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“Questa è la fine di Hong Kong”

28 Maggio 2020 19 min lettura

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“Questa è la fine di Hong Kong”

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Il parlamento cinese approva la mozione che introduce la legge sulla sicurezza nazionale a Hong Kong

Aggiornamento 28 maggio 2020: Con 2.878 voti favorevoli, uno contrario e sei astensioni, il parlamento cinese ha approvato la mozione che prevede l'introduzione di una legge sulla sicurezza nazionale a Hong Kong che aumenterà drasticamente il potere di Pechino sulla Regione e che potrebbe pregiudicare il suo status di capitale finanziaria internazionale.

La proposta di legge passa ora al Comitato permanente che provvederà alla stesura, anche se i contenuti sono già ben definiti.

In base al nuovo provvedimento le proteste pro-democrazia che hanno caratterizzato gran parte del 2019 saranno considerate attività secessioniste che mirano alla sovversione del potere statale.

Il piano della Cina di imporre una nuova legge sulla sicurezza a Hong Kong "colpirà solo un gruppo ristretto di trasgressori". Con queste parole Carrie Lam, capo dell'esecutivo di Hong Kong, ha cercato di rassicurare martedì 26 maggio residenti, investitori e imprese preoccupati dalla proposta di Pechino di approvare un provvedimento che mira a contrastare "secessione, sovversione, terrorismo e interferenze straniere" nella Regione semi-autonoma.

L'annuncio dell'introduzione della nuova legge - che sarà proposta e approvata da Pechino senza essere sottoposta al Consiglio legislativo di Hong Kong - ha provocato venerdì scorso il più grande calo della borsa della città degli ultimi cinque anni e ha spinto a scendere in piazza - nuovamente - domenica 24 maggio migliaia di manifestanti che hanno ripopolato le strade mai del tutto abbandonate se non per il lockdown dovuto al diffondersi del COVID-19.

Lam ha così liquidato come “totalmente infondati” i timori che le libertà della città siano attualmente a rischio.

«Le libertà di Hong Kong saranno preservate e la vitalità e i valori fondamentali come lo stato di diritto, l'indipendenza della magistratura, le varie norme e le libertà di cui godono le persone, continueranno a permanere», ha detto ai giornalisti.

La legge proposta, ha affermato, "protegge la stragrande maggioranza dei residenti rispettosi della legge e amanti della pace".

«Non c'è bisogno di preoccuparsi - ha proseguito - perché negli ultimi 23 anni, tutte le volte che le persone si sono preoccupate per la libertà di parola, di espressione e di protesta, Hong Kong ha dimostrato di sostenere e preservare quei valori. Per cui penso che la cosa migliore sia prendere atto di questa legge e comprendere il motivo per cui Hong Kong abbia bisogno di questo provvedimento legislativo che rappresenterà un enorme beneficio per la grande maggioranza della popolazione di Hong Kong».

Alla domanda di un giornalista se la nuova legge sulla sicurezza consentirà alla polizia cinese di arrestare i manifestanti, Lam ha replicato dicendo "è [solo] la sua immaginazione", ribadendo che le proteste antigovernative continueranno a essere autorizzate "se saranno organizzate in base a quanto previsto dalla legge".

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L'attacco di Pechino

“Mentre il mondo era distratto, Pechino ha riscritto le regole di Hong Kong a una velocità sorprendente”, titola un articolo di Mary Huy pubblicato su Quartz.

Infatti, appena l'attenzione è calata e le contestazioni dei manifestanti diminuite a causa della pandemia del nuovo coronavirus, le autorità cinesi hanno iniziato a muoversi per ottenere sempre più controllo su Hong Kong, anche in previsione delle prossime elezioni di settembre per il rinnovo del Consiglio legislativo dell'ex colonia britannica che potrebbero decretare la vittoria dei candidati pro-democrazia.

Appena dieci giorni dopo la revoca del lockdown di Wuhan - la città al centro dell'epidemia - la Cina ha iniziato a dirigere la sua attenzione su Hong Kong, mentre il resto del mondo era alle prese con gli effetti devastanti del COVID-19. Ma qualche segnale era stato colto già prima.

