Il rimborso Imu e l’analfabetismo di ritorno
4 min letturaIn alcuni Caf si sono arresi: hanno messo fuori un cartello e rilasciato comunicati stampa per dire ai pensionati che si presentavano con la lettera di propaganda di Berlusconi e chiedevano notizie su come ottenere il rimborso dell'IMU che il rimborso assicurato da Silvio è solo l'ennesima promessa elettorale, e quello ricevuto a casa, anche se si presenta come un “Avviso” istituzionale, in realtà è soltanto uno dei tanti volantini elettorali di propaganda, il cui valore è nullo.
Sui vecchietti che si lasciano abbindolare in buona fede è difficile fare dell'ironia. Soprattutto perché, volenti o nolenti, dobbiamo accettare che essi sono lo specchio del paese, anzi probabilmente rappresentano appena la punta dell'iceberg: perché l'Italia, prima ancora che un paese di boccaloni pronti a credere ad ogni promessa elettorale, è, molto più semplicemente, un paese di analfabeti.
Già l'anno scorso il linguista Tullio de Mauro ha lanciato l'allarme: il 70% dei nostri connazionali non è in grado di capire il senso di un testo anche molto semplice: non si tratta di analfabeti “vecchia maniera”, quelli che non sapevano leggere e scrivere e venivano ai bei tempi andati presi in cura dal maestro Manzi: no, si tratta di persone che sono in possesso di una istruzione elementare, spesso – purtroppo – anche di attestato di terza media e persino di diplomi di scuola superiore. Ma messi di fronte ad un testo anche molto semplice – un articolo di giornale, il programma elettorale di un partito, un passo di romanzo – sono in grado di leggerlo ma non di capirne il senso.
I vecchietti che hanno scambiato il volantino berlusconiano per un reale avviso del Governo sono analfabeti di questo tipo: letto il testo, non ne hanno capito il senso, e non sono stati in grado di rendersi conto che non si trattava di un comunicato ufficiale, ma di propaganda. Da qui la corsa alle poste o al Caf per sapere quali moduli compilare per avere indietro i soldi dell'IMU.
Oggi in una videointervista a il Fatto Quotidiano De Mauro è tornato a sottolineare i problemi che una situazione culturale così devastante comporta per la democrazia in questo paese: sette italiani su dieci non sono semplicemente in grado di capire cosa viene loro detto e spiegato dagli organi di informazione, anche nel caso che questi facciano realmente – e accade di rado – un buon servizio. Un grafico di Ballarò, un approfondimento della Gabanelli, persino una scheda di Piero Angela risultano per loro assolutamente incomprensibili. Non sono il grado di valutare se nelle affermazioni del politico X ci sono contraddizioni, né di seguire ragionamenti complessi o decodificare alcun tipo di linguaggio tecnico: il risultato è che prendono decisioni sul voto da dare a questo o a quel partito sulla base della simpatia personale e istintiva verso questo o quel leader, o, peggio ancora, scelgono di votare il leader che usa slogan elementari, perché quelli sono l'unica comunicazione che essi sono in grado di comprendere.
In un periodo storico in cui al cittadino medio viene chiesto di votare su argomenti complessi, che richiederebbero un approfondimento notevole e una buona dose di senso critico per vagliare la reale portata e le implicazioni delle proposte dei vari partiti, il 70% degli Italiani non capisce, molto banalmente, nemmeno di che cosa si stia parlando.
Un simile disastro culturale inficia, in pratica, persino la validità delle scelte: gli elettori non hanno strumenti per esprimere un voto veramente libero, dal momento che manco sono in grado di sapere, di preciso, su che cosa debbano decidere. Persino l'avvento di internet e il moltiplicarsi dei canali di informazione in questo senso non può essere sufficiente ad una svolta: gli elettori senza strumenti linguistici possono anche vivere collegati alla rete e leggere centinaia di siti ogni giorno, ma, dal momento che non sono in grado di capire bene cosa leggono, o di rendersi conto se l'informazione che viene loro data in rete è buona o è una bufala, la situazione non cambia. L'incapacità di lettura, peraltro, è trasversale: non vi è più una classe di “poveri” che non capisce perché non ha avuto accesso allo scuole. Anche diplomati e persino laureati dimostrano spesso seri problemi nella valutazione e nella comprensione di testi semplici.
De Mauro giustamente sottolinea come il livello linguistico basso dei cittadini italiani a questo punto non è più solo un problema culturale. Si tratta infatti di un macigno che rischia di impedire qualsiasi tipo di sviluppo, democratico, ma anche economico. Un popolo che non sa leggere e capire quello che legge non ha nessuna possibilità di fare scelte consapevoli e razionali sul proprio futuro, di recepire nuove idee e di rielaborarle.
De Mauro accusa il “potere” di aver sempre tagliato in questi anni fondi alla scuola, perché per una classe dominante, in buona sostanza, un popolo ignorante che si può manovrare a suon di slogan è un sogno perfetto. Ma del disastro culturale italiano non solo la vecchia “classe dominante” è responsabile: c'è stata complicità a tutti i livelli, soprattutto fra coloro che hanno scambiato il diritto allo studio per un diritto generalizzato al “titolo di studio”, e, invece di investire, e pretendere che venissero fatti investimenti, in una scuola piena di docenti motivati e qualificati e che desse una vera formazione agli alunni, hanno preferito garantire a tutti un pezzo di carta senza valore come contentino.
Uscire da una situazione così tragica però è un problema arduo. Non è soltanto trovare i fondi per la digitalizzazione della scuola, o fare proposte bizzarre per costringere gli insegnanti a fare più ore di lezioni: significa che bisogna ripensare dalle fondamenta il sistema della istruzione e della formazione. Perché sette italiani su dieci che non sanno in pratica leggere non sono un problema culturale. Sono un problema politico ed economico. Per tutti.
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