Contro la disinformazione l’unica vera arma è il pensiero critico
16 min lettura«La sfida è che i ragazzi diventino "cacciatori di bufale", detective del web, in grado di capire, sempre, se una notizia è vera o è falsa, se un post su Facebook è semplicemente un post o invece una menzogna. Perché la Rete è una prateria dove spesso il più forte prevale. Per questo credo fortemente nell'educazione civica digitale e quindi nel progetto #BastaBufale rivolto ai giovani, che presenteremo domani insieme alla ministra Fedeli».
Non ha dubbi il presidente della Camera, Laura Boldrini, nell’illustrare in un’intervista a Repubblica il progetto #BastaBufale, programma di alfabetizzazione alle notizie, presentato però, come manifesto che vede nel web “una prateria dove spesso il più forte prevale”. Con pochi giri di parole, una giungla.
L’iniziativa riguarderà 8mila istituti e poco più di 4 milioni di studenti che, secondo quanto descritto da un decalogo in 8 punti (gli ultimi due arriveranno dopo il coinvolgimento delle scuole attraverso una piattaforma online di prossima apertura, scrive Corrado Zunino su Repubblica), dovranno utilizzare gli strumenti, che questo luogo inospitale (Internet) mette a disposizione, per “cacciare le bufale”, le fake news, “gocce di veleno nella nostra quotidiana dose di web che infettano senza nemmeno accorgercene”, come aveva detto il presidente Boldrini al New York Times.
Ma da oggi ci saranno i "giovani, detective del web", per "mantenere il web un luogo sano e non infestato di violenza e disinformazione" https://t.co/rsChFupIX5
— Fabio Chiusi (@fabiochiusi) October 31, 2017
Nell’incontro di avvio del progetto al Liceo Visconti di Roma, il ministro dell’Istruzione, Valeria Fedeli, ha definito la campagna #BastaBufale un programma strutturale che darà agli studenti gli strumenti per renderli soggetti attivi.
Ecco il decalogo contro le bufale presentato a #Roma. Perché 8 punti? Gli altri 2 li scriveranno le scuole #BastaBufale pic.twitter.com/Nk3lVbxfXY
— Miur Social (@MiurSocial) October 31, 2017
Per ora, è stato pubblicato un manifesto che poco fa capire di come saranno organizzati i corsi di alfabetizzazione alle notizie, ma che tradisce una certa distanza dalla cultura della Rete e che focalizza i suoi obiettivi più su come smascherare (e non diffondere) le false informazioni che sulla maturazione di un pensiero critico rispetto a tutto quello che leggiamo, indipendente da fonte e mezzo. Mancano anche i riferimenti all’etica del giornalismo e al suo ruolo all’interno dell'ecosistema informativo (fatta eccezione per un generico “anche i giornalisti possono sbagliare”, come se l’inquinamento mediatico sia più qualcosa di connaturato al luogo (la Rete) che il risultato di come i diversi soggetti (tra i quali anche i giornalisti) a vario titolo lo vivono. Il web, come ha notato Riccardo Luna su Agi, passa come regno delle bufale e si parla di cultura digitale e di Internet come un luogo da cui mettersi in guardia:
Non facciamo passare la bufala che il digitale sia il regno delle fake news, pensate a quelle che a volte spacciano i governi (come dimenticare le inesistenti “armi di distruzioni di massa” di Saddam Hussein? E quante balle c’erano nel Mein Kampf di Hitler?). (…) Bello che nelle nostre scuole si parli finalmente di Internet e cultura digitale, peccato che lo si faccia solo per metterci in guardia dai pericoli. Quando spieghiamo ai ragazzi le infinite opportunità che hanno di cambiare il mondo con la rete?
Nei giorni scorsi, prosegue Zunino su Repubblica, il ministero dell’Istruzione ha inviato alle scuole la Dichiarazione dei diritti in Internet e ha stipulato con la Federazione nazionale della stampa italiana un accordo per mettere al centro la cultura dell'informazione e la correttezza delle fonti.