Il 14 aprile tre dei giudici più eminenti di Hong Kong - che hanno mantenuto l'anonimato - hanno dichiarato alla Reuters che la magistratura indipendente era in lotta per la sopravvivenza.

Lo sforzo di Pechino di ostacolare la magistratura, secondo quanto sostenuto da vari giudici, avvocati e diplomatici di spicco di Hong Kong, sarebbe avvenuto su più fronti. La stampa controllata dalla Cina ha avvertito i giudici di Hong Kong di non "assolvere" i manifestanti arrestati durante le manifestazioni dello scorso anno.

Giudici e avvocati erano concordi nell'affermare che già da un po' di tempo Pechino stesse cercando di limitare l'attività dei tribunali di Hong Kong su questioni costituzionali fondamentali. Alcune persone vicine al giudice capo della città, Geoffrey Ma, avrebbero rivelato che l'uomo ha dovuto fare i conti con i funzionari del Partito Comunista che vuole che lo stato di diritto sia uno strumento per preservare un governo formato da un unico partito.

Con una dichiarazione Ma ha poi negato di aver mai subito pressioni.

Come racconta Mary Huy su Quartz, il primo passo “ufficiale” è stato compiuto il 17 aprile quando l'Ufficio cinese di collegamento a Hong Kong ha affermato di avere la piena autorità di intervenire negli affari della Regione.

In una dichiarazione, in cui confutava le accuse che stesse interferendo nelle questioni della città, l'autorità cinese più importante di Hong Kong ha affermato di avere la responsabilità e il diritto di "sorvegliare" il modo in cui il principio "un paese, due sistemi" - garantito dalla Cina al momento del passaggio dell'ex colonia britannica nel 1997 che consente l'autonomia di Hong Kong per un periodo di transizione di 50 anni - viene attuato.

Quello del 17 aprile era il secondo intervento (il primo era avvenuto il 14 aprile) dell'Ufficio di collegamento del governo centrale nell'arco di una settimana (insieme a quelli dell'Ufficio per gli Affari di Hong Kong e Macao (HKMAO) e del rappresentante del ministero degli Affari esteri, combinazione assai rara secondo gli analisti), finalizzato al controllo del Comitato del Consiglio legislativo di Hong Kong che stabilisce l'ordine del giorno delle riunioni settimanali e fissa il voto finale sui provvedimenti di legge.

Dallo scorso ottobre, infatti, fino al 18 maggio il Comitato non era riuscito a eleggere il proprio presidente. Nell'arco di questo periodo le sedute sono state presiedute dal membro del partito di opposizione Civic Party, nonché ex vicepresidente del Comitato, Dennis Kwok, accusato di sabotare i lavori per impedire la nomina di Starry Lee, esponente della maggioranza governativa.

Il giorno successivo, il 18 aprile, quindici personalità di spicco del movimento democratico - tra cui l’81enne Martin Lee, uno dei padri della Legge fondamentale di Hong Kong - sono state arrestate per le attività svolte durante le proteste dello scorso anno.

L'ordine sarebbe arrivato da Luo Huining, “uomo del presidente della Repubblica popolare cinese Xi Jinping”, nominato a gennaio scorso direttore dell'Ufficio di collegamento, a cui sarebbe stato affidato il mandato di ripristinare l'ordine nell'ex colonia britannica.

Le autorità di Hong Kong hanno prontamente dichiarato che gli arresti non sono avvenuti per motivi politici.

Qualche giorno dopo, apprezzamenti sull'operazione sono stati espressi dall'Ufficio per gli Affari di Hong Kong e Macao che ha manifestato sostegno, condannando oppositori e politici.

“Nel giro di cinque giorni - prosegue Huy su Quartz - le regole di ingaggio tra Pechino e Hong Kong sono state completamente riscritte”.

