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CETA, la nuova minaccia per le libertà dei cittadini europei

25 Ottobre 2012 6 min lettura

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CETA, la nuova minaccia per le libertà dei cittadini europei

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CETA tra Canada e Unione europea

Il ministro del commercio canadese chiede che l'accordo sia chiuso entro la fine di questo anno. Anche l'Unione europea sembra intenzionata ad approvarlo in tempi brevi. Stiamo parlando di CETA, Comprehensive Economic and Trade Agreement, ovvero: accordo economico e commerciale globale.

CETA prevede la realizzazione di un'area di libero scambio tra Canada ed Unione europea, quindi l'abbattimento di dazi e barriere doganali. Dicono che servirà per alimentare le esportazioni e gli scambi tra gli Stati firmatari, e che porterà numerosi nuovi posti di lavoro. Dicono che porterà maggior benessere, come accade sempre a seguito della realizzazione delle aree di libero scambio. Ma come si distribuirà in quell'area questo nuovo benessere? Sarà per tutti? O solo per i soliti?

Strategia globale e accordo TRIPs

CETA nasce, come ACTA, all'interno della strategia globale pensata dalla Commissione europea nella risoluzione del 22 maggio del 2007: Global Europe - external aspects of competitiveness. Al considerando 60 si sottolinea che la politica in materia di proprietà intellettuale non dovrebbe andare oltre gli accordi TRIPs, ma si dovrebbe incoraggiare l'uso delle flessibilità dei TRIPs.
TRIPs è un accordo del '94 sui diritti di proprietà intellettuale relativi al commercio promosso dal WTO, l'organizzazione Mondiale del Commercio, e firmato da numerosi Stati. L'accordo TRIPs fissa gli standard per la tutela della proprietà intellettuale, i marchi e i brevetti, incluso regole per ottenere misure provvisorie ed ingiunzioni in caso di violazioni.
Ai paesi in via di sviluppo fu concesso un termine maggiore per adeguarsi all'accordo, perché, si convenne, una applicazione immediata avrebbe potuto nuocere alle loro economie!
Ad esempio, i paesi poveri non possono permettersi di acquistare farmaci come gli Stati occidentali, per cui si servono dell'importazione parallela, cioè l'importazione di beni brevettati da un altro paese. Per capirci, se un farmaco prodotto negli USA ha un costo, lo stesso identico farmaco prodotto e venduto un India ha un costo decisamente inferiore, per cui acquistarlo dall'India conviene, e ciò accade senza violare i diritti del produttore che è sempre lo stesso. L'importazione parallela è usata spesso in Africa, per i farmaci anti AIDS che gli africani non si potrebbero mai permettere, ma anche numerosi americani acquistano farmaci dal Canada sfruttando questo canale.

Quando circa 40 aziende farmaceutiche fecero causa al governo del Sudafrica sostenendo che l'importazione parallela, dall'India, violasse i loro diritti, nel 2002 gli USA cominciarono a sponsorizzare nuovi accordi di libero scambio con l'Africa meridionale, accordi che limitavano l'importazione parallela. Si tratta dei TRIPs plus, come ACTA!

Per comprendere bene la situazione dobbiamo ricordare che gli accordi commerciali sono negoziati direttamente da ministri (quelli del commercio, non certo quelli della salute), e nelle negoziazioni si nota spesso una forte attività di lobbying. Per consuetudine i negoziati degli accordi commerciali sono segreti, cioè non si conosce il loro contenuto fino all'approvazione definitiva. E quindi l'opinione pubblica ne ha contezza solo quando ormai è troppo tardi per reagire.
Anche i negoziati per ACTA erano segreti, ma grazie al trapelamento di bozze dell'accordo, e al consequenziale movimento di opinione che si coagulò contro, ACTA è stato bocciato.
ACTA avrebbe dovuto realizzare un livello di governance superiore demandato ad un Comitato che avrebbe funto da governo ombra, senza alcuna forma di rappresentanza. Una volta approvato ACTA, le sue norme sarebbero state discusse e modificate direttamente dal Comitato, e le modifiche sarebbero state vincolanti per gli Stati firmatari.

L'obiettivo di ACTA, quindi, era di fissare uno standard internazionale in materia di proprietà intellettuale che andasse oltre gli accordi TRIPs. Ma la bocciatura di ACTA ha scompaginato la situazione. Ecco che la Commissione europea, il primo supporter del trattato anticontraffazione, ha pensato bene di utilizzare come cavallo di Troia: un altro accordo commerciale nel quale inserire di nascosto la sezione sulla proprietà intellettuale di ACTA, così da poterla immettere nell'ordinamento dell'Unione europea. Si tratta, appunto, di CETA.

