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La rivolta della Generazione Z in Kenya contro la corruzione e le politiche inique del governo

3 Luglio 2024 7 min lettura

La rivolta della Generazione Z in Kenya contro la corruzione e le politiche inique del governo

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L’Africa ha bisogno di una rivoluzione nella leadership – non solo da parte dei politici che governano, ma di una cittadinanza attiva che collochi il proprio paese al di sopra dei bisogni ristretti del proprio gruppo etnico o comunità. – Scriveva così l’attivista e politica kenyana Wangari Maathai, premio Nobel per la Pace (2004) in The challenge of Africa pubblicato nel 2010. Un auspicio, una spinta propositiva all’azione che dopo anni sembra stia prendendo forma.

Siamo portatori di cambiamento, non ribelli. È uno dei tanti messaggi diffusi tra le strade e sui social media dai giovani che da oltre due settimane hanno fatto capire non solo ai leader del proprio paese, il Kenya, ma al mondo intero che le logiche del passato non possono più funzionare. Logiche che prevedono decisioni politiche che partono dall’alto e che non tengono in alcun conto i bisogni e i problemi reali delle popolazioni. 

A farlo capire è stata la cosiddetta Generazione Z. Poco più che adolescenti e giovani adulti profondamente diversi dai loro nonni e dai loro padri. Giovani, in genere, con un grado di istruzione più alto dei loro genitori, che vivono in una società globalizzata, che si confrontano tra loro e la gioventù di altri paesi attraverso la Rete e che sono sempre meno disposti ad accettare le decisioni dei leader, se queste decisioni non incontrano le loro necessità o, peggio, finiscono per sabotarle. Non va dimenticato che la popolazione del Kenya - composta da oltre 56 milioni di persone – ha una età media di 19,6 anni, il 39% della popolazione ha meno di 15 anni e l’80% è sotto i 35. Una popolazione che si sta rapidamente e inevitabilmente urbanizzando. 

Sono questi i ragazzi che hanno superato divisioni etniche e regionali – le proteste hanno interessato 35 sulle 47 contee che compongono il paese, persino la Rift Valley che aveva assicurato un gran numero di voti per William Ruto nelle elezioni dell’agosto 2022 che lo avevano portato alla presidenza. Sono questi i ragazzi che oggi lo hanno sfidato e si sono opposti a una manovra finanziaria che, tra le altre cose, proporrebbe numerosi aumenti delle tasse, per un totale di 2,7 miliardi dollari. 

Misure impopolari e che addirittura avrebbero previsto un’imposta del 16% sul pane e del 25% sull’olio da cucina. Una scelta necessaria – si era detto – per affrontare in modo più consistente la questione del debito pubblico del paese che ammonta a 82,1 miliardi di dollari (il suo più grande creditore bilaterale è la Cina, alla quale deve 5,7 miliardi di dollari). Una cifra enorme pari al 68% del PIL, ben al di sopra del massimo raccomandato dalla Banca Mondiale e dal Fondo Monetario Internazionale (55%). Gli aumenti fiscali miravano a evitare il default e sono arrivati ​​dopo un accordo, stretto all’inizio di giugno, tra il Kenya e l’FMI su un pacchetto completo di riforme. 

Ma i giovani – che durante le manifestazioni hanno scandito slogan anche contro l’FMI – non ci stanno a pagare i conti di politiche sbagliate, di cattiva gestione, di uso improprio delle risorse. Tanto per dirne una, nel disegno di legge, il vicepresidente Rigathi Gachagua aveva richiesto una cifra pari a 20 milioni di dollari per rinnovare i suoi uffici. E non ci stanno, questi giovani, ad accettare, tenendo bassa la testa, un sistema con livelli di corruzione troppo alti per poter essere ancora tollerati. 

Qualche anno fa la EACC (Ethics and Anti-Corruption Commission)dichiarò che il Kenya perde ogni anno circa 6 miliardi di dollari, pari a un terzo del budget dello Stato, a causa della corruzione. Un sistema che tocca ogni livello, compresa la polizia che nei giorni scorsi si è accanita contro i manifestanti. Soprattutto nella giornata del 25 giugno – il giorno dell’assalto al Parlamento - quando le forze dell’ordine hanno sparato sulle persone che protestavano. Una giornata che non sarà dimenticata. 39 morti - tra cui un bambino di 12 anni colpito da un proiettile vagante – 361 feriti, rapimenti, arresti arbitrari  (e 270 sono quelli finiti in carcere perché secondo la polizia si tratterebbe di criminali infiltrati nelle manifestazioni), proprietà distrutte. Sono i dati ufficiali della KNCHR (Kenya National Commission of Human Rights). E anche i giornalisti presi di mira, insultati, picchiati. Mentre l’IPA (International Press Institute) sottolinea che nonostante le rassicurazioni fornite il 24 giugno dall’Autorità per le Comunicazioni del Kenya che non ci sarebbero state ripercussioni sull’accesso a Internet, si sono verificate invece interruzioni della connessione lasciando milioni di persone prive di informazioni e della possibilità di comunicare. 

Non ho le mani sporche di sangue”, ha poi dichiarato il presidente Ruto. Come se non fosse lui a nominare sia il capo del Kenya Police Service, sia l’ispettore generale del National Police Service. Dopotutto l’uso della forza eccessiva da parte delle forze dell’ordine non è una novità nel paese. “Serving the regime” è il titolo di un lavoro che analizza le proteste politiche in Kenya nel ventennio che va dal 1990 al 2010 e che mostra quanto e come i regimi abbiano usato la polizia per reprimere proteste e opposizione e per mantenersi al potere. Polizia che spesso agisce impunemente proprio perché è protetta dall’élite che guida il paese, così come è stato tante volte denunciato. 