Lunedì 20 aprile, in risposta a tre dichiarazioni rilasciate due giorni prima dal governo di Hong Kong - sulle competenze dell'Ufficio di collegamento - e dall'Ufficio per gli Affari di Hong Kong e Macao, l'Ordine degli avvocati della città ha specificato in una nota che, in base all'articolo 22 della mini Costituzione (Basic Law - Legge Fondamentale), le due entità di Pechino presenti sul territorio non possono avere alcuna voce in capitolo sugli affari interni della Regione.

A sostegno di quanto affermato il gruppo di avvocati ha menzionato sia un documento risalente al 2017 del Legco (il parlamento di Hong Kong) che prevede la subordinazione degli uffici all'articolo 22, che una dichiarazione del 2018 di Patrick Nip, segretario per gli Affari Costituzionali e per la Cina, che afferma che l'Ufficio di collegamento "come sempre, seguirà le leggi della Regione amministrativa speciale di Hong Kong, in base a quanto sancito dall'articolo 22 della Legge Fondamentale".

La legge sulla sicurezza

Il 15 aprile scorso, Luo Huining ha sollecitato il governo di Hong Kong ad adottare una legge sulla sicurezza nazionale poiché forze straniere "stavano interferendo profondamente" negli affari della città. Va ricordato che tutte le richieste di democrazia che la popolazione di Hong Kong ha espresso negli ultimi anni sono sempre state viste da Pechino come manipolazioni da parte di "forze straniere".

In un discorso pronunciato in occasione della Giornata di educazione alla sicurezza nazionale della Cina, Luo ha affermato che il movimento democratico di Hong Kong, influenzato dalle forze indipendentiste e radicali violente, ha rappresentato un "duro colpo" per lo stato di diritto, mettendo a repentaglio il principio “un paese, due sistemi”.

«Se il formicaio che erode la funzione dello stato di diritto non viene eliminato, la diga della sicurezza nazionale verrà distrutta e il benessere di tutti i residenti di Hong Kong sarà danneggiato», ha dichiarato.

Il direttore dell'Ufficio di collegamento ha poi aggiunto che al più presto si sarebbero dovuti compiere sforzi per ovviare alle lacune del sistema legale della Regione e ai meccanismi di controllo per la salvaguardia della sicurezza nazionale, in particolare approvando la legislazione dell'articolo 23 a lungo sospesa e altamente controversa.

L'articolo 23 della mini Costituzione sancisce che Hong Kong "dovrà per parte sua emanare leggi per vietare qualsiasi atto di tradimento, secessione, sedizione, sovversione contro il governo popolare centrale o furti di segreti di Stato" e proibire varie forme di interferenze politiche straniere.

Nel 2003, un tentativo di approvare queste leggi ha scatenato proteste di massa tra la popolazione della Regione semi-autonoma che hanno spinto le autorità ad accantonare temporaneamente i provvedimenti.

Da allora non è stato compiuto alcun passo fino al 21 maggio, data in cui si è appreso ufficialmente che la Cina ha in programma l'approvazione della risoluzione sulla legge sulla sicurezza nazionale di Hong Kong durante l'annuale Congresso Nazionale del Popolo che si è aperto venerdì 22 maggio (tre mesi dopo la data prevista a causa della pandemia).

«La sicurezza nazionale è il fondamento alla base della stabilità del paese», ha dichiarato Zhang Yesui, portavoce del Congresso - secondo quanto riportato dal Guardian - assicurando che i circa tremila delegati partecipanti avrebbero “stabilito e migliorato un assetto e un meccanismo legali per la salvaguardia della sicurezza nazionale” di Hong Kong.

Approvare una risoluzione sulla legge nel corso del Congresso Nazionale del Popolo consentirà così alle autorità cinesi di aggirare l'opposizione locale. Il provvedimento, illustrato nel giorno di apertura del Congresso da Wang Chen, vicepresidente del Comitato permanente - che prevede tra l'altro l'istituzione di agenzie di sicurezza nazionali a Hong Kong, la promozione dell'educazione alla sicurezza nazionale e la presentazione periodica di relazioni al governo centrale - non sarà infatti vagliato dal parlamento locale. La risoluzione che darà ufficialmente il via all'iter legislativo sarà votata il 28 maggio per poi passare al Comitato permanente dell'Assemblea nazionale.

