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I dati sulla crescita dell’occupazione e la propaganda del governo Meloni

23 Settembre 2024 10 min lettura

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I dati sulla crescita dell’occupazione e la propaganda del governo Meloni

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Secondo i dati diffusi da ISTAT il numero di occupati nel nostro paese continua a crescere, mentre scende il tasso di occupazione. Nella rilevazione più recente effettuata a luglio, i cui dati sono ancora preliminari e pertanto da confermare, si sono superati i 24 milioni di occupati, con il tasso di occupazione sale al 62,3%. Questi numeri sono inediti negli ultimi venticinque anni, quelli che coincidono con la Seconda Repubblica. In particolare, nonostante un calo negli ultimi mesi, l’aumento degli occupati a tempo indeterminato è stato consistente, rispetto agli anni precedenti. 

Il governo Meloni, a partire dalla Presidente del Consiglio, ha commentato in maniera entusiasta questi dati a ogni rilevazione. Sul sito ufficiale del partito principale di governo, Fratelli d’Italia, si legge

Da quando è in carica il Governo Meloni, gli occupati sono cresciuti di quasi 800 mila unità (24,009 milioni di luglio 2024 versus 23,225 milioni di novembre 2022). A luglio 2024 il numero di occupati raggiunge un record storico, arrivando a oltre 24 milioni di occupati (24 milioni e 9mila unità).

Giorgia Meloni, intervenendo a Porta a Porta un paio di settimane fa, ha invece dichiarato che il numero di occupati registrato ad agosto è il più alto da quando Giuseppe Garibaldi ha unificato l’Italia”. 

Sempre secondo il sito ufficiale di FdI: “Questi dati confermano che il cambio di impostazione sul fronte lavoro voluto dal Governo Meloni ha dato e continua a dare ottimi frutti”.

In passato, anche altri esponenti del governo avevano vantato lo stato di salute del mercato del lavoro italiano, spesso adducendolo a provvedimenti voluti dal governo Meloni. Il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, durante un convegno, aveva dichiarato già l’estate scorsa:

Siamo cresciuti di più, siamo cresciuti meglio, perché appunto, avendo abolito il reddito di cittadinanza, nella prima parte di quest’anno sono stati creati oltre mezzo milione di nuovi posti di lavoro in tre mesi”. 

Più cauta invece la ministra del Lavoro e delle Politiche Sociali, Elvira Calderone, che ha sottolineato alcune criticità - come il mismatch tra le competenze richieste dalle aziende e quello della forza lavoro - pur evidenziando l’importanza di provvedimenti del governo come quello sugli autonomi, che infatti sono aumentati nel corso degli anni. 

L’entusiasmo da parte del governo si basa però su una sottile, ma cruciale, manipolazione non tanto dei dati quanto della loro interpretazione. Se i dati del mercato del lavoro sono buoni, non è tecnicamente corretto affermare che siano dovuti al governo Meloni. Anzi, uno sguardo più approfondito mostra come la situazione sia meno rosea rispetto a quanto dipinto dal governo.

Correlazione non è causalità

Per comprendere perché il record di occupati non è necessariamente merito del governo è necessario fare un passo indietro e riaffermare un principio semplice: solo perché due cose avvengono nello stesso momento, non è detto che una causi l’altra. Il governo Meloni si intesta la crescita occupazionale record di questi mesi perché è avvenuta in concomitanza con il suo governo, ma quest'affermazione non ha alcun fondamento dal punto di visto tecnico. 

Il mercato del lavoro è un sistema estremamente complesso formato da lavoratori e lavoratrici di vario tipo con diverse specializzazioni, da aziende che operano in settori diversi, e contestualmente influenzato da una moltitudine di fattori, come il commercio con l’estero, l’andamento dell’economia con i principali paesi con cui esportiamo o importiamo beni da usare come fattori di produzione - come l’energia, per fare un esempio - e dei mercati finanziari e delle scelte di politica monetaria, che possono rendere meno oneroso l’accesso al credito per le aziende italiane oppure no. Si tratta solo di alcuni dei tanti fattori che possono influenzare il mercato del lavoro di un qualunque paese, non solo quello italiano, ma si sarà ben compreso quanto sia semplicistico, superficiale e in ultima analisi errato attribuire la crescita degli occupati alla stabilità del Governo Meloni o alle sue politiche sul lavoro solo sulla base dei dati ISTAT. 

Per esprimerlo in maniera più tecnica: dai soli dati osservati, non è possibile stabilire se o quanto la crescita degli occupati sia dovuta al governo Meloni o all’altra miriade di fattori che influenzano il mercato del lavoro. Idealmente, per studiare le politiche pubbliche è necessario costruire un controfattuale, cioè un modello in cui si valuta come sarebbe stato il mercato del lavoro senza il governo Meloni e le sue politiche - o altri tipi di modelli più sofisticati

Per fare una stima, quindi, dell’impatto sull’occupazione del governo Meloni sono necessari modelli complicati che permettono di distinguere l’impatto dei vari fattori individuando, attraverso i dati, quello che l’attuale governo - sembra un’affermazione vaga, ma ci arriviamo - ha avuto sulla dinamica occupazionale. 

Ciò non significa che il Governo Meloni e le sue politiche non abbiano avuto alcun effetto sulla dinamica occupazionale, anzi. Quello che invece possiamo dire con assoluta certezza è che oggi non sappiamo se e quanto abbia inciso il governo Meloni sulla crescita degli occupati.

Nonostante non ci siano delle stime rigorose,  si può comunque notare un aspetto. Se si osserva il grafico degli occupati pubblicato nella più recente nota dell’ISTAT (sottolineiamo ancora una volta che i dati sono preliminari) ci si accorge che la crescita degli occupati non è iniziata con il governo Meloni. 

Il trend di crescita è iniziato già con il governo Conte II, è continuato durante il governo Draghi e prosegue ancora oggi. Non si può quindi nemmeno affermare che con il Governo Meloni ci sia stata un’inversione di tendenza rispetto ai precedenti governi, considerato che il trend è di fatto rimasto invariato. Ciò non prova oltre ogni ragionevole dubbio che il Governo Meloni non abbia avuto alcun impatto sull’occupazione, anzi, ma indebolisce considerevolmente i meriti dell’esecutivo. 

C’è un secondo aspetto, strettamente correlato, che emerge anche dalle dichiarazioni degli esponenti del governo riportate nella prima parte dell’articolo: quale sarebbe il meccanismo attraverso cui il governo Meloni ha avuto un impatto sull’occupazione? Riprendendo la dichiarazione di Urso citata in precedenza, secondo cui la riforma del reddito di cittadinanza avrebbe fatto aumentare gli occupati, abbiamo una policy, cioè la revisione del reddito di cittadinanza, e un effetto sul mercato del lavoro, cioè l’aumento degli occupati. Si tratta, come avevamo spiegato con Carlo Canepa su Pagella Politica, di un’affermazione non supportata dai dati e superficiale, per vari motivi tra cui, appunto, correlazione non è causalità. 

Ma è comunque un’affermazione che individua un nesso causale tra una determinata politica e un fenomeno. Le altre dichiarazioni, a partire da quelle della Presidente del Consiglio, sono molto più vaghe e, di fatto, prive di fondamento. 

Tuttavia si possono comunque individuare almeno due fattori che possono aver influenzato la dinamica occupazionale adducibili al governo. 

Se si vuole sostenere che l’aumento dell’occupazione è dovuto alla stabilità del governo Meloni, si tratta di un argomento alquanto debole. Questo perché, fino a prova contraria, la stabilità non è una caratteristica intrinseca, ma dipende da molteplici fattori. 

Se invece si vuole sostenere che l’aumento dell’occupazione stabile dipende dalle politiche del governo Meloni, qui si rientra ancora una volta sul vago, tanto che alcune politiche potrebbero aver avuto effetti negativi. Consideriamo per esempio il Decreto Lavoro. L’evidenza empirica pregressa, come avevamo scritto, sembra suggerire che i provvedimenti presi, che andavano a ridurre i vincoli per il ricorso al contratto a tempo determinato, potrebbero addirittura aver avuto un effetto negativo. 

Secondo i risultati di uno studio svolto proprio sull’Italia da Marco Guido Palladino, dottorando a Sciences Po, e Matteo Sartori, dottorando al CEMFI di Madrid, le restrizioni sui contratti a tempo determinato introdotte dal Decreto Dignità avevano avuto effetti considerevoli incentivando i contratti a tempo indeterminato.

Questo significa che, se potessimo scomporre i vari fattori che stanno influenzando la dinamica dell’occupazione in Italia, si potrebbe addirittura assistere a un effetto negativo dei provvedimenti presi dal Governo Meloni riguardo l’occupazione stabile, se ci lasciamo guidare dagli studi pregressi. 

I problemi dell’economia di cui il governo non parla

Se pure la situazione può sembrare rosea, almeno guardando la dinamica occupazionale del nostro paese, altri dati restituiscono un quadro più eterogeneo. 

In primo luogo, è necessario osservare che i salari reali - cioè quelli che tengono conto dell’inflazione - sono ben al di sotto di quanto non fossero rispetto al quarto trimestre del 2019, prima della pandemia. I dati OECD confermano inoltre che il nostro paese è ultimo, in Europa, per variazione dei salari reali nello stesso periodo. Se alzare gli stipendi durante l’ondata di inflazione rischiava di innescare una spirale prezzi-salari, oggi quel rischio è più contenuto: eppure gli aumenti salariali per gli italiani non si sono visti. Lo scorso inverno, l’attuale governatore di Banca d’Italia, Panetta, ha sostenuto che dovrebbero essere le aziende a sopperire a questo problema, visti i profitti accumulati e la riduzione dei fattori di produzione, alzando le buste paga dei dipendenti. In tutto ciò però il governo ha dei margini di manovra: a partire dall’introduzione nel nostro paese di un salario minimo che permetterebbe una retribuzione più elevata almeno per i lavoratori più poveri. Quello che invece è stato fatto, e che probabilmente verrà confermato quest’anno, è il taglio del cuneo fiscale. Se anche il cuneo fiscale, in linea di principio, va ad aumentare la busta paga dei lavoratori, la differenza con il salario minimo è che non è a costo zero per lo Stato. Come avevamo sottolineato già l’anno scorso, buona parte delle risorse a debito della finanziaria erano andate proprio a finanziare il taglio. In una situazione come quella odierna, dove i margini fiscali del governo si fanno sempre più ristretti per via dei vincoli europei, sarebbe opportuno rivedere questa strategia che risulta altamente inefficiente. 

In secondo luogo, se l’occupazione mostra un trend positivo, vi sono segnali contrastanti rispetto ai vari settori. Il governo non ha di certo mancato di sottolineare il record del turismo che, secondo i dati McKinsey, sembra essere il settore cresciuto di più quest’anno. 

Il turismo però non è un settore trainante, anzi. Quello che invece dovrebbe preoccupare di più il governo è il costante calo dell’industria, che svolge invece un ruolo cruciale. Tra i settori più colpiti, in particolare, c’è quello dell’automotive. Come avevamo già scritto, il nostro paese è fortemente dipendente, in questo settore, da Stellantis che però sta via via riducendo la sua presenza in Italia, causando problemi anche ai vari fornitori. Questo calo dell’industria si riflette anche sulle stime di crescita del PIL che, secondo le previsioni del FMI, tornano a essere dello zero virgola. 

Inoltre, la pessima performance è in qualche modo attutita dagli ottimi numeri dell’export. Questo ha due implicazioni però non del tutto positive. In primo luogo, sui mercati si comincia già a parlare di una possibile recessione. Qualora dovesse manifestarsi, gli acquisti dall’estero andrebbero ovviamente a diminuire peggiorando la situazione delle imprese italiane. In secondo luogo, ed è strettamente collegato con quanto sostenuto in precedenza, il problema risiede proprio nella scarsa domanda interna dovuta a salari bassi e stagnanti da decenni che hanno subito un forte ridimensionamento durante l’inflazione. Per riassumere, se già l’industria italiana non si trova in ottimo stato, la situazione potrebbe peggiorare nei prossimi mesi perché l'Italia ha creato un sistema estremamente vulnerabile. 

L’importanza di un'interpretazione corretta dei per le politiche pubbliche

Ci sono due riflessioni conclusive che vale la pena fare. 

La prima è che il governo Meloni non può darsi meriti per il record di occupati che come abbiamo visto dipende da svariati fattori, spesso non influenzati dal governo in carica. Anzi, il rischio è che questa propaganda di governo sugli occupati distolga l’attenzione da problemi che l’economia italiana presenta già oggi e che potrebbero intensificarsi con il passare del tempo. Tra tutti, il più importante è sicuramente quello dei salari. Abbiamo visto come il nostro paese viva da decenni una situazione di salari stagnanti che hanno subito un affossamento durante l’inflazione. Sempre secondo i dati ISTAT, in questi anni è aumentata l’incidenza dei lavoratori poveri. Quali siano le proposte del governo Meloni in merito, oltre a ribadire l’importanza di una contrattazione collettiva sempre più debole, non ci è dato sapere. 

La seconda, di natura forse più tecnica, riguarda l’utilizzo manipolatorio dei dati nel dibattito pubblico. Questi sono utilizzati, sia a destra che a sinistra, per poter vantare la loro esperienza di governo. Ma spesso le affermazioni di entrambi gli schieramenti si basano su interpretazioni fuorvianti ed errate. A una persona non esperta, le statistiche possono sembrare imparziali. Purtroppo, non è così: i dati, di per sé, possono dirci poco se non conosciamo il fenomeno che stiamo studiando, le relazioni tra le variabili in gioco e alcuni dettagli tecnici che spesso restano confinati agli esperti.

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Un esperimento in tal senso è quello dei due professori dell’Università di Washington Carl Bergstrom e Jevin West con il progetto Calling Bullshit. Il progetto si concentra sullo "smascherare le bugie, i dati fuorvianti e le manipolazioni", con un occhio particolare a come i dati scientifici, economici e statistici possono essere usati in modo scorretto o manipolati per confondere o ingannare il pubblico, sia attraverso un corso all’Università di Washington sia nel loro libro. Per farlo, presentano alcuni esempi presi da giornali o emittenti televisivi come Fox News per mostrare come statistiche all’apparenza innocue siano in realtà frutto di una manipolazione o una scorretta interpretazione dei dati. Alcuni contenuti sono fruibili anche sul sito Calling Bullshit. Il fine è fornire gli strumenti necessari per una lettura critica e consapevole delle informazioni nel mondo contemporaneo. In un mondo in cui politica e media utilizzano la falsa imparzialità dei dati come arma di manipolazione, riconoscere questi trucchetti è uno strumento cruciale.

Immagine in anteprima: frame video Fratelli d'Italia via YouTube

 

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