto e arrivato a Dubai il 5 giugno 2015 sia in linea con gli obblighi previsti dalla normativa nazionale e internazionale in materia.

L’8 e 10 settembre i senatori Roberto Cotti (M5Stelle) e Luis Alberto Orellana (Gruppo Misto) hanno presentato un’interrogazione a risposta orale rispettivamente alla III Commissione Affari Esteri Emigrazione e al Ministero della Difesa. Quest’ultima si è richiamata alla legge 185 del 9 luglio 1990, che disciplinava le esportazioni di armamenti e introduceva un rigido sistema di autorizzazioni e controlli.

L’interrogazione fa riferimento in particolare agli articoli 1) e 5), che vietano l’esportazione, il transito, il trasferimento intracomunitario e l'intermediazione di materiali di armamento a quei paesi in stato di conflitto, verso cui c’è embargo totale o parziale da parte delle Nazioni Unite e i cui governi sono responsabili di violazioni delle convenzioni internazionali in materia di diritti umani, e impongono al governo di presentare alle Camere una relazione annuale relativa alla compravendita di sistemi d'arma.

A 25 anni di distanza, si legge in un articolo di Famiglia Cristiana, la legge ha perso incisività, sia per i traffici di armamenti esportati in Medio Oriente e Nord Africa, sia per gli obblighi di trasparenza previsti.

Infine, il 7 maggio 2015 l’onorevole Emanuele Scagliusi (M5S) ha presentato una risoluzione alla III Commissione Affari Esteri e Comunitari che impegna il Governo a impedire, con tutti gli strumenti di cui dispone, il transito di armi e materiale bellico verso lo Yemen; a fornire dati necessari per sapere quante e quali armi usate in questo momento dall'Arabia nei bombardamenti sullo Yemen siano di provenienza italiana; ad adoperarsi, di concerto con la comunità internazionale, anche con la convocazione di una Conferenza internazionale di pace, per giungere a una soluzione politica inclusiva nello Yemen affinché si possa riprendere al più presto la via della democratizzazione e per prevenire un'ulteriore diffusione del terrorismo; a riconsiderare l'opportunità di vendere armi all'Arabia Saudita in violazione della legislazione italiana (la già citata legge n.185/1990).

La richiesta di Amnesty International, Rete Italiana per il Disarmo e OPAL

Lo scorso 9 novembre Amnesty International, insieme a Rete Italiana per il Disarmo e l'OPAL di Brescia, ha chiesto al presidente del Consiglio, Matteo Renzi (recatosi in Arabia Saudita proprio in quei giorni e incontrantosi ufficialmente con il re Salman bin Abdulaziz Al Saud) «di annunciare formalmente la sospensione da parte dell'Italia dell'invio di sistemi militari alle forze armate saudite e una chiara presa di posizione sulle violazioni dei diritti umani del governo saudita».

Il comunicato prosegue ricordando «[...] le reiterate violazioni dei diritti umani e la costante pratica delle punizioni corporali, della tortura e della pena di morte, anche per reati minori, inflitta con la decapitazione pubblica». Inoltre, si legge ancora, «risulta formalmente ancora in vigore la condanna "per offesa all'Islam" al blogger Raif Badawi a dieci anni di prigione e mille frustate (50 per sessione) e nelle scorse settimane la Corte penale speciale e la Corte suprema saudite hanno confermato la sentenza capitale nei confronti del giovane attivista sciita Ali Mohammed Baqir al-Nimir per la "partecipazione a manifestazioni antigovernative" all'età di 17 anni».

Ministro Pinotti: «Le spedizioni di materiale bellico in Arabia Saudita sono nel rispetto delle leggi»

Il 20 novembre 2015, intervenuta in un convegno sulla difesa a Roma, il Ministro Roberta Pinotti ha così giustificato l'invio di armi a paesi come Arabia Saudita, Kuwait, Qatar, che – secondo gli analisti – supportano e finanziano Isis: «All'interno dei paesi arabi ci sono fondazioni private che finanziano i terroristi e vanno estirpate, ma dire di non fare più affari con quei paesi è come dire che non bisognava più avere rapporti con l'Italia perché c'era la mafia».