«Questa è la fine di Hong Kong. Questa è la fine del principio “un paese, due sistemi”», ha commentato Dennis Kwok. «Pechino, con il governo centrale, ha completamente violato la promessa fatta al popolo di Hong Kong. Sta compiendo una totale marcia indietro rispetto ai propri obblighi».

Osservatori e sostenitori dei diritti umani temono che la legge sarà utilizzata per colpire gli oppositori del governo centrale limitando, inoltre, i diritti civili tra cui la libertà di opinione e quella di riunione.

Nell'ultimo anno sia le autorità di Hong Kong che quelle cinesi hanno spesso descritto i manifestanti come terroristi. Lo scorso 6 maggio l'Ufficio per gli Affari di Hong Kong e Macao li ha definiti un "virus politico" e ha affermato che la città semi-autonoma non sarà mai calma fino a quando i manifestanti "velenosi" e "violenti" vestiti di nero non saranno eliminati.

«L'ovvia preoccupazione è dovuta al fatto che abbiamo visto come la "sicurezza nazionale" e questioni correlate come la "lotta al terrorismo" siano usate in Cina come scusa per ogni sorta di violazione dei diritti umani, inclusi l'arresto arbitrario e la reclusione di dissidenti, attivisti e avvocati dei diritti umani», ha dichiarato al Guardian Wilson Leung, avvocato di Hong Kong e membro dell'associazione degli avvocati progressisti.

Secondo gli esperti legali, i legislatori cinesi potranno far rispettare la legge che approveranno ricorrendo all'articolo 18 della Legge Fondamentale che consente l'applicazione nella Regione di Hong Kong di alcuni provvedimenti promulgati nella Cina continentale.

Martin Lee, fondatore del Partito Democratico e decano degli avvocati, che ha contribuito a redigere la Legge Fondamentale, ha affermato che bisogna rimanere aderenti a quanto previsto dal documento secondo cui Hong Kong “dovrà per parte sua emanare" le leggi sulla sicurezza nazionale, sottolineando così l'interferenza di Pechino.

«Questa è una palese violazione della loro promessa, hanno cambiato completamente le cose», ha detto. «È una procedura sbagliata», riferendosi all'articolo 18 della mini Costituzione che secondo il suo parere trova applicazione soltanto relativamente alle leggi nazionali riguardanti la Cina, non a quelle che si riferiscono specificamente a Hong Kong. «Se si stabilisce questo precedente, non sarà più necessario [a Hong Kong] un Consiglio legislativo», ha concluso.

Le reazioni nel mondo

Stati Uniti, Australia, Gran Bretagna, Canada e Unione Europea hanno espresso unanime preoccupazione per la decisione di Pechino.

Dopo che il segretario di Stato americano Mike Pompeo aveva paragonato la proposta cinese a "una campana a morto per l'alto grado di autonomia" che Pechino aveva promesso all'ex colonia britannica nel 1997 e che il presidente degli Stati Uniti Donald Trump aveva dichiarato che si stava lavorando a un provvedimento importante che sarebbe stato annunciato entro la fine della settimana, ieri con una mossa a sorpresa, che ha anticipato di un giorno l'approvazione della risoluzione sulla legge sulla sicurezza, Pompeo ha annunciato di aver comunicato ai membri del Congresso che il Dipartimento di Stato non riconosce più Hong Kong come Regione autonoma dalla Cina mettendo così a repentaglio lo status speciale di cui gode negli Stati Uniti, che l'ha aiutata a mantenere la sua posizione rilevante di centro finanziario internazionale.

