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Quante mani lunghe sul Tg1

20 Maggio 2010 3 min lettura

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Quante mani lunghe sul Tg1

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3 min lettura

Il nuovo libro di Giulio Borrelli racconta "da dentro" la storia del primo telegiornale da Vespa a Minzolini. Retroscena, manovre di palazzo, pressioni dei politici: ecco alcuni brani in esclusiva per "L'espresso" online


E' stato presentato a Roma, il 21 maggio presso la sala Capranichetta (p.zza Montecitorio, 125) il libro "Le mani sul Tg1 - Da Vespa a Minzolini, l'ammiraglia Rai in guerra" di Giulio Borrelli, ex direttore del telegiornale e attualmente corrispondente dagli Stati Uniti. Il volume sarà in libreria dal 28 maggio (Coniglio editore, 14,50 euro).
Il libro di Borrelli ripercorre gli ultimi vent'anni del più importante telegiornale italiano ed è una vera "inside story" di quanto avviene nelle sue stanze e nei suoi corridoi.
L'espresso pubblica qui in esclusiva un'anticipazione del volume.

LEGGI:


"Togli tu, che ci metto questo qua
"
La Rai è da sempre legata alla politica, è un fatto. Dalla sua nascita, navigando per l'epoca Bernabei, fino alla presidenza Garimberti, tutti i direttori e i vicedirettori, nessuno escluso, hanno ottenuto l'investitura tenendo conto delle maggioranze di governo e dei posti da riservare all'opposizione. Un tassello discutibile, quello delle nomine Rai, ma a suo modo autorizzato in quella zona a traffico limitato chiamata viale Mazzini. In Italia, del resto, si lottizzano anche i primari d'ospedale. Adriano Celentano direbbe: «C'è sempre un motivo». Un tempo esisteva il dominio di un solo partito, la DC, che aveva le redini del Paese. Poi, con il mutare degli equilibri politici, si è passati alla lottizzazione. Il vecchio presidente socialista Enrico Manca la riteneva, comunque, una sterzata al futuro rispetto al parossismo del precedente latifondo. (...)
Non è pensabile di poter scrivere una storia onesta, veritiera della Rai, senza tener conto dei partiti, dei mastodonti industriali e delle lobby giornalistiche. Quando si accenna ad assunzioni, collaborazioni ed avanzamenti di carriera, le ingerenze politiche non mancano mai all'appello. È vero che – con governi di destra, di centro, di sinistra – i partiti contano moltissimo, ma se ci fermassimo a loro non capiremmo tutto il meccanismo. (...)


Negli ultimi 15 anni sono stati nominati dieci direttori al Tg1. Solo tre possono essere considerati professionisti interni all'azienda. Uno ha fatto la spola tra la Rai e Mediaset. Gli altri, ben sei, sono giornalisti approdati dall'esterno a dirigere la testata italiana più importante, con scarsa esperienza televisiva e nessuna pratica nel servizio pubblico. Qualcosa vorrà pur significare. Non vi pare? A intraprendere la via della scelta esterna e a servirsene, per primo, è stato Berlusconi, come abbiamo detto. La strada è stata battuta anche durante i governi di centrosinistra ed è motivo di non poche recriminazioni. È il capitolo grigio di un quindicennio confuso e contraddittorio.

Ecco perché, accanto alla mia piccola vicenda personale, cerco di ricordare alcuni passaggi essenziali della storia contemporanea degli ultimi tre lustri, così come li ho vissuti, con qualche raffronto con la realtà americana conosciuta più di recente. Il centrodestra ha un capo indiscusso ed accettato e, con lui, gli alleati stabiliscono gli assetti politico-istituzionali e le catene derivate. Applicano un proprio criterio e garantiscono stabilità. Nello schieramento opposto, gli insuccessi, le antipatie e le faide interne hanno abbattuto, uno dopo l'altro, i leader e, come riflesso di questa guerra, si ritrovano un campo di macerie negli assetti sottostanti. La Rai è uno dei terreni più paludosi e devastati. Intercambi da copione anarchico per un regista fantasma: «Togliti tu, che ci metto quest'altro più gradito». Una membrana di replicanti aziendali. Non a caso gli avvicendamenti hanno spesso messo in ombra i valori reali, i meriti professionali di profili interni e, di conseguenza, gli apprendisti stregoni si ritrovano il vuoto attorno.
 

«Susanna Petruni, fedele scudiera del Cavaliere»
(...) Il sindacato dei giornalisti dà filo da torcere e, per diversi mesi, Mimun non riesce a imporre modifiche radicali, anche se nel frattempo l'azienda (con Cattaneo e Comanducci) incide sui corrispondenti all'estero, rimuovendo Badaloni da Bruxelles e Remondino da Belgrado.

 

(...) Continua

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