BRANCHER, GIALLO SULLE DELEGHE DEL MINISTRO
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Nessuna traccia sulla Gazzetta Ufficiale. Lui: non mi dimetto. Il Pd: truffa istituzionale
Aldo Brancher rimanda al mittente le richieste di dimissioni e si prepara all'udienza al tribunale di Milano di lunedì prossimo, quella in cui formalizzerà la rinuncia al legittimo impedimento nel processo Bpi-Antonveneta. Resta però il giallo deleghe, delle quali il neo ministro al Decentramento è ancora sfornito: dopo che gli sono state attribuite dal Consiglio dei ministri (18 giugno) sono rimaste sulla sua scrivania fino a sabato scorso, tempo utilizzato per limarle ed evitare sovrapposizioni di competenze con il ministro alle Regioni, Raffaele Fitto. Ora, raccontano dai suoi uffici, sono tornate a Palazzo Chigi dove attendono di essere definitivamente firmate del premier Berlusconi, che però potrebbe rimanere all'estero fino al 4 luglio. Con lo spettro di un ulteriore allungamento dei tempi per la loro formalizzazione, ovvero la pubblicazione in Gazzetta ufficiale. Come testimonia lo stesso Brancher, che se sabato era pronto a scommettere su un lieto fine entro domani, ora resta sul vago: "La loro pubblicazione non spetta a me, ma alla presidenza del Consiglio e Berlusconi è in Brasile".
E così l'opposizione non molla la presa, spinta dal caso deleghe e da Calderoli, secondo il quale Brancher era stato proposto all'agricoltura e poi, vista l'impossibilità, è stato dirottato ad un ministero senza portafoglio. Per il centrosinistra a dimostrazione che la nomina non è avvenuta per la necessità di affidargli un compito determinato, ma per lo scudo dai processi. Partito democratico e Italia dei valori stanno preparando il terreno ad una mozione di sfiducia comune. I primi passi li hanno mossi i capigruppo alla Camera Dario Franceschini e Massimo Donadi, che si sono sentiti telefonicamente in attesa di una decisione attesa tra oggi e domani (resta da definire la posizione dell'Udc, restia a firmare insieme a Di Pietro).
Intanto il numero due democratico, Enrico Letta, ha attaccato il neo ministro parlando di "nomina truffa" e ha sottolineato che la rinuncia allo scudo "non cambia una situazione dalla quale può uscire solo con le dimissioni". D'accordo Donadi, secondo il quale se non si troverà un accordo per una mozione unitaria l'Idv "la presenterà individualmente". E una raccolta di firme per la rimozione è stata avviata anche da "Valigia Blu" di Arianna Ciccone (200 mila persone hanno aderito alla sua iniziativa per chiedere la rettifica al Tg1 sul caso Mills).
Intanto il diretto interessato ha ribadito di non avere intenzione di lasciare ("non mi dimetto, avevo già chiesto il rinvio tre volte, non prendo in giro nessuno") e ha spiegato che dopo la rinuncia al legittimo impedimento si dovrà "preparare" all'udienza del 5 luglio: "Questo mi impedisce di fare altro", ha sottolineato lasciando intendere che il processo lo distoglie dal lavoro ministeriale a dimostrazione che lo scudo era legittimo. Quindi ha assicurato che "i rapporti con Bossi non cambiano", mentre i ministri La Russa e Rotondi, come il deputato finiano Italo Bocchino, hanno parlato di "caso chiuso".