Pompeo, inoltre, sottolineando che questa decisione non gli fa affatto piacere, ha affermato che "Hong Kong e le sue persone dinamiche, intraprendenti e libere sono fiorite per decenni come baluardo della libertà” ma che “un solido processo decisionale richiede un riconoscimento della realtà" e che se gli Stati Uniti una volta speravano che una Hong Kong libera e prospera avrebbe rappresentato un modello per la Cina autoritaria, era chiaro adesso che la Cina stesse modellando Hong Kong su se stessa.

Domenica scorsa, da parte sua, la Cina aveva replicato alle ripetute minacce di sanzioni annunciate dall'amministrazione statunitense accusando gli Stati Uniti di spingere i rapporti verso una "nuova guerra fredda".

«La Cina non ha intenzione di cambiare, tanto meno di sostituire gli Stati Uniti», ha detto il ministro degli Esteri cinese Wang Yi nell'ultima escalation di tensione tra le due maggiori economie mondiali. «È tempo che gli Stati Uniti abbandonino il pio desiderio di cambiare la Cina e di fermare 1,4 miliardi di persone nella loro storica marcia verso la modernizzazione". Gli attacchi politici degli Stati Uniti alla Cina contro il coronavirus e le questioni commerciali internazionali "stanno prendendo in ostaggio le relazioni Cina-USA e stanno spingendo i nostri due paesi sull'orlo di una nuova guerra fredda", ha proseguito Wang.

Il Regno Unito auspica, invece, che la Cina rispetterà i diritti e le libertà di Hong Kong e che si impegnerà a garantire l'autonomia dell'hub finanziario internazionale, secondo quanto riferito dal portavoce del primo ministro Boris Johnson.

«Stiamo monitorando attentamente la situazione e ci aspettiamo che la Cina rispetti i diritti e le libertà di Hong Kong e un alto grado di autonomia. Come parte interessata della Dichiarazione congiunta [sino-britannica], il Regno Unito si impegna a sostenere l'autonomia di Hong Kong e a rispettare il modello di un paese, due sistemi», ha aggiunto il portavoce di Johnson.

In Australia venti esponenti politici hanno sottoscritto una lettera, insieme ad altri 166 personaggi di spicco di 23 paesi, per esprimere preoccupazione nei confronti del piano di Pechino.

Nel documento, promosso dall'ex governatore di Hong Kong Christopher Patten e dall'ex ministro degli Esteri britannico Malcolm Rifkind, si afferma che le leggi proposte dalla Cina rappresentano un "assalto di vasta portata all'autonomia della città, allo stato di diritto e alle libertà fondamentali" e una "flagrante violazione" della Dichiarazione congiunta sino-britannica che ha restituito Hong Kong alla Cina nel 1997.

In Canada il primo ministro Justin Trudeau ha espresso preoccupazione per il timore che la decisione di Pechino possa tradursi in una repressione dell'attività di protesta democratica.

«Siamo preoccupati per la situazione a Hong Kong», ha detto. «Ci sono 300.000 canadesi che vivono lì e questo è uno dei motivi per cui vogliamo garantire che il principio “un paese, due sistemi” permanga".

Il presidente del Consiglio europeo Charles Michel ha dichiarato che la Cina deve rispettare l'autonomia della Regione.

«Attribuiamo grande importanza al mantenimento dell'alto grado di autonomia di Hong Kong in linea con la Legge fondamentale e gli impegni internazionali", ha detto.

Intervenendo al termine di una videoconferenza con il primo ministro giapponese Shinzo Abe, Michel ha affermato che Europa e Giappone "condividono le stesse idee" sulla Cina. «Non siamo ingenui rispetto al comportamento cinese», ha aggiunto.

La questione verrà posta al centro di un prossimo incontro dei ministri degli Esteri dell'UE.

Un portavoce della Commissione europea ha dichiarato che è troppo presto per dire se il blocco prenderà in considerazione sanzioni contro Pechino. L'Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza Josep Borrell ha dichiarato che, rispetto alla Cina, l'UE ha bisogno di una "strategia più solida".

Le proteste a Hong Kong

Le proteste a Hong Kong in difesa della democrazia non si sono mai fermate se non a causa dei provvedimenti restrittivi assunti per arginare la diffusione del nuovo coronavirus.