Sistema di proprietà intellettuale americano

CETA è un accordo commerciale nato nel 2007, che quindi si trova già in fase di avanzata negoziazione, e anch'esso lo si può inquadrare nel processo di estensione mondiale del sistema di proprietà intellettuale americano, iniziato un decennio fa con la costituzione del WIPO all'interno del WTO, e l'adozione dei TRIPs. L'idea di fondo è semplice, realizzare delle norme tra Stati aderenti che siano flessibili, e sottrarre progressivamente la tutela dei diritti delle multinazionali ai governi e ai giudici per affidarla direttamente alle multinazionali. L'idea dietro ACTA, CETA, ma anche TPP, è di impostare delle regole comuni per poi andare a negoziare con gli altri Stati con quelle norme, imponendole ai paesi poveri e alle economie emergenti. In tutto questo le libertà dei cittadini risultano un mero accidente destinato a soccombere se in conflitto con i diritti economici delle multinazionali.

Quali sono le richieste che l'Unione europea pone al Canada tramite CETA? L'estensione dei termini del copyright, da 50 anni ai 70 previsti negli USA e in Europa. Poi l'introduzione del divieto di vendita dei dispositivi antielusione (dispositivi che potrebbero essere usati per rimuovere i DRM, cioè le protezioni dei file digitali), disposizioni sulla responsabilità degli intermediari della comunicazione, la divulgazione dei dati, anche bancari, dei presunti trasgressori online, provvedimenti ingiuntivi basati su semplici accuse, nuove misure di blocco delle merci alla frontiera, un nuovo diritto di seguito, in aperto contrasto con le recenti sentenze della Corte europea. Suona familiare? Tutto questo era già in ACTA, e formava quelle norme che fecero dire al Parlamento europeo che non avrebbe potuto garantire un'adeguata protezione per i diritti dei cittadini in caso di approvazione di ACTA.

Dietro CETA si allunga sinistra l'ombra di ACTA che, nonostante la sonora bocciatura da parte del Parlamento europeo, si appresta ad essere riciclata nel nuovo trattato.
Nei giorni scorsi (dal 15 di ottobre) si è svolto un altro round di negoziati, a fine novembre ci sarà un ultimo incontro per definire gli ultimi punti in sospeso, poi CETA dovrebbe essere approvato. Dopo toccherà, di nuovo, al Parlamento europeo decidere in via definitiva dell'approvazione del trattato.
Del suo contenuto si sa poco, perché, come accadde anche per ACTA, i negoziatori sostengono che le bozze circolate in rete sono vecchie e non aggiornate, che le disposizioni più draconiane sono già state espunte.
Ma al di là del reale contenuto del trattato, e del suo grado di pericolosità per le libertà dei cittadini, l'aspetto più grave che caratterizza il percorso di CETA è, ancora una volta, l'assenza di trasparenza delle negoziazioni.

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Negoziati segreti

Anche per CETA, come per ACTA, si è potuto conoscere il testo solo grazie al trapelamento di bozze, dalle quali si è potuto evincere il contenuto dell'accordo che, come rileva Michael Geist, appare fin troppo simile ad ACTA nella parte sulla proprietà intellettuale. Ma già il mancato coinvolgimento dell'opinione pubblica, proprio dopo che con ACTA si è potuto assistere ad un'ampia partecipazione dei cittadini al dibattito in materia, è un grave errore di metodo.
Come per tutti gli accordi di libero scambio, i colloqui avvengono in gran segreto, perché si basano su interesse aziendali, e c'è quindi il concreto rischio che si dia poca attenzione alle altre priorità pubbliche, come la tutela dei diritti dei cittadini, la protezione dell'ambiente, e la creazione di economie che favoriscano i cittadini e non solo i profitti delle multinazionali.
Ma nel momento in cui un accordo potrebbe finire per incidere pesantemente sui diritti dei cittadini, quei cittadini hanno tutto il diritto non solo di conoscere i termini dell'accordo, ma anche di partecipare al suo dibattito. Occorre che qualcuno vigili che quel “benessere” sia di tutti, e non solo dei soliti noti.

Dopo la bocciatura di ACTA, il Presidente del Parlamento europeo disse: “Il dibattito su ACTA ha dimostrato l’esistenza in Europa di una pubblica opinione che va oltre i confini nazionali. In tutta l’Europa la gente è stata coinvolta in proteste e dibattiti. La mobilizzazione della pubblica opinione è stata senza precedenti. Come Presidente del Parlamento europeo, mi sono impegnato a dialogare coi cittadini e a rendere l’Europa più democratica e comprensibile”.
Che non si dimentichino di queste parole!

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