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In questo enorme buio che ci circonda

7 Maggio 2013 3 min lettura

In questo enorme buio che ci circonda

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La natura in La lucina, romanzo di Antonio Moresco, non è la «matrigna crudele» contro cui si scagliava Leopardi. E non è nemmeno quell'idillio - a conti fatti illusorio - di Into the wild, film riassumibile in «Natura 1 - Uomo 0». È invece una vastità vertiginosa - dal microscopico all'infinito cosmico - di forze che esistono confliggendo e che confliggendo esistono. È l'insetto catturato in volo dalla rondine urlante, smembrato e stritolato mentre questa risale nel cielo, il quale è solo una porzione offerta allo sguardo umano.

Il protagonista del romanzo si rapporta alla natura perché vuole sparire, come annuncia nell'incipit: «sono venuto qui per sparire, in questo borgo abbandonato e deserto di cui sono l'unico abitante». Esule da se stesso, nelle peregrinazioni quotidiane lo stupore per la flora, la fauna e le forze naturali è all'insegna di un mistero senza risposte, che riguarda il senso di ogni vita in qualunque forma:

"Perché c'è tutto questo sottobosco cattivo?" mi domando. "Che cerca di avviluppare e di cancellare e di soffocare gli alberi più grandi? Perché tutta questa misera e disperata ferocia che sfigura ogni cosa? Perché tutto questo brulicare di corpi che cercano di prosciugare gli altri corpi suggendoli con le loro mille e mille scatenate radici e le loro piccole, forsennate ventose, per dirottarne su di sé la potenza chimica, per creare nuovi fronti vegetali in grado di annientare tutto, di massacrare tutto? Dove posso andare per non vedere più questo scempio, questa irreparabile e cieca torsione che hanno chiamato vita?"

I fenomeni più immediati e le azioni sono espresse con uno stile asciutto e referenziale («la mia giornata comincia presto»,  «oggi ho fatto un incontro» «ho girato leggermente la testa. Il cane mi stava seguendo»), prontamente travolto dalle meditazioni. Questo avviene sia per ciò che è vasto, come per l'appunto la vegetazione, ma investe anche ciò che è piccolo, ad esempio le lucciole:

che forza avete per potervi accendere e trasfigurare così? [...] E per quale ragione, se poi scomparite subito dopo, venite annientate, se non vi si vede più per il resto dell'anno, vivete poche settimane soltanto, uscite da chissà dove e vi mettete a volare a migliaia facendo pulsare il buio di questa notte che ci circonda? Perché? [...] Per continuare a riprodurvi? Ma perché? Perché altri essere come voi possano continuare a riprodursi e a volare per poche settimane, per pochi istanti, in questo enorme buio che ci circonda?

La «lucina» del titolo è quella che il protagonista vede dalla finestra, di notte, e su cui indaga fino a scoprirne l'origine: è di una casa dove abita un bambino. E nel rapporto con questo bambino, inspiegabilmente solo, gli interrogativi senza risposta trovano la possibilità di un'esperienza, un oltre. Occorre solo scansare la tentazione del facile razionalismo o della certezza materiale a portate di mano, aspetti incarnati dal personaggio dell'ufologo, convinto senza troppi problemi che il bambino sia un alieno: «guardi che gli alieni non sono come li fanno vedere nei film! Possono anche assumere un aspetto assolutamente umano. Non li si distingue dagli altri. Chissà quanti ce ne sono già, in mezzo a noi!».

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La vertigine cosmica sembra così placarsi: nel rapporto col bambino prevale lo stupore, sottolineato dalle numerose esclamative dei dialoghi che enfatizzano anche aspetti quotidiani. È come se, nella vocalizzazione, la vita venisse scoperta per la prima volta, o si evidenziassero significati altrimenti inaccessibili:

«E i capelli?» mi è venuto in mente di chiedergli. «Chi ti taglia i capelli?»
«Me li taglio io!» mi ha risposto.
«Ah, sì? E come fai?»
«Col rasoio elettrico!»
«Ma va'! Non ci credo!»

La lucina è un romanzo in cui bisogna entrare pronti ad andare oltre ogni parola. Ciascun elemento tiene insieme il suo opposto e sospende qualunque senso di paradosso o straniamento. È impressionante, ad esempio la naturalezza con cui Moresco fa dialogare il protagonista con le rondini, violando ogni apparente realismo descrittivo e mostrandone dunque la vera essenza, tutta verticale. Vita e morte sono compresenti e non si negano a vicenda: se l'uomo le soffre come esperienze separate, la letteratura è lo spazio per eccellenza in cui mostrare «ogni cosa dentro lo stesso cerchio del dolore creato».

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