Sono riprese, infatti, durante il secondo fine settimana di maggio quando è stato presentato in parlamento un progetto di legge che prevede pene fino a tre anni di reclusione e multe per il reato di vilipendio all'inno nazionale cinese.

Si sono così ripetute le stesse scene a cui abbiamo assistito nel 2019 mentre veniva discusso il controverso disegno di legge sull'estradizione (poi ritirato) che ha scatenato per mesi le contestazioni dei manifestanti.

Domenica 10 maggio sono stati pubblicati sui social numerosi filmati di poliziotti antisommossa dispiegati nei centri commerciali della città per disperdere gruppi di manifestanti che protestavano cantando “gloria a Hong Kong”.

Dai centri commerciali l'azione della polizia si è poi spostata a Mongkok dove il deputato Roy Kwong è stato bloccato a terra e ad alcuni giornalisti, contro i quali era stato spruzzato dello spray al peperoncino, è stato chiesto di interrompere le riprese e inginocchiarsi.

L'uso della forza contro i giornalisti ha suscitato indignazione da parte delle organizzazioni dei media che hanno chiesto l'immediata sospensione di tutti gli agenti che "hanno perso il controllo".

Ma non era la prima volta che i giornalisti diventavano bersaglio della polizia durante le proteste. Innumerevoli le segnalazioni di inviati identificati, maltrattati se non addirittura colpiti con proiettili di gomma o di altro materiale.

L'11 maggio, l'Associazione dei giornalisti di Hong Kong (HKJA) ha pubblicato i risultati di un sondaggio sulla libertà di stampa nella Regione che ha rilevato che oltre il 65% dei 222 giornalisti intervistati ha dichiarato di essere stato sottoposto, durante il proprio lavoro, a violenza fisica o verbale dalla polizia o da persone che avevano opinioni divergenti.

La questione dell'impunità delle forze di polizia è una ferita ancora aperta.

Un rapporto del Consiglio indipendente per i reclami di polizia (IPCC) - organo nominato dal governo - pubblicato il 15 maggio, ha stabilito che l'azione degli agenti in risposta alle manifestazioni che si sono svolte a partire da giugno 2019 era giustificata e nel rispetto delle regole.

Nel documento di legge che "le proteste sono state accompagnate da una serie di comportamenti illegali con un grado di violenza e vandalismo che non si vedono a Hong Kong dai disordini del 1967" e che “mentre l'azione della polizia viene etichettata come "brutalità", i manifestanti sembrano ignorare la violenza, il vandalismo e il giustizialismo da loro commessi".

L'IPCC ha ricevuto oltre 1.700 denunce, la maggior parte riguardanti presunti comportamenti scorretti e negligenza e di cui circa 200 relative ad aggressioni presentate prevalentemente da giornalisti.

Il governo di Hong Kong ha sistematicamente difeso le sue forze di polizia, affermando che gli agenti hanno dovuto reagire alla violenza dei manifestanti definiti ribelli. Nessun agente è mai stato incriminato, nonostante siano stati documentati numerosi atti di evidente comportamento scorretto commesso nei confronti di manifestanti, media e astanti.

Il rapporto ritiene che le azioni intraprese dalle forze di polizia durante i mesi in cui gli scontri si sono intensificati siano da considerare "in risposta all'azione illegale dei manifestanti e per la protezione di se stessi e degli altri quando attaccati da dimostranti violenti" aggiungendo che “non potrà mai essere sottolineato abbastanza il fatto che le accuse di brutalità della polizia non debbano essere trasformate in un'arma di protesta politica".

Lunedì 18 maggio, quando il deputato pro-Pechino Chan Kin-por, nominato alla presidenza del Comitato del Consiglio legislativo senza il rispetto delle regole procedurali, ha occupato il seggio del presidente, i parlamentari pan-democratici hanno inscenato una protesta urlando cori, mostrando cartelli e tentando di scavalcare il cordone di vigilanza messo a protezione del posto occupato da Chan.