A proposito delle recenti spedizioni di materiale bellico da Cagliari verso l’Arabia Saudita, il Ministro ha aggiunto che sono “nel rispetto delle leggi”, nonostante ordigni dello stesso tipo – assemblati in Sardegna – siano stati usati dai sauditi nei bombardamenti dello Yemen, in una operazione militare non riconosciuta dall’ONU.

Dura la reazione di Amnesty International, la Rete Italiana per il Disarmo e l’OPAL (Osservatorio Permanente sulle Armi Leggere e Politiche di Difesa e Sicurezza), che, in una nota, hanno definito inaccettabili le parole del Ministro e chiedono un incontro urgente con il Presidente del Consiglio, Matteo Renzi, per chiarire la posizione del Governo italiano sulle esportazioni di armamenti.

Secondo Francesco Vignarca (coordinatore della Rete Italiana per il Disarmo), le affermazioni del Ministro non rispecchiano quanto previsto dalla legge 185/1990, che «vieta espressamente le esportazioni di tutti i materiali militari e loro componenti verso i Paesi in stato di conflitto armato e in contrasto con i principi dell'articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite», come nel caso dell’intervento militare dell’Arabia Saudita in Yemen.

Segnalo al Ministro Pinotti che l’Arabia Saudita lo scorso 28 marzo ha formalmente annunciato alle Nazioni Unite il suo intervento militare in Yemen, ma non ha mai ottenuto dall’Onu alcuna autorizzazione né legittimazione. Il governo dovrebbe perciò sospendere immediatamente l’invio di materiali militari ai sauditi e rispondere in parlamento alle numerose interrogazioni che da mesi sono depositate

Inoltre, come ha dichiarato Giorgio Beretta di OPAL, il Governo non ha ancora chiarito «se si tratta di esportazioni che rispondono a nuove e recenti autorizzazioni o a quelle rilasciate negli anni scorsi».

In un articolo su Famiglia Cristiana, il giornalista Stefano Pasta fa notare che nell'ultimo quinquennio la meta principale delle nostre esportazioni di armi è stato il Medio Oriente. L'Italia ha venduto armi per un miliardo e 200 milioni all'Arabia Saudita e per 146 milioni al Qatar, e stipulato un memorandum d'intesa con il Kuwait, che spiana la strada a una commessa di quasi 8 miliardi di euro per 28 caccia Eurofighter prodotti da un consorzio europeo in cui Finmeccanica pesa quasi la metà. Tutti paesi che, secondo il sottosegretario statunitense per il terrorismo e l'intelligence finanziaria, David Cohen costituiscono un «habitat permissivo che consente ai terroristi di alimentarsi».

Gennaio 2016, Amnesty International: «La coalizione saudita continua a usare bombe a grappolo nello Yemen»

Marzo 2016, Yemen: migliaia di cittadini in piazza per la pace

Il 15 agosto 2016, l’ospedale di Abs, nel governatorato di Hajjah in Yemen nord-occidentale, è stato colpito da un attacco aereo che ha ucciso almeno 11 persone e ne ha ferite almeno 19. È il quarto attacco contro una struttura supportata da Medici Senza Frontiere in Yemen in meno di 12 mesi.

Dicembre 2016, dati Istat: tra giugno e settembre 2016 forte aumento delle esportazioni dell’export di “armi e munizioni” dalla Sardegna all’Arabia Saudita

In base ai dati Istat, tra giugno e settembre del 2016 c’è stato un forte aumento dell’export di “armi e munizioni” dalla Sardegna all’Arabia Saudita. Secondo i dati forniti dall’istituto di ricerca nazionale, infatti, in questi tre mesi sono state esportate armi da Cagliari a Riyadh per 20,6 milioni di euro. “A conti fatti – scrive Sardinia Post – 16,8 milioni di euro in più rispetto allo stesso periodo del 2015, quando l’export si era fermato a 3,8 milioni di euro. In altri termini, un aumento del 400%”. Un dato che eguaglia "l'export dell'intero 2015, quando l'isola aveva inviato a Riyadh bombe per un valore di 19,5 milioni di euro".

