La Google tax e il futuro dell’informazione in rete
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La guerra delle news
Da tempo la lobby dell'editoria in Germania spinge per l'approvazione della Link tax, meglio conosciuta come Google tax a causa dell'azienda verso la quale la norma è palesemente diretta. Un disegno di legge che nasce da un dibattito molto risalente nel tempo, che potremmo sintetizzare nell'accusa all'azienda di Mountain View di fare profitti con le news dei giornali europei, senza concedere nulla a questi ultimi. Una sorta di furto proletario delle informazioni, un arricchimento a spese di chi quelle notizie le scova, le pensa, le lavora, le produce.
La palese intenzione degli editori europei è di far pagare a Google il “privilegio” di poter inserire quelle notizie sull'aggregatore Google News. La giustificazione di tali richieste è basata su due argomenti: condividere il beneficio finanziario derivante dall'uso delle news da parte degli aggregatori e garantire la presenza online dei giornali altrimenti non sostenibile secondo il modello economico attuale.
Belgio contro Google News
La guerra delle news inizia nel 2006 in Belgio, con gli editori del piccolo paese europeo che tuonano contro il gigante del web. La richiesta è di non “rubare” più le notizie: se Google vuole aggregare le news deve pagare una tassa per pubblicare titoli e link agli articoli. Sì, pagare anche per il solo titolo con link all'articolo!
Un tribunale dà ragione agli editori imponendo a Google una multa per ogni contenuto che avesse pubblicato sui suoi servizi senza pagare. Conseguenza? Google blocca tutti gli articoli di news del Belgio non solo su Google News ma anche sul suo motore di ricerca. Risultato? Le visite ai giornali belgi crollano del 10-20%!
La dura rappresaglia del gigante del web non tarda ad ottenere i suoi frutti, gli editori bastonati spiegano che la loro intenzione non è di essere cancellati dal motore di ricerca, vogliono solo una parte degli introiti di Google News.
In effetti questo era ovvio anche prima, se davvero ciò che premeva agli editori era non essere indicizzati dal motore di ricerca, cioè evitare il “furto”, sarebbe bastato utilizzare gli strumenti a disposizione di ogni webmaster: inserire un'apposita direttiva nel file robots.txt che avrebbe impedito agli spider (gli script dei motori di ricerca che scandagliano i siti web per indicizzarli) di visitare quel portale online.
Insomma, dalla vicenda del Belgio appare piuttosto evidente che la crisi dei giornali e dell'editoria tradizionale sta mordendo sempre di più, e gli editori cercano nuove strade per mantenersi a galla, fosse anche chiedere la mancia alla vacca grassa Google.
Quella vicenda si è conclusa, 6 anni dopo, con un accordo da circa 6,5 milioni di euro, in base al quale Google si adopererà per promuovere i contenuti editoriali dei partner belgi, aumentando i loro ricavi anche tramite abbonamenti premium. Quindi, non perché ne sia tenuta sulla base delle leggi vigenti in Belgio o in Europa, ma quasi una sorta di gentile concessione.
Copyright o concorrenza?
Per comprendere pienamente la querelle si deve precisare innanzitutto che Google News non presenta alcuna pubblicità, per cui l'attività di aggregazione delle news non porta alcun introito diretto a Mountain View, con ciò sconfessando il primo argomento utilizzato dagli editori per spillare soldi a Google. E questo senza contare la possibilità per gli editori di monetizzare gli estratti tramite AdSense (6,5 miliardi di dollari distribuiti agli editori partner nel 2011).
Ma soprattutto si deve tenere presente che Google News non riporta la notizia per intero, ma solo il titolo, un breve estratto (poco meno di 3 righe) e il link alla notizia fonte, sul giornale. Quindi non si può in alcun modo ritenere che si tratti di una rassegna stampa parassitaria (vietata dalla legge), bensì l'elencazione o citazione di articoli (abstracts) con un denominatore comune.
L'unico profilo corretto per un'analisi di questo tipo di attività sembrerebbe, quindi, quello della concorrenza sleale e di un eventuale abuso di posizione dominante. In tale prospettiva, però, anche se la posizione dominante di Google è indubbia - ma è ottenuta lecitamente, senza alcun abuso, almeno a quanto si apprende dalle innumerevoli inchieste dei garanti antritrust europei - il punto è che non sembra affatto che vi sia una riduzione delle visite ai giornali per colpa di Google News. Anzi secondo un recente studio di Pew Research, Google sarebbe responsabile di circa il 30% del traffico totale dei maggiori siti produttori di notizie, veicolando numerosi utenti verso di essi. Per fare un paragone, pensiamo che Facebook ne veicola solo il 3-8%.
Non risulta, quindi, alcun comportamento lesivo della concorrenza, anzi la testata da cui vengono presi i link usufruisce di una forma di pubblicità, come dimostra la vicenda del Belgio.
A riprova di ciò possiamo ricordare che anche il magnate dei media Murdoch, bollando Google come “parassita” e “cleptomane di contenuti”, nel 2009 bloccò l'indicizzazione dei suoi giornali da parte di Google News (ma senza cercare una sponda col legislatore per forzare la mano a Google), per poi tornare sui suoi passi quando si accorse che era meglio essere indicizzati da Google: il valore dei lettori veicolati da Google supera ampiamente la perdita nominale a causa dei link su Google News.
Francia e Germania
A questo punto stupisce, ma non più di tanto, che la medesima questione sia stata sollevata prima in Germania e poi in Francia, con l'Italia alla finestra a seguire gli sviluppi.
Anzi, nei primi due paesi si è pensato addirittura di realizzare una legge che inserisse nella normativa in materia di diritto d'autore un nuovo diritto connesso che prevede l'obbligo per gli aggregatori di pagare una tassa ai produttori di news.
In Francia a dire il vero, alla fine si è scelto la medesima strada del Belgio. Brandendo la minaccia della Link tax, gli editori francesi hanno ottenuto un accordo con Google, in base al quale l'azienda americana finanzierà un fondo per aiutare l'editoria francese e consentirle di innovarsi per il passaggio all'online. È evidente che il peso della Francia è decisamente maggiore rispetto al Belgio, sarebbe stato più complicato per Google procedere con una nuova prova di forza abbandonando il mercato francese. Ma anche stavolta, come per il Belgio, non si tratta di una tassa perenne a favore degli editori, ma di un'entrata una tantum accompagnata da accordi tra aziende.
La Link tax tedesca
In Germania, invece, continua a procedere, anche se lentamente, il disegno di legge sulla Link tax, presentata ad agosto scorso da Cdu e Fdp, e approvato il primo marzo da una delle due Camere.
Ma con una novità. Mentre la prima stesura prevedeva il pagamento di una tassa per l'utilizzo anche di titoli, la norma è stata poi modificata nel senso che l'uso di frammenti (singole parole o brevi estratti di testo) è gratuito. Non è quindi sufficiente il solo titolo per dover pagare la tassa, ma occorre che l'aggregatore utilizzi qualcosa di più di un breve estratto. È abbastanza evidente la parziale marcia indietro. In fin dei conti Google News usa degli estratti. Ma quando si possono definire “brevi”?
La tecnica legislativa con termini generici e di non univoca interpretazione comporterà ovvi problemi in sede di applicazione, con evidenti ricadute sulla certezza del diritto, a questo punto palesemente volute dal legislatore tedesco. Una tale norma sarà levata contro il gigante di Mountain View al fine di trovare un accordo stile franco-belga. Infatti, l'associazione degli editori ha tenuto a chiarire che la legge consente ai portali di stabilire le condizioni alle quali gli aggregatori possono usare le loro news (potrebbero decidere che 3 righe sono troppe!). E se Google non dovesse arrivare ad un accordo, partirà inevitabilmente la caccia al “ladro” di news nei tribunali tedeschi. Toccherà poi ai giudici interpretare l'incerta legge e stabilire quando un estratto è breve, e quindi se Google deve pagare o meno.
Difficile dare risposte concrete adesso: quando si è aggregatori? Alla seconda aggregazione? Alla centesima? Si è aggregatori se si riprendono i link alla fonte oppure anche se si incorporano notizie da altri aggregatori? Insomma, un blog che aggrega news - uno o più link invece saranno esenti - sarà soggetto alla tassa? E le applicazioni per tablet come Flipboard o Pulse? E Facebook?
Ed infine, ma questa in realtà dovrebbe essere la premessa di tutta questa diatriba: se il copyright è un diritto privato che riguarda il singolo autore o editore e non un diritto pubblico, è giusto che un legislatore si ponga il problema di tutelare interessi privati invece di preoccuparsi dei diritti dei cittadini?
Editoria e nuove tecnologie
Tutto questo, quindi, non certo per imporre a Google un rispetto di una qualche legge, visto che finora in Europa tale norma non è stata trovata, e il cinguettare di un solo tribunale belga non ha fatto primavera. Per imporre una tassa a Google si è dovuto mettere mano ad una nuova legislazione che evidentemente non c'era.
Il problema non sembra, inoltre, una perdita di lettori, e quindi di profitti, da parte delle imprese editoriali, una rappresentazione della realtà che fa il paio della mai realmente dimostrata argomentazione principe dell'industria del copyright in relazione alla pirateria, anzi appare evidente che Google News porti lettori agli editori più che sottrarne.
In conclusione l'unico motivo alla base di tutto questo appare niente altro che un tentativo di scaricare il costo dell'innovazione, e quindi del cambiamento del modello di business dell'editoria, su qualcun altro dalla tasca capiente, quel Google che è un successo proprio perché ha fatto dell'innovazione la sua bandiera, adeguandosi tempestivamente alle nuove istanze che vengono dal mercato, a differenza dell'industria dell'editoria che oggi si trova costretta all'angolo dalle nuove tecnologie. Insomma, la solita vecchia storia del commerciante di ghiaccio al tempo dei frigoriferi, laddove lo Stato, europeo, si pone al fianco dell'azienda, europea, creando gli strumenti ad hoc - la Link tax - per tenere alle porte lo straniero che ruba il lavoro - le news -.
E mentre negli Usa, invece, ci si batte a colpi di concorrenza - vedi vicenda Murdoch -, e in Brasile i giornali abbandonando in massa Google News impedendo la loro indicizzazione, qui in Europa i governi cercano di imporre l'innovazione dell'editoria a carico di Google, che nonostante le tasche capienti un giorno si potrebbe trovare, se dovrà pagare una tassa o dovesse arrivare ad un accordo con tutti gli editori europei, in difficoltà e quindi decidere come scaricare quel costo sugli utenti. E in quel momento la guerra delle news sarà vinta dagli editori, i quali, invece di procedere ad una improcrastinabile adeguamento alle nuove tecnologie, si ritroveranno a poter gestire una sempre maggiore scarsità di notizie da vendere a prezzi sempre più alti. Chi ne pagherà il costo, in termini economici e di ridotta informazione?
Con il rischio concreto che per proteggere i monopoli editoriali locali, i governi europei finiranno per trasferirli sotto un nuovo monopolio. La nuova editoria online nascerà, attraverso accordi di partenariato, sotto l'ombrello protettivo di mamma Google.