Mentre le proteste proseguivano, Chan ha chiesto alla sorveglianza di trascinare fuori dall’aula alcuni parlamentari per procedere successivamente all'elezione del nuovo presidente vinta - come da previsione - da Starry Lee, grazie al sostegno della maggioranza favorevole al governo.

Domenica scorsa migliaia di manifestanti, noncuranti delle regole di distanziamento sociale, sono scesi nuovamente in strada nei quartieri più trafficati di Hong Kong cantando, ripetendo slogan, costruendo blocchi stradali, mentre la polizia sparava gas lacrimogeni e faceva uso di spray urticante e di un cannone ad acqua per disperdere la folla in quella che è stata la più grande mobilitazione degli ultimi mesi.

La protesta - la prima da quando la Cina ha annunciato l'intenzione di rafforzare il suo controllo su Hong Kong con l'adozione della legge sulla sicurezza - era stata organizzata come marcia pacifica che si sarebbe tenuta nei quartieri di Causeway Bay e Wan Chai. Ma quando la polizia ha bloccato il percorso, lanciando gas lacrimogeni in rapida successione, i manifestanti si sono immediatamente divisi in gruppi più piccoli, dando il via a più di sette ore di scontri.

Secondo quanto riportato dal New York Times la polizia ha dichiarato di aver arrestato almeno 180 persone per aver preso parte a una manifestazione non autorizzata e che almeno quattro agenti sono rimasti feriti. L'autorità ospedaliera della città ha informato che sei persone erano state ricoverate, tra cui una donna in condizioni critiche.

«Continuo a uscire per protestare», ha dichiarato Hanna Ng, una dimostrante di 16 anni. «Continuano ad accadere cose brutte, ma non so cosa altro fare».

La marcia, già prevista prima che Pechino annunciasse i suoi piani, era stata organizzata per protestare contro il disegno di legge sul vilipendio all'inno nazionale cinese. Ma dopo l'annuncio della legge sulla sicurezza di Hong Kong, l'evento ha assunto una rilevanza maggiore.

Ieri, mercoledì 27 maggio, ulteriori proteste massicce sono state organizzate in concomitanza con la seduta del Consiglio legislativo durante la quale si è proceduto alla seconda lettura della proposta di legge sul vilipendio dell'inno nazionale cinese.

Ingente la presenza di poliziotti in tenuta antisommossa che hanno preso posto nelle strade e intorno al palazzo del parlamento.

Persone di tutte le età sono scese in strada per manifestare contro i provvedimenti voluti dal governo e da Pechino. Più di 360 i manifestanti arrestati. Per disperdere i dimostranti la polizia ha utilizzato proiettili al pepe.

In un articolo pubblicato il 24 maggio sul Washington Post scritto a quattro mani da Joshua Wong, fondatore e segretario del partito politico Demosisto, già leader del movimento degli ombrelli nel 2014, e da Glacier Kwong fondatrice della ONG Keyboard Freedom, che monitora gli abusi della privacy e la censura su Internet, i due attivisti pro-democrazia hanno chiesto aiuto agli Stati Uniti e alla comunità internazionale ricordando che tre sono gli elementi che hanno contribuito a tenere vivo il movimento del 2019: le proteste di piazza, le istituzioni elettorali locali e le iniziative di sostegno internazionale.

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Con l'approvazione della legge sulla sicurezza di Hong Kong, Pechino - in base alle previsioni dei due attivisti - non solo eserciterà un enorme potere discrezionale per punire i manifestanti ritenuti terroristi e i candidati alle elezioni dell'opposizione, ma di fatto isolerà Hong Kong dalla società internazionale prendendo esplicitamente di mira gli interventi stranieri considerati "intromissioni negli affari di Hong Kong" e prevedendo azioni contro le ONG e altre organizzazioni internazionali.

Ed è per questo, concludono Wong e Kwong, che “vi chiediamo, ancora una volta, di stare dalla parte di Hong Kong”.

foto in anteprima via Rachel Wong

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