In un’interrogazione parlamentare del 19 dicembre scorso , il deputato Mauro Pili (Gruppo Misto) ha chiesto chiarimenti su “un carico di bombe senza precedenti caricato la notte dell'8 dicembre 2016 dal porto canale di Cagliari verso l'Arabia Saudita”. “Un’operazione coperta da riservatezza – prosegue il deputato nell’interrogazione – per caricare presumibilmente una cifra non inferiore ai 3.000 ordigni prodotti dalla RWM tedesca in agro di Domusnovas”. Pili ha domandato al governo “se intende assumere iniziative per fermare questo ‘traffico di morte’ dall'Italia verso l'Arabia Saudita”.

Il 15 dicembre, la Rete Italiana per il Disarmo aveva invitato l’esecutivo a interrompere “le forniture dei sistemi militari impiegati dalle forze armate saudite e dai suoi alleati nel conflitto in Yemen, in particolare le bombe aeree che hanno già causato migliaia di morti tra la popolazione civile di quel martoriato paese”. La richiesta è arrivata dopo la decisione degli Stati Uniti di sospendere l’invio di “bombe aeree” e di “munizionamento di precisione” in Arabia Saudita.

Gennaio 2017, Medici Senza Frontiere: «In Yemen l'assistenza sanitaria è sotto assedio»

Settembre 2017, la Camera dei Deputati respinge l'ipotesi di embargo alla fornitura di armi all'Arabia Saudita

Il 19 settembre la Camera dei Deputati ha respinto le tre mozioni di Sinistra Italiana, Movimento Cinque Stelle e Forza italia, che chiedevano di bloccare l’esportazione di armi dall’Italia verso l’Arabia Saudita e tutti i paesi coinvolti nella guerra in Yemen. Sono state invece approvate due mozioni, presentate dal Partito democratico e Scelta Civica, che chiedono di rafforzare il “meccanismo di consultazione periodico dell’Unione europea sul controllo delle esportazioni degli armamenti convenzionali” e di proseguire nei controlli sulle richieste da parte di imprese italiane che chiedono la licenza di esportazione di armi, vietandola in caso di violazioni accertate dagli organismi internazionali.

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Il Parlamento Europeo aveva votato nel febbraio del 2016 una risoluzione nella quale chiedeva all’Alto Rappresentante per la politica estera, Federica Mogherini, di imporre un embargo sulle armi da parte dell’Unione europea nei confronto dell’Arabia Saudita, alla luce delle accuse di violazione del diritto umanitario internazionale nello Yemen. L'invito è stato ribadito il 13 settembre scorso.

«Parlamento e Governo dimostrano lo scarso interesse per il rispetto dei diritti delle vittime di un conflitto violentissimo e illegale, per fare un favore all'industria degli armamenti e all'Arabia Saudita, il paese che riesce a farsi perdonare ogni abuso col peso della sua potenza finanziaria», ha commentato a Repubblica Gianni Rufini, direttore generale di Amnesty International Italia. «La decisione della Camera di rimandare a una generica "linea d'azione condivisa" con gli Stati dell'UE è il classico metodo per guadagnare tempo e rinviare la questione sine die. L'UE si è già espressa tramite il Parlamento Europeo, l'Italia ha sottoscritto nel 2013 il trattato ATT (Arms Trade Treaty) che impedisce la vendita di armamenti ai paesi in conflitto, e la legge italiana 185 del 1990 già prevede questo divieto. Ancora non basta? Le prove indiscutibili dei crimini di guerra e delle brutalità commesse contro la popolazione yemenita evidentemente non sono sufficienti a risvegliare una classe politica ormai priva di riferimenti morali».

Foto antepima MOHAMMED HUWAIS/AFP/Getty Images

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