«È una rivoluzione che ha cambiato tutto, un salto di straordinaria innovazione che deve essere presa in carico da tutti i soggetti istituzionali, sociali oltre che dalla scuola perché si tratta di modelli che inquinano anche con le fake news, le notizie false, la democrazia di un paese. È un tema di straordinaria attualità», ha dichiarato il ministro Fedeli in un’intervista all’Ansa. Ma, come ha scritto recentemente Michael Rosenwald su Columbia Journalism Review, le fake news e l’alfabetizzazione alle notizie non costituiscono un fenomeno e una soluzione nuovi. Già nel 1930 si parlava di propaganda e di strategie didattiche per contrastarla e decodificarla. Certo, oggi, la sfida si ripropone con linguaggi, tecnologie e strumenti nuovi.
Negli ultimi dieci anni sono stati sperimentati diversi progetti di alfabetizzazione ai media e alle notizie, la cui efficacia è tuttora oggetto di discussione. Quel che sta emergendo, come mostrano le esperienze negli Stati Uniti e in diverse aree del mondo, che presentiamo qui di seguito, è che l’alfabetizzazione alle notizie ha a che fare innanzitutto con lo sviluppo di un pensiero critico. Meno acchiappafantasmi, maggiore attenzione alla correttezza, trasparenza e accuratezza delle notizie.
A scuola di notizie
Alla Vocation Technical School, una scuola pubblica superiore di Newark, capoluogo della contea dell’Essex, in New Jersey, negli Stati Uniti, una classe di 30 studenti siede assorta nell’aula davanti a un grande schermo mentre ascolta il giornalista del New York Times, Ron Nixon, parlare di bias, faziosità e preconcetti nel dare e condividere informazioni: «Anche io ho opinioni come tutti… ma questo non ha a che fare con il mio lavoro». Contemporaneamente, seduti davanti ai loro computer, gli studenti di Newark, insieme ad altri 150 colleghi delle scuole del Wisconsin, California, Florida, Texas e dello Stato di Washington, inviano domande e commenti in una chat online su Checkology, una piattaforma di e-learning, ideata dal News Literacy Project (una non-profit statunitense fondata nel 2009 da Alan Miller, ex giornalista del Los Angeles Times), dove Nixon sta intervenendo. «Come ti toccherà da vicino in quanto giornalista l’aumento crescente dei fatti alternativi?», chiede uno studente. A questa domanda, il giornalista del New York Times risponde dicendo:
Hai diritto ad avere una tua opinione, puoi credere o meno a una versione dei fatti. Ma non puoi avere i tuoi fatti.
Studenti di 16 anni, stimolati da un giornalista esperto, si trovano così a riflettere sull’attualità, su notizie che riguardano il proprio paese e la propria democrazia, su come cercarle e verificarle utilizzando gli strumenti che la Rete mette a disposizione. Tutta la conversazione online tra gli studenti e Nixon ruota, infatti, intorno alle protezioni fondamentali del primo emendamento, che tutela le libertà di culto, di parola e di stampa (“La nostra libertà dipende dalla libertà di stampa”), la ricerca dei fatti e l’etica nel riportarli. Molti di loro discutono, ad esempio, sull’utilità della costruzione del muro lungo il confine con il Messico, sull’utilizzo di Twitter da parte del presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, di verifica delle notizia e controllo dei fatti, delle fonti, della Costituzione americana. Educazione ai media e alfabetizzazione all’informazione vengono così a intrecciarsi.
Circa 140 chilometri più a sud, anche alla Norwood-Fontbonne Academy, una piccola scuola privata della periferia di Philadelphia, sedici studenti di ottavo livello (equivalente alla nostra terza media), tra i 13 e i 14 anni, stanno sperimentando la stessa piattaforma.
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Alcune ore a settimana gli studenti fanno lezione di news-literacy per sviluppare un approccio critico alla lettura delle notizie e stimolare un pensiero aperto e indipendente, racconta John Timpane su Philly.com. Lavorando sui loro computer portatili, alcuni riflettono su una domanda (“Cosa per te fa notizia? E perché?”), altri cercano di ricostruire il contesto di alcune immagini (la foto proveniente da un post dell’International Rescue Committee che ritrae un bimbo emaciato in un letto di ospedale e un’altra che mostra tante margherite deformi subito sotto il titolo di un articolo “I fiori del disastro nucleare di Fukushima”) o di verificare l’attendibilità di una notizia riportata da Time.com secondo la quale il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, sia pronto a tagliare il budget di un programma che sostiene più di 2 milioni di cittadini anziani statunitensi.