In ogni caso, il presidente Ruto ha fatto un passo indietro, rifiutando di firmare la manovra finanziaria, rispedita di nuovo in Parlamento. Allo stesso tempo ha annunciato misure di austerity, a partire dalla riduzione delle spese dell’Ufficio di presidenza e di instaurare un dialogo con la GenZ. Che tra l’altro in questi giorni ha sempre tenuto a sottolineare di essere leaderless, di non avere un capo, cioè. 

Quanto si fidino delle parole del Capo di Stato i giovani lo stanno dimostrando continuando a restare in piazza – nonostante le azioni di forza della polizia e l’uso di lacrimogeni - e alzando di fatto la posta: “Ruto must go”. Sono le dimissioni del presidente che oggi chiedono. E cambiamenti profondi nelle istituzioni e nella società. La consegna è #OccupyEverywere

Del resto, cosa hanno da perdere? La disoccupazione giovanile in Kenya raggiunge il 35% rispetto al tasso di disoccupazione nazionale complessivo che sarebbe del 10%. I dati dell’Ufficio di presidenza parlano di 31,45% sottoccupati o disoccupati sul totale della forza di lavoro attiva, ma siamo lì. E coloro che hanno un’occupazione nella fascia tra i 15 e i 35 anni guadagnano un salario medio di 6.000 scellini, pari a poco più di 43 euro. 

È il settore informale che genera circa l’80% del lavoro e non stupisce quindi l’alto tasso di povertà tra la popolazione, il 26% dei lavoratori kenyani rientra nella categoria di povertà dell’ILO. E mentre il settore privato, da cui soprattutto e naturalmente ci si aspettano posti di lavoro, lamenta la difficoltà di andare avanti per mancanza di incentivi da parte dello Stato, rimane assai diffusa l’“abitudine” di chiedere e pagare mazzette per accedere ai settori pubblici.

Una recente inchiesta ha mostrato che i cittadini kenyani hanno pagato fino a 200.000 scellini in tangenti (quasi 1.500 euro) per assicurarsi un impiego. L’inchiesta ha rilevato persino un aumento dell'importo minimo accettabile della tangente. La somma maggiore è per entrare nella National Transport and safety Authority (una media di 590 euro). Seguono la magistratura, gli uffici governativi delle contee, la polizia dove la tangente media è di soli 148 euro. Anche ottenere un passaporto deve passare dallo scambio di mazzette, in questo caso almeno 70.000 scellini (509 euro). Una consuetudine che non riguarda solo il Kenya ma la maggior parte dei paesi africani (per non dire tutti) ma che, ovviamente, oggi in questo paese si somma a tutte quelle cose di cui i giovani sono stanchi. Di spese folli – come il dispendioso pranzo con le altre first ladies africane nella State House a Nairobi voluto da Rachel Ruto per festeggiare un anno di presidenza. O l’uso di un jet privato nella disponibilità del presidente e di 30 accompagnatori per la visita in maggio negli USA (costo stimato in 1.5 milioni di dollari) o di quei parlamentari che postano nuove e costose auto o altri lussuosi e vari acquisti o proprietà sui social media. 

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A proposito di uso della Rete, quest’ultima è stata la grande protagonista dell’attivismo della generazione scesa per le strade. Del resto, nel gennaio 2024 il Kenya, secondo Statista, ha registrato circa 63,9 milioni di connessioni mobili, cifra che corrisponde al 118,7% della popolazione del paese. Questo significa che le persone usano più connessioni mentre la penetrazione di Internet è pari al 40,8% sul totale della popolazione. Uno spazio digitale che per quanto rimanga sotto i riflettori della censura alla fine non può essere limitato a lungo o del tutto. I giovani stanno tra l'altro facendo ampio uso dell'Intelligenza Artificiale, come riporta Semafor. Nelle ultime settimane, infatti, i manifestanti hanno sperimentato usi creativi dell’AI e degli strumenti digitali per sfidare l’establishment politico. Tra gli strumenti di intelligenza artificiale ampiamente condivisi si citano il Corrupt Politicians GPT - un chatbot che rivela casi di corruzione che coinvolgono politici kenyani - e Finance Bill GPT, che aiuta ad analizzare il controverso disegno di legge e il suo potenziale impatto sui prezzi e che condivide anche i numeri di telefono dei legislatori. Inoltre, i manifestanti hanno creato e condiviso un database di aziende possedute da politici, e un altro chatbot con i contributi degli esponenti politici ai dibattiti parlamentari.

La Gen Z, intanto, ha vinto una battaglia in Kenya. Come andrà prossimamente non è facile prevederlo. Certo è che si è creato un precedente che non solo non potrà essere ignorato ma che sta ad indicare la misura (o almeno la necessità) di un cambiamento di relazioni tra il potere e la popolazione. Soprattutto e prima di tutto, la popolazione giovanile. E chiudiamo riprendendo ancora le parole di Wangari Maathai: “La rivoluzione che propongo richiede lo sviluppo di politiche che operino a beneficio di tutti i cittadini piuttosto che a vantaggio di pochi”.

Immagine in anteprima: frame video Sky News via YouTube

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