Sullo schermo di Isabel Catalan, una studentessa di 14 anni, c’è un tweet scritto da un utente dal nome TrumpsterMarty che dice: “I musulmani erano già banditi dagli Stati Uniti! Legge degli Usa 1952! Retweet!”. Sotto uno screenshot presumibilmente dell’Atto di Immigrazione e Nazionalità del 1952, che impedisce l’immigrazione di chiunque cerchi di rovesciare il governo “attraverso la forza, la violenza o altri mezzi illegali”. Questo, secondo quanto si legge nell’immagine del testo allegata sarebbe la prova dell’esclusione dell’immigrazione islamica negli Stati Uniti. «La persona che ha scritto questo tweet ha chiesto di essere retwittata, ma il tono del suo messaggio e il suo nome non mi tornano molto»», racconta Catalan. La studentessa segnala il messaggio come falso e Checkology le dà ragione.
«Vogliamo che i nostri studenti siano persone che sappiano autogestirsi, analizzare le notizie che leggono e riflettere per essere dei buoni cittadini, attenti e concentrati», spiega madre Mary Helen Beirne, a capo della scuola.
Checkology e gli altri progetti nelle scuole
La scelta degli istituti di Newark e Philadelphia di provare Checkology non rappresenta un caso isolato, ma arriva in un momento in cui scuole di diverso ordine e grado e anche università stanno avviando corsi di alfabetizzazione alle notizie e ai media. Norwood ha cominciato a sperimentare Checkology dal marzo scorso su iniziativa delle insegnanti Shannon Craige, esperta bibliotecaria, e Lindsey Sachs, docente di tecnologia, che avevano sentito parlare del News Literacy Project su Twitter. Di fronte alla diffusione virale di false informazioni e “fatti alternativi”, soprattutto dopo le discussioni nate durante le elezioni presidenziali statunitensi, Craige e Sachs hanno deciso di avviare un corso di 4 mesi per insegnare agli studenti a saper decifrare le notizie e distinguere i fatti dalle “bufale”. «Le notizie sono cambiate così tanto. Oggi chiunque può essere un reporter e non puoi prendere tutto quello che ti arriva per oro colato», dice Sachs in un’intervista a Wired.
«Tuttavia», spiega Alan C. Miller, giornalista investigativo del Los Angeles Times e vincitore del premio Pulitzer, che ha lanciato nel 2009 il News Literacy Project, «le false informazioni non sono un fenomeno nuovo. Si parla dei pericoli della disinformazione e di un elettorato non informato da molto prima che qualcuno coniasse il termine “fake news”».
Miller racconta a Philly.com di aver avuto l’idea di creare progetti di alfabetizzazione alle notizie almeno tre anni prima della nascita del News Literacy Project, subito dopo essere intervenuto, mentre lavorava a Washington, nella scuola di sua figlia, che frequentava all’epoca la sesta classe (la nostra prima media) per parlare del suo lavoro: «Sono uscito dall’aula di mia figlia pensando che se molti giornalisti portassero la propria esperienza nelle scuole, potrebbe essere davvero significativo». Così decise di andare dalla Knight Foundation per trovare finanziamenti per il progetto e da lì è partito tutto.
Sin dalla sua nascita, la piccola non-profit formata da 8 persone ha lavorato a stretto contatto con le scuole per costruire un curriculum che insegnasse agli studenti a informarsi in modo consapevole. Il progetto ha avuto il sostegno di 33 testate giornalistiche, partner di progetto, come Associated Press, il New York Times e Npr. Nel tentativo di rendere il progetto utilizzabile dalle scuole a distanza, nel maggio del 2016, il gruppo ha messo insieme i contenuti già presenti sul sito su una piattaforma specifica chiamata Checkology, che si ispira ai concetti di libertà di parola e di stampa del Primo Emendamento. Lo scorso anno, la Knight Foundation ha dato 225mila dollari per espandere il progetto a Lexington e altre quattro città in cui opera direttamente: Detroit, Miami, Philadelphia e Charlotte.
L’obiettivo di Checkology è dare agli studenti gli strumenti per interpretare notizie e informazioni che danno forma alle loro vite quotidiane in modo tale che possano prendere decisioni informate ed essere membri attivi della società. «Non vogliamo dire agli studenti in cosa credere – spiega Miller – ma dare loro gli strumenti per farsi un’idea di quel che accade ed esprimere propri giudizi personali».
La piattaforma presenta diverse tipologie di contenuti: brevi video-presentazioni preparate da giornalisti e altri esperti di media, casi di studio, esercizi interattivi e strumenti di verifica pensati per aiutare gli studenti a valutare la credibilità delle informazioni selezionate. Le diverse pillole di lezione includono la selezione e la categorizzazione delle notizie e informazioni attraverso l’utilizzo di filtri, esercitazioni sulle libertà civili (a partire dal Primo Emendamento e dal ruolo di cane da guardia del giornalismo), corsi sul panorama informativo attuale (come controllare informazioni non verificate o non confermate, il ruolo degli algoritmi e dei contenuti propagandistici o sponsorizzati), come riconoscere preconcetti e bias e controllare la credibilità di una notizia. Inoltre, gli studenti possono anche utilizzare il software per confrontare fonti diverse per verificare le notizie.
Attualmente, Checkology è utilizzata da circa 6300 docenti di scuole pubbliche e private e coinvolge 947mila studenti in tutti i 50 Stati americani e in 52 paesi.
I laboratori nel mondo
Non c’è solo Checkology. Negli ultimi anni l’interesse nei confronti dell’educazione all’utilizzo dei media e dell’alfabetizzazione alle notizie è letteralmente esploso. Decine e decine di università americane stanno avviando corsi di news literacy negli Stati Uniti, sottolinea Michael Rosenwald su Columbia Journalism Review, mentre almeno 15 Stati federali hanno reso obbligatoria la media literacy nelle scuole pubbliche superiori.
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The Center for News Literacy della Stony Brook University, con sede a New York, è uno dei principali centri che si occupa di alfabetizzazione alla notizie. Finanziato dalla Knight Foundation, il centro collabora con l’Università di Long Island e di Hong Kong e con le scuole pubbliche di New York. Oltre a strumenti online disponibili per i docenti che vogliono avviare un proprio corso per le loro classi, con piani delle lezioni, che vanno, ad esempio, da come decostruire un video virale al linguaggio da utilizzare per fare articoli sul cambiamento climatico, sono stati lanciati diversi corsi online (MOOC) per “aiutare le persone a riconoscere le informazioni false rispetto a quelle accurate e affidabili”.
Il Trust Project dell'Università di Santa Clara, l'American Press Institute, Poynter e altri hanno lanciato diverse campagne di alfabetizzazione alle notizie negli ultimi anni. All'Università di Indiana, lo scienziato informatico Filippo Menczer e i suoi colleghi hanno sviluppato Hoaxy, un sito che mira ad aiutare i lettori a verificare le storie che trovano su Internet. Tom Rosenstiel, direttore esecutivo dell’American Press Institute, ha scelto una strada diversa, ritenendo che la trasparenza possa aiutare i giornalisti a migliorare le capacità di interpretazione e decodifica delle notizie da parte dei lettori. In questo senso, Rosenstiel ha proposto di presentare in coda al testo di un articolo tutte le fonti (bibliografiche, audio, documentali, video) che hanno permesso la stesura. In questo modo i lettori, dice Rosenstiel, sanno cosa aspettarsi da un giornalismo di qualità.
La World Association of Newspapers and News Publishers ha, invece, raccolto diverse esperienze in tutto il mondo. In Francia, la testata giornalistica investigativa Premières Lignes ha prodotto un video educativo per mostrare come distinguere una cospirazione reale (le menzogne delle società produttrici di tabacco riguardo i danni del fumo) da una falsa (il coinvolgimento del governo francese negli attentati a Charlie Hebdo nel 2015). In Germania, un giornale locale ha ideato un progetto di alfabetizzazione alle notizie nelle scuole insegnando a usare i tablet.
La televisione nazionale svedese ha prodotto un’applicazione per bambini dagli 8 ai 12 anni per i programmi rivolti a quella fascia d’età. Attraverso la app, i bambini possono interagire con il personale dell’emittente televisiva utilizzando i loro cellulari e tablet, fare domande, esprimere le proprie emozioni, confrontarsi sui diversi argomenti discussi nelle trasmissioni. Nel Regno Unito, il Guardian ha realizzato un programma di news literacy diffuso dal suo News & Media Education Centre rivolto ogni anno a circa 7000 studenti dai 9 ai 18 anni. Gli studenti delle primarie possono creare una pagina base di notizie generiche o su temi specifici come, ad esempio, l’epoca vittoriana, scienza o ambiente. Gli studenti delle secondarie possono scrivere, codificare pagine, modificare video o creare pagine su alcune particolari tematiche, come il diritto di voto delle donne, la prima guerra mondiale, i diritti civili. Vengono organizzati incontri anche con i giornalisti per parlare di etica e ruolo del giornalismo, di raccolta delle notizie e altro ancora.
https://www.youtube.com/watch?v=B2e_40eYHBI&feature=youtu.be
In Sudafrica, Media24 ha creato un’applicazione che aiuta studenti e cittadini giornalisti a seguire standard professionali e pubblicare le loro storie sulle testate giornalistiche locali. Due giornali portoghesi (il Jornal de Notícias, di Porto, e il Diário de Notícias, di Lisbona) hanno organizzato a partire dal novembre del 2010 dei media lab, workshop per gli studenti, concepiti per aiutarli a sviluppare un pensiero critico, a esprimere le proprie opinioni argomentandole e a preparare contenuti giornalistici (articoli scritti, programmi radiofonici, clip video). «I giovani possono essere tranquillamente dei nativi digitali ma possono avere difficoltà a decodificare le informazioni, a interpretare le notizie e a produrre contenuti giornalistici», ha spiegato Alexandre Nilo Fonseca, uno degli ideatori dei laboratori. «Lo scopo dei media lab è far capire ai giovani cosa sono i giornali del XXI secolo e la rilevanza delle notizie e delle informazioni che riceviamo».
"Essere nativi digitali non significa automaticamente sapersi informare in modo consapevole"
Fonseca solleva una questione importante: non si può dare per scontato che, in quanto nativi digitali, i giovani utilizzino la Rete e i social media per informarsi in modo consapevole. Uno studio del 2016 a cura dell’università di Stanford ha scoperto che gli studenti di scuole e università americane non sono in grado di informarsi correttamente e di saper distinguere un evento di finzione da uno realmente accaduto.
La ricerca ha valutato per più di un anno come s’informano 7800 studenti di 12 Stati americani. Secondo lo studio, gli studenti non si sono mostrati in grado di:
- Distinguere contenuti a pagamento da notizie verificate.
- Verificare le immagini, usualmente prese per buone.
- Distinguere le fonti verificate da quelle false rispetto ai contenuti diffusi su Facebook.
- Riconoscere posizioni di parte in contenuti diffusi da attivisti, movimenti o esponenti politici.
Per quanto i giovani utilizzino fluentemente i social media, dunque, vi fanno poco ricorso per informarsi e questo non li protegge dai rischi della disinformazione, ma li espone ancora di più. «Questa generazione pilucca le informazioni, se ne nutre qua e là», spiega su Wired Peter Adams, che guida le iniziative educative del News Literacy Project. Utilizzando poco la Rete per informarsi, «è ancora più esposta alla condivisione di contenuti non verificati», che si presentano sotto forma di immagini o video e che, nel loro insieme, contribuiscono a creare un senso di quel che accade e del loro stare al mondo. «Molti studenti – aggiunge Alan C. Miller – non riconoscono i media per il loro ruolo speciale di Quarto Potere e questo ha ripercussioni sulla vita democratica di un paese».
La questione è molto delicata, afferma a Npr il professor Sam Wineburg, uno dei ricercatori di Stanford che ha condotto lo studio, l’unico cambiamento può avvenire nelle aule scolastiche e l’unica soluzione è pratica: «Come possono gli studenti imparare a scegliere ciò di cui fidarsi, cosa inviare e condividere con i propri amici, se prima non hanno fatto pratica a scuola?»
L’aumento esponenziale dei corsi di alfabetizzazione ai media e alle notizie, e il loro finanziamento in molti casi da parte dei singoli Stati federali statunitensi, testimonia una maggiore attenzione alla questione da parte di politici, giornalisti e docenti. L’esigenza di sempre più corsi di news literacy è la conseguenza di una maggiore consapevolezza di un fenomeno non nuovo, come quello della propaganda e della manipolazione delle notizia, prosegue Adams, e della comprensione che è nelle scuole che bisogna intervenire per far sì che crescano cittadini che sappiano padroneggiare quegli strumenti che la Rete mette a disposizione per essere in grado di decodificare le notizie e le informazioni che leggono. In altre parole, insegnare a saper leggere le notizie, educando a saper usare i media e a conoscerne la grammatica, è centrale per la salute delle democrazie e delle società, perché si tratta di un insegnamento che si configura come un’educazione civica. Al di là del web stesso.
«Man mano che si cresce – racconta sempre a Wired, Michelle Ciulla Lipkin, direttrice esecutiva della National Association for Media Literacy Education – lo spettro delle fonti che utilizziamo aumenta e, per questo, le competenze acquisite ora a scuola si riveleranno importanti perché abituano gli studenti a esercitare il dubbio e porre questioni alle informazioni che incontrano». Ma, si chiede John Dyer su Nieman Reports, tutto questo esercizio quali effetti avrà sul lungo periodo? Le competenze acquisite saranno ancora esercitate e conservate nel tempo man mano che gli studenti crescono e le tecnologie evolgono? O quanto acquisito sarà perduto?
I corsi di media literacy sono davvero efficaci?
Uno studio del 2010 del Centre for News Literacy della Stony Brook University ha dato risultati che a prima vista possono sembrare sorprendenti. Secondo la ricerca – che ha riguardato 600 studenti che hanno frequentato per un anno le lezioni di alfabetizzazione alle notizie e circa 400 che non l’hanno fatto – a lungo termine i frequentanti registravano un abbassamento delle abilità acquisite a differenza di chi non aveva partecipato ai corsi che col passare del tempo sembravano maturare un approccio più critico alle notizie.
In particolare:
1) Durante l’anno, il numero degli studenti che credevano che il giornalismo avesse protetto la democrazia era cresciuto dal 72 al 93% e che i media avessero svolto un ruolo di controllo nella società dal 69% all’84%.
2) A lungo termine gli effetti dei corsi sembrano disperdersi. Un anno dopo la fine del corso, la fiducia nel giornalismo come garanzia della democrazia era scesa all’85% e che i media fossero cani da guardia del potere al 79%. Un abbassamento di questi valori era da collegare, secondo i ricercatori del Centre for News Literacy, a un minore esercizio del pensiero critico.
3) Mentre durante le lezioni, sempre più studenti erano in grado di valutare l’affidabilità delle informazioni e la correttezza dei fatti per come erano riportati rispetto a chi non aveva frequentato le lezioni, a distanza di un anno, più di un quarto dei frequentanti non era più in grado di distinguere fatti verificati da notizie date in modo approssimativo o distorto. Chi non aveva frequentato mostrava, invece, di essere migliorato nel capire se una fonte fosse affidabile e una notizia riportata correttamente. Questo significa che in un certo senso diventavano più alfabetizzati alle notizie rispetto a chi aveva frequentato il corso.
Questi risultati non sono sorprendenti perché, spiega il ricercatore della Stanford University Sam Wineburg, «frequentare uno o due corsi di alfabetizzazione alle notizie non è sufficiente per affrontare la disinformazione diffusa ogni giorno». L’alfabetizzazione alle notizie non si risolve nel saper distinguere tra vero e falso, non è un applicare etichette di affidabilità, ma implica la maturazione di un approccio critico. Imparare a usare degli strumenti tecnici non serve a nulla – scrive ancora John Dyer – se non ci si educa a superare i pregiudizi cognitivi, i blocchi mentali, le predisposizioni e i pregiudizi che portano le persone a preferire alcune fonti di informazione rispetto ad altre. «Se non si esercita in continuazione un pensiero critico che vada oltre le proprie convinzioni si rischia di citare e dare notizie non corrette», dice a Nieman Reports Liz Ramos, docente del News Literacy Project nelle classi di 10° e 12° livello all’High School di Alta Loma, in California.
I siti dove è possibile trovare notizie infondate o informazioni non attendibili presentate come fatti evidenti sono infiniti. La cosa migliore che i docenti possono fare è insegnare ai giovani a essere critici rispetto a tutta l'informazione che ricevono. Come ha notato Dan Gillmor, lo scetticismo è un approccio altamente razionale per chi oggi vuole informarsi.
I progetti di alfabetizzazione alle notizie dovrebbero concentrarsi sulla costruzione del pensiero critico e delle abilità di comunicazione creativa. Quando questo accade, le persone saranno più abili a comprendere, apprezzare e analizzare criticamente le notizie usando gli strumenti che sono stati dati loro per valutare la loro correttezza, trasparenza e accuratezza.
Foto in anteprima